Perché i segni di vita su Marte rimangono uno dei più grandi misteri dell’umanità | National Geographic

Perché i segni di vita su Marte rimangono uno dei più grandi misteri dell’umanità

Le scoperte compiute dai rover della NASA somigliano in modo strabiliante a segni di vita aliena. Ma Marte ci ha già ingannato in precedenza e gli scienziati non sono ancora in grado di spiegare tutti i meccanismi che governano il pianeta rosso.

da Nadia Drake

pubblicato 10-02-2022

FOTOGRAFIA DI NASA/Caltech-JPL/MSSS
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Il rover della NASA Curiosity ha raccolto campioni dal cratere Gale su Marte (mostrato in questa immagine) che sono risultati ricchi di un isotopo leggero del carbonio, un elemento che sulla Terra è associato alla vita.

FOTOGRAFIA DI NASA/Caltech-JPL/MSSS

Per gli scienziati che cercano forme di vita aliena, il canto delle sirene di Marte sta diventando un crescendo.

Numerose osservazioni recenti effettuate dai rover sul pianeta rosso potrebbero portare la firma di alcuni microbi – una possibile indicazione del fatto che la Terra non sia l’unico rifugio della vita nel sistema solare.

Un interessante barlume è stato annunciato all’inizio del mese: il rover della NASA Curiosity ha osservato una miscela di isotopi di carbonio nelle rocce del cratere Gale che, se riscontrati sulla Terra, sarebbero segni di vita. Il rover ha inoltre registrato picchi sia casuali che stagionali di metano, un gas che sulla Terra viene prodotto prevalentemente da attività di tipo biologico.

A circa 3.700 km di distanza, nel cratere Jezero, il rover della NASA Perseverance ha riscontrato strani strati di colore viola che rivestivano le rocce alla base del cratere. Questa patina è diffusa e assomiglia alla cosiddetta “vernice del deserto” che sulla Terra cresce in presenza di microrganismi.

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Curiosity ha scattato questo selfie in un luogo soprannominato "Mary Anning", dal nome della paleontologa inglese del XIX secolo. Il rover ha recuperato tre campioni di roccia scavati in questo sito sulla strada verso la regione Glen Torridon, dove gli scienziati ritengono che anticamente vi fossero condizioni favorevoli alla vita. 

FOTOGRAFIA DI NASA/JPL-Caltech/MSSS

La Nasa ha scelto Lockheed Martin per il Mars Ascent Vehicle, "un razzo piccolo e leggero" che porterà sulla Terra le prime rocce, sedimenti e campioni di Marte.

Per il momento, tuttavia, gli scienziati non sono pronti ad affermare che il nostro vicino color vermiglio una volta fosse abitato. Quasi tutti gli indizi affascinanti che rimandano alla biologia possono essere spiegati anche con alcuni aspetti finora poco noti della geologia o della chimica di Marte – c’è ancora tanto che non sappiamo sul funzionamento del pianeta e su come fenomeni non viventi potrebbero sembrare tracce di vita.

“Si tratta di un pianeta alieno, che può quindi presentare aspetti che magari non immaginiamo nemmeno”, spiega la vice scienziato del progetto Curiosity Abigail Fraeman del Jet Propulsion Laboratory della NASA.

Secondo gli scienziati, il prossimo passo per confermare la presenza di vita su Marte è riportare campioni del pianeta da analizzare nei laboratori terrestri, dove sono disponibili gli strumenti più all’avanguardia per cercare risposte a una delle più antiche domande dell’umanità. Il rover Perseverance è già impegnato a raccogliere la prima serie di campioni, che potrebbero contenere prove del fatto che miliardi di anni fa il cratere Jezero fosse abitato da microrganismi.

Indipendentemente dalla risposta, quel materiale ci racconterà qualcosa di fondamentale sulle origini della vita sul nostro stesso pianeta.

“La storia antica dei due pianeti è simile sotto molti aspetti, ed è molto affascinante che nel corso dell’evoluzione i due mondi abbiano intrapreso percorsi così diversi”, spiega l’esperta di astrobiologia Amy Williams dell’Università della Florida. “Se davvero non c’è vita su Marte, perché non c’è? Cosa è cambiato? Cosa è successo? Perché non dovrebbe esserci? E, se c’è stata in passato, che cosa è accaduto poi?”

C’è vita su Marte? 

Nelle nostre fantasie, Marte è quasi sempre abitato, se non dagli alieni, almeno dall’umanità del futuro. Ma le osservazioni delle navicelle spaziali hanno spazzato via tutti i nostri sogni di civiltà avanzate, vegetazione rigogliosa in ogni stagione, e addirittura forme di vita vegetariane amichevoli e gelatinose.

“Non abbiamo trovato niente di pulsante, niente a cui dire ‘ciao’, non avevamo pistole laser quando siamo atterrati”, racconta Andrew Steele del Carnegie Institution for Science.

Al contrario, le immagini dall’orbita e gli esperimenti condotti dai lander Viking della NASA sulla superficie del pianeta hanno reso evidente il fatto che Marte non è stato un pianeta traboccante di forme di vita facilmente individuabili. “Questa constatazione ha portato a una lunga interruzione delle ricerche su Marte”, aggiunge Steele.

Nel 1996 gli scienziati hanno annunciato che un meteorite marziano recuperato dalla regione delle Allan Hills in Antartide sembrava contenere microfossili, minuscoli segni mineralizzati, a forma di verme, indice del fatto che qualche forma di vita aveva strisciato sulla superficie del pianeta, circa 4,1 miliardi di anni fa. Quelle osservazioni si sono rivelate ambigue ed estremamente controverse, provocando dibattiti che durano ancora oggi. Ma il tutto ha comunque avuto un risvolto positivo.

“La controversia sul meteorite delle Allan Hills ha infiammato gran parte del mondo dell’astrobiologia”, racconta Kennda Lynch, astrobiologa del Lunar and Planetary Institute. “Sono molto grata a quella roccia, perché ci ha portato a riflettere su cosa sapessimo davvero sulle forme di vita”.

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Questa immagine mostra il foro praticato dal rover Curiosity nel sito di trivellazione di Highfield, per raccogliere un campione sul crinale Vera Rubin nel cratere Gale su Marte. La polvere prodotta dalla perforazione si è rivelata ricca di un isotopo leggero del carbonio, un possibile, ma non confermato, segno di vita.

FOTOGRAFIA DI NASA/Caltech-JPL/MSSS

Una nuova era delle esplorazioni di Marte è iniziata nel 2012, quando il rover a sei ruote Curiosity della NASA è atterrato nel cratere Gale. Oggi, quell’avvallamento largo oltre 150 chilometri ospita una grande montagna composta da molti strati di sedimenti che custodiscono tracce del passato di Marte. L’obiettivo primario di Curiosity è cercare segni di una passata vivibilità, come acqua, composti organici e una fonte di energia, ovvero gli ingredienti necessari per la vita così come la conosciamo.

Trovare prove della presenza di acqua è stato facile, dopotutto gli scienziati sospettavano già che il cratere un tempo ospitasse un profondo lago. Curiosity ha identificato quasi subito uno strato di rocce che possono formarsi solo in presenza di acqua.

Il resto non è stato altrettanto semplice.

Nel corso degli anni, Curiosity ha scoperto nel cratere prove di numerose molecole organiche – particelle chimiche elementari delle forme di vita basate sul carbonio. E ha individuato segni di antica attività idrotermale, dove il calore e i composti chimici si sono mescolati ad acqua corrente, creando possibili fonti di energia.

Il rover ha altresì stabilito che il gas metano nel cratere aumenta e diminuisce su base stagionale e ha osservato picchi occasionali di quel gas, confermando le osservazioni terrestri che per oltre un decennio hanno sfidato ogni spiegazione. Una tale fluttuazione, sulla Terra, sarebbe un chiaro segno della presenza di esseri dal metabolismo attivo.

Tuttavia, finora nessuna di queste osservazioni è stata collegata alla biologia ed esiste sempre la possibilità che questi processi, che non comprendiamo appieno, siano solo un’imitazione dei segni caratteristici della vita.

“Sulla superficie terrestre la maggior parte dei processi basati sul carbonio è di origine biologica, ed è difficile mettere da parte questi presupposti e immaginare un mondo in cui queste leggi non sono valide”, spiega Christopher House, astrobiologo della Pennsylvania State University. “Bisogna uscire da un approccio che si basa sui meccanismi terrestri per poter concepire in maniera diversa i fenomeni marziani”.

Il curioso caso del carbonio marziano

L’osservazione più strana e intrigante di Curiosity è emersa solo di recente. In numerosi campioni di roccia provenienti da diversi punti del cratere, il rover ha trovato composti organici contenenti insolite quantità di isotopi del carbonio, o atomi dello stesso elemento che contengono nel nucleo differenti numeri di neutroni.

Sulla Terra, gli organismi preferiscono utilizzare la forma più leggera di carbonio nelle reazioni metaboliche e fotosintetiche, e ciò determina una proporzione sbilanciata per cui la forma più leggera di carbonio è nettamente più abbondante della forma più pesante.

E in cinque punti del cratere Gale gli scienziati hanno trovato esattamente la stessa cosa: gli isotopi del carbonio più leggeri erano molto più abbondanti dei loro parenti più pesanti, rispetto a quanto riscontrato nell’atmosfera e nei meteoriti marziani. Quanto osservato assomiglia ai rapporti tra isotopi di carbonio riscontrati nella formazione Tumbiana, un affioramento risalente a 2,7 miliardi di anni fa che contiene tracce di carbonio appartenute ad antichi microbi che metabolizzavano il metano.

“Questi risultati sull’isotopo del carbonio impoverito sono estremamente affascinanti, molto avvincenti. Sulla Terra questo può esistere solo attraverso la biologia”, spiega Williams.

Ma House, che ha guidato l’analisi, sostiene che la storia presenta ancora molti punti oscuri. Lui e i suoi colleghi hanno fornito tre possibili spiegazioni per questo squilibrio.

Il primo è che la “firma” provenga realmente da antichi microbi. Un’altra possibilità è che, anticamente, il sistema solare abbia attraversato una nube di polvere interstellare con un singolare rapporto tra gli isotopi del carbonio – l’esistenza di tali nubi è nota – che ha lasciato le proprie tracce su Marte. E una terza possibile spiegazione è che questa insolita traccia sia stata prodotta dalla luce ultravioletta che interagisce con l’atmosfera di anidride carbonica di Marte.

“Non conosciamo la risposta”, prosegue House. “Potrebbe essere biologica oppure no. Tutte e tre le spiegazioni sono coerenti con i dati”.

Un misterioso strato sulle rocce

Il rover Perseverance della NASA ha raggiunto il cratere Jezero su Marte l’anno scorso ed è ancora alla ricerca di tracce di vita antica.

Durante i suoi viaggi attraverso Jezero, Perseverance ha individuato numerose rocce ricoperte da uno strato viola, ricco di ferro. Bradley Garczynski della Purdue University, che sta studiando quella patina, afferma che si tratta di qualcosa di diverso da tutto ciò che i rover hanno rilevato su Marte prima d’ora, anche se rocce con diversi strati superficiali sono state riscontrate in altre parti del pianeta.

Sulla Terra, patine di questo tipo si osservano spesso nei deserti, dove prosperano conglomerati di batteri mangia-roccia (detti chemiolitotrofi).

“Sono estremamente affascinati e di certo rivestono un notevole interesse biologico sulla Terra, quindi, per analogia, rivestono un notevole interesse astrobiologico per noi quando li vediamo formarsi su altri pianeti”, aggiunge Williams.

Lynch, che studia analoghi terrestri degli ambienti marziani, afferma che non è da escludere la possibilità di trovare tracce biologiche negli strati che ricoprono le rocce di Jezero. “I microrganismi fanno cose sorprendenti. Creano rivestimenti e velature sulle rocce perché amano mangiarle”, spiega l’esperta.

Tuttavia, gli scienziati dispongono di molto più contesto sugli ambienti terrestri dove si formano tali velature, aggiunge Lynch, e quel contesto è essenziale per interpretare correttamente le osservazioni. Anche sul nostro pianeta, i ricercatori devono valutare accuratamente se un simile materiale sia stato prodotto da forme di vita o da altri processi; ed è molto più difficile dare una risposta a questa domanda trovandosi tanto lontano.

“È un sistema meravigliosamente complicato e complesso quello che stiamo esplorando su Marte”, aggiunge Fraeman.

Ambiguità da un altro mondo

Al momento, per dare una risposta definitiva in merito alla presenza di vita su Marte è necessario riportare i suoi frammenti sulla Terra, dove gli scienziati possono usare gli strumenti più all’avanguardia per analizzarli. Uno dei compiti primari di Perseverance è identificare e raccogliere campioni di rocce, in attesa che una navicella in futuro li riporti a casa.

“I campioni che stiamo raccogliendo vengono accuratamente selezionati”, spiega Fraeman. “Conosciamo in linea generale il contesto da cui provengono… saranno essenziali per trovare una risposta a queste annose domande”.

Ma anche avere in laboratorio frammenti di Marte non basterà a fugare qualsiasi dubbio. Gli scienziati stanno ancora discutendo sulle potenziali tracce di vita in ALH84001, un pezzo dell’antica crosta di Marte che si è schiantato sull’Antartide circa 13.000 anni fa. Steele, che di recente ha guidato una nuova analisi del meteorite, studia la roccia da 25 anni.

“Uno dei motivi per cui continua ad appassionarmi è questo: se non è vita, allora che cos’è?”, racconta.

Steele e i suoi colleghi hanno segnalato all’inizio di questo mese che i complessi organici presenti in ALH84001 erano stati creati senza l’intervento di una forma di vita ed erano da imputare invece a reazioni chimiche ordinarie che si verificano quando i fluidi sotterranei interagiscono con rocce e minerali.

“Significa forse che non ci sono segni di vita marziana in quel meteorite? No, non posso escluderlo”, spiega Steele. “Se lì dentro esiste un organismo marziano, non ci sta mostrando caratteristiche comuni agli organismi terrestri. È una cosa completamente diversa e la sto ancora cercando”.

Queste reazioni geologiche potrebbero magari essere la fonte del metano di Marte, oppure dei composti organici che si trovano su tutto il pianeta, o delle patine che rivestono le rocce di Jezero? È assolutamente plausibile, affermano gli astrobiologi. Marte è un altro mondo, un luogo con una chimica e paesaggi esotici che, anche se appaiono vagamente familiari, ci sono comunque estranei.

“Più e più volte Marte ha dimostrato di non essere la Terra. Non è una Terra antica congelata nel tempo”, conclude Williams. “È un pianeta a sé, in continua evoluzione, e alcuni dei processi che vi hanno luogo sono in parte simili a quelli della Terra, mentre altri sono nettamente diversi”.