Il grande ritorno alla regia di Mel Gibson, a dieci anni da Apocalypto, è una storia di sangue e fede in cui alla violenza della guerra (la battaglia del titolo si svolse sull’isola di Okinawa e fu, come altre con i giapponesi, tra le più cruente della guerra) si contrappone la forza della coscienza di un uomo, illuminato dalle sue convinzioni, tanto più forti perché ancorate a un Oltre capace di dar senso alla morte così come alla vita.

Il film è chiaramente diviso in due parti. La prima in qualche modo racconta la “formazione” di Doss, dà conto di come la sua posizione “estremista” (non toccare armi da fuoco pur essendosi arruolato) si formi nel seno di una famiglia povera e segnata dallo squilibrio del padre e non sia guadagnata dal giovane senza fatica (lui stesso ha dovuto lottare contro un’istintiva aggressività). Una posizione che dopo l’arruolamento diventa per forza di cose scandalosa, tanto da spingere i superiori di Doss a cercare di allontanarlo, temendo che possa essere un vulnus nello spirito di corpo necessario a combattere.

Il ventaglio dei compagni e l’addestramento rientrano nei canoni del racconto di guerra, con l’insolita ed interessante variante di un risvolto legal, quando il protagonista deve difendere il suo diritto ad andare in guerra, come ufficiale medico, per assistere i compagni come meglio può. Andrew Garfield dà corpo con convinzione ed efficacia a un personaggio che nasconde sotto l’esilità del fisico una determinazione granitica, che non è testardaggine, ma limpida fede e desiderio di fare ciò a cui è chiamato. Intorno a lui interpreti di livello che, almeno in alcuni casi, portano i loro personaggi oltre gli archetipi del racconto di genere.

È nella seconda metà del film, tuttavia, che l’energia registica di Gibson trova la sua migliore occasione per mostrare il talento e il cuore dell’artista australiano, che racconta la guerra senza fare sconti, ma riesce a far vivere anche l’afflato quasi mistico che anima il suo protagonista e lo rende capace di compiere un’impresa disperata. Così tra il sangue e le membra disintegrate dalle bombe e dal fuoco, nel buio del dolore e della disperazione di metri di terra conquistati e perduti, lo sguardo di Doss e il suo coraggio conquistano finalmente i suoi compagni: forse non riescono a condividere la sua fede, ma sono irresistibilmente affascinati dalla possibilità di guardare in alto e trovare consolazione e speranza.

Gibson racconta, con onestà e con tutti i mezzi che il cinema offre, una storia di eroismo atipico e lo fa al meglio delle sue capacità. Una pellicola in qualche modo classica, diretta e potente proprio nella sua linearità, che è un omaggio al grande cinema e una sfida al cinismo di oggi.

Luisa Cotta Ramosino