Deepwater Horizon, dieci anni dopo: le tragiche conseguenze dell'esplosione della petroliera | National Geographic

Deepwater Horizon, dieci anni dopo: le tragiche conseguenze dell'esplosione della petroliera

Sono passati dieci anni dall'esplosione della Deepwater Horizon. Alcune specie, come i pellicani bruni, si sono riprese, mentre altre specie più longeve sono state debilitate per generazioni.

da Joan Meiners

pubblicato 30-04-2020

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Un pellicano bruno ricoperto di petrolio nei pressi di Grande-Terre Island, in Louisiana, il 4 Giugno 2010.

FOTOGRAFIA DI Win McNamee, Getty Images

New Orleans, Louisiana - Il 20 Aprile 2010 un’esplosione sulla piattaforma petrolifera BP Deepwater Horizon ha rilasciato circa 500 milioni di litri di petrolio nel golfo del Messico. È stato il più grande sversamento di petrolio mai avvenuto nelle acque statunitensi ed è, ancora oggi, uno dei maggiori disastri ambientali nella storia del mondo.

Undici operai che lavoravano sulla piattaforma hanno perso la vita. E lo stesso è successo a un numero inestimabile di mammiferi marini, tartarughe di mare, uccelli e pesci. Mentre il mondo se ne stava a guardare, impotente, il petrolio si è sparso, nell’arco di 87 lunghi giorni, in uno degli habitat marini di maggiore biodiversità dell’intero pianeta. 

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Le imbarcazioni utilizzano panne assorbenti per arginare lo sversamento di petrolio della Deepwater Horizon, a maggio 2010.

FOTOGRAFIA DI Tyrone Turner,Nat Geo Image Collection

Un decennio dopo molte specie, come i coralli di acque fredde, la strolaga maggiore e la trota di mare sono ancora in difficoltà e le loro popolazioni sono diminuite. Di contro, qualche abitante del golfo ha mostrato un notevole recupero – tra questi, i pesci menhaden e i pellicani bruni, l’uccello dello stato della Louisiana.

Gli studiosi dicono che è ancora troppo presto per dichiarare con sicurezza quale sia stato l’impatto su specie longeve come i delfini, le balene e le tartarughe marine. 

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Una tartaruga marina si nutre in un'area contaminata di petrolio nel Golfo del Messico, il 5 maggio 2010.

FOTOGRAFIA DI Carol Guzy

“Basandoci sulla scienza attuale, qualsiasi mammifero marino vivo nel Golfo, al tempo della tragedia a bordo della piattaforma petrolifera, non se la caverebbe bene oggi”, dice Cynthia Smith, veterinario presso il National Marine Mammal Foundation. “Gli animali che non erano ancora nati, quelli sono la speranza” dice Smith, esperta di mammiferi marini che è stata sul luogo dello sversamento.

Smith è una dei tanti studiosi le cui carriere hanno subito una svolta dopo questo evento. I fondi del Gulf of Mexico Energy Security Act, e del Gulf of Mexico Research Initiative – e più di recente, i 16 miliardi di dollari di accordo tra BP e i governi federali e statali statunitensi – hanno abilitato una legione di ricercatori a intraprendere progetti a lungo termine per studiare come lo sversamento abbia condizionato la fauna selvatica del Golfo. 

Molte specie sono state difficili da studiare. Ma dopo un decennio di monitoraggio ravvicinato, Smith ritiene che lei e i suoi colleghi abbiano ora un quadro chiaro di quello che sta accadendo con il più gregario dei cetacei, ovvero il delfino tursiope – e si tratta di una situazione cupa. Circa un migliaio di delfini sono morti nei mesi successivi alla fuoriuscita, dopo aver ingerito le tossine rilasciate dal petrolio. Molti altri, a quanto risulta, da allora sono stati male.

Una ricerca recente, non ancora pubblicata su una rivista specializzata di settore, ha rivelato che solo il 20% delle gravidanze dei delfini della Barataria Bay della Louisiana, un'area fortemente intrisa di petrolio, vanno a buon fine rispetto all’83% delle regioni prive di petrolio. Questo numero è rimasto invariato dalle stime del 2015. A distanza di dieci anni, Smith ancora registra tra i delfini tursiopi alti tassi di fallimento riproduttivo, patologie polmonari, problemi cardiaci, scarsa risposta allo stress e morte.

La cosa interessante, dice Smith, è che questi sintomi rispecchiano i problemi di salute più comuni affrontati da un altro grande mammifero esposto allo sversamento di petrolio: l’essere umano. Due studi recenti, pubblicati entrambi nel 2018, hanno rilevato scarse funzionalità polmonari e cardiache e respiro affannoso, rispettivamente, a carico di addetti alle pulizie e personale della guardia costiera statunitense che sono stati a contatto con il petrolio.   

“Non pensi necessariamente a un delfino come rappresentativo di te stesso o a un essere umano come rappresentativo di un delfino, ma le nostre vite si sovrappongono”, dice Smith. “Abitiamo insieme questo spazio, e abbiamo molto da imparare da questo”.

In ascolto della vita

Kaitlin Frasier ricorda quel giorno del 2010 in cui il suo tutor di dottorato le disse che secondo lui avrebbe dovuto concentrare la sua carriera sul recente sversamento della Deepwater Horizon. A quel tempo, Frasier non poteva immaginare dove l’avrebbe portata quel viaggio. Oggi, è ricercatrice scientifica e assistente di progetto presso lo Scripps Institution of Oceanography dell’Università della California, a San Diego, e ha trascorso il decennio passato ad ascoltare i segnali di vita nel Golfo – nello specifico, i “click e clack” dell’ecolocalizzazione dei mammiferi marini.

Non possiamo realmente vedere il fondale marino, e dunque non sappiamo realmente come il petrolio abbia colpito le balene”, spiega Frasier. È difficile dire, spiega, se il petrolio sedimentato venga effettivamente ri-sospeso in acqua, contaminando il nutrimento dei cetacei. I coralli delle acque fredde nel Golfo del Messico, come ad esempio la paragorgia arborea e il corallo bambù, erano state studiate prima della perdita, il che ha fornito agli studiosi un’idea più chiara di come il petrolio li abbia danneggiati.

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I coralli delle acque fredde nel Golfo del Messico, come ad esempio la paragorgia arborea e il corallo bambù, sono stati studiati prima della perdita. Questo ha fornito agli studiosi un’idea più chiara di come il petrolio li abbia danneggiati.

FOTOGRAFIA DI The NOAA Office of Ocean Exploration and Research, Gulf of Mexico 2014.

Il Golfo del Messico ospita 21 specie di mammiferi marini, gran parte delle quali vengono avvistate molto di rado dagli esseri umani – dunque gli scienziati devono ascoltare. I suoni emessi da questi animali possono rivelare quali specie sono ancora attive molti anni dopo lo sversamento, e quali hanno subito un declino.

Una specie che in questo periodo Frasier sente sempre meno è il delfino stenella attenuata. “Per molti aspetti è una sorpresa”, dice Frasier, “perché erano così comuni. Gli osservatori li chiamavano ratti perché scorrazzavano per tutto il Golfo. Mentre ora, abbiamo di gran lunga meno ‘incontri’ sui nostri rilevatori acustici”.

Per molte specie, i risultati non sono così chiari. In parte, perché gli scienziati sapevano poco delle abitudini di molti mammiferi marini delle acque profonde prima dello sversamento, dunque ora è difficile determinare i cambiamenti in base ai dati attuali. Prendiamo ad esempio il Cogia di Owen: non è chiaro come interpretare i brevi e acuti click che Frasier riesce ora ad associare a questa specie. Allo stesso modo i capodogli, che emettono click più lunghi e a bassa frequenza, non sono stati rilevati di recente vicino al luogo della fuoriuscita, ma questo potrebbe anche semplicemente significare che si sono spostati.

I mammiferi marini sono indicatori importanti del benessere generale dell’oceano, quindi studiarli può rivelare agli scienziati molto dell’ambiente. “Sembra di avere tutti pezzi diversi di un puzzle, ma è difficile capire come combinarli insieme” dice Frasier.

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Una tartaruga di Kemp scava un nido sulla spiaggia di Rancho Nuevo, in Messico. Questo sversamento sembra aver ostacolato il recupero delle specie particolarmente a rischio.

FOTOGRAFIA DI Sandesh Kadur

Colossi silenziosi

Uno degli animali in assoluto più longevi se ne sta silenzioso e sedentario sul fondo del mare. Peter Etnoyer, biologo marino presso il National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) dell’Hollings Lab, studia i coralli che vivono nelle acque fredde. Alcuni prosperavano vicino alla sorgente della Deepwater Horizon prima della fuoriuscita, secondo alcuni studi del fondale marino. Dopo lo sversamento gli studiosi hanno scoperto che metà di quelle colonie di coralli – creature colorate a forma di ventaglio chiamate "gorgonian octocoral"  – risultavano esser state fortemente danneggiate.

“Non sappiamo quanto ci vorrà perché queste colonie di coralli si riprendano” dice Etnoyer. “Crescono davvero molto lentamente. Quelle che abbiamo visto danneggiate hanno età comprese tra decine e centinaia di anni”. I coralli sono habitat importanti per le specie come gamberetti, granchi, cernie e dentici. E siccome mostrano anelli di crescita come quelli degli alberi, i coralli agiscono come “piccoli controllori ambientali, registrando il variare delle condizioni con il passare del tempo”, spiega Etnoyer.

Ora il team si sta preparando per futuri disastri, mappando i coralli delle acque profonde per sviluppare un database di coralli che attualmente conta più di 750mila registrazioni. Il team ha anche un piano di sette anni per favorire la ripresa dei coralli, che include recarsi sul fondale marino utilizzando subacquei o dei veicoli manovrati a distanza per clonare o trapiantare un centinaio di coralli da un posto a un altro. “È la prima volta che si tenta di trapiantare questi specifici coralli su scala industriale” dice.

Le tartarughe a rischio estinzione

Il Golfo del Messico ospita cinque specie diverse di tartarughe marine, tutte protette in base all’Endangered Species Act. Le tartarughe liuto e le tartarughe embricate dell’Atlantico nuotano in acque lontane dalla costa, mentre la tartaruga marina comune, la tartaruga verde e la tartaruga di Kemp frequentano habitat vicini alla costa. Uno studio del 2017 stimava che almeno 402,000 tartarughe di mare fossero state esposte al petrolio durante lo sversamento, il 51% di queste erano tartarughe di Kemp, una delle specie più piccole e maggiormente in pericolo.

Prima della fuoriuscita, la popolazione delle tartarughe di Kemp si stimava dovesse avere una crescita del 19% annuo. Invece, il numero di nidi sulle spiagge del Golfo – il luogo di maggiore nidificazione della specie – è crollato del 35% tra il 2009 e il 2010, e precipitato di nuovo nel 2013, stando a uno studio del 2016. Quella ricerca suggeriva anche che le femmine di tartarughe di Kemp avessero faticato per mantenere il peso e lo stato di salute necessari per riprodursi.

Una nuova versione di un piano federale di recupero per le tartarughe di Kemp è stato firmato nel 2014 in risposta allo sversamento. L’azione si è tradotta in nuove protezioni alle nidificazioni nelle spiagge del Texas e del Messico, e la richiesta che la pesca dei gamberetti nel Golfo utilizzi dispositivi di esclusione per evitare che i rettili vengano catturati dalle reti da traino.

Una nota positiva per gli uccelli

Gli uccelli sono stati tra gli animali più colpiti immediatamente dopo la fuoriuscita, dice Erik Johnson, direttore del "bird conservation" for Audubon, in Louisiana. “Sappiamo che il numero di uccelli colpiti si attestava tra i 100,000 e il milione di esemplari. Sfortunatamente non sapremo mai il numero esatto”, dice.  Questa statistica include la strolaga maggiore, la sula bassana, il marangone dalla doppia cresta, la sterna reale, il piviere di Wilson, il becco a cesoie americano, e il passero delle coste, giusto per nominarne alcuni. Sono stati colpiti anche fino al 32% di gabbiani sghignazzanti e quasi un quarto di pellicani bruni.

Molti uccelli che non sono stati uccisi sul colpo dal petrolio che ricopriva le loro piume, da allora hanno mostrato percentuali più alte di cancro causato dal petrolio, problemi riproduttivi e una ridotta capacità di regolare la temperatura del loro corpo dovuta ai danni del piumaggio, secondo uno studio del 2020. 

Ma anche se gli uccelli in generale sono tra le specie più devastate, in alcuni casi sembrano mostrare il recupero più solido. Il risarcimento è stato utilizzato per ripristinare la Queen Bess Island, in Louisiana, come habitat per gli uccelli. Il progetto è stato portato a termine lo scorso Febbraio ed è stato accolto come un successo per quanto riguarda i pellicani bruni, con quasi il 20% della popolazione dello stato che sta già nidificando lì, insieme all’airone bianco maggiore, la spatola rosata, la sterna reale, e l’airone tricolore.

Pesci nel petrolio

Quella che è stata la rovina degli uccelli si è però rivelata un temporaneo vantaggio per alcuni pesci: gli studiosi ritengono che la mancanza di uccelli nei cieli del Golfo del Messico è una delle ragioni per cui alcune popolazioni di pesci sono aumentate dopo lo spargimento di petrolio. C’erano il doppio di menhaden del Golfo, per esempio, negli anni successivi allo sversamento rispetto ai quattro decenni precedenti, probabilmente perché molti uccelli erano spariti dai cieli. 

Altre specie di pesci hanno dato prova di essere stati danneggiati dal petrolio, inclusi circa due terzi di tutti gli storioni del Golfo, una specie a rischio. Gli studi effettuati sulle economicamente preziose trote di mare maculate e sull'ombrina ocellata hanno rilevato che i pesci nelle aree contaminate dal petrolio mostravano una capacità riproduttiva ridotta, e che anche anni dopo l’incidente, il petrolio rimasto nell’ambiente è tossico per le larve di pesce.

Una recente ricerca che ha effettuato test su 2,500 diversi pesci nel Golfo ha mostrato prove dell’esposizione al petrolio in tutte le 91 specie testate, il che fa pensare che lo sversamento sia diffuso e ancora in corso.

 

Guardando avanti

Potrebbero essere necessari decenni per comprendere come il petrolio danneggerà la successiva generazione di balene, coralli, tartarughe marine, uccelli, pesci e altri animali. Per Smith, Frasier, Etnoyer e altri studiosi coinvolti nelle ricerche legate allo sversamento, questo evento è totalizzante per le loro carriere. La loro ricerca sarà dedicata a monitorare e comprendere la situazione del Golfo negli anni a venire – in particolar modo se questi ecosistemi resteranno vulnerabili.  

A Maggio 2019 il Dipartimento degli Interni statunitense ha ripristinato le regole di sicurezza per le trivellazioni offshore che erano state messe in atto per prevenire il ripetersi dello sversamento della Deepwater Horizon. Allo stesso tempo c’è stata un’espansione delle aree protette nel golfo, come il Flower Garden Banks National Marine Sanctuary.

Nel frattempo Kaitlin Frasier resterà alla sua scrivania ad ascoltare gli strani suoni dei delfini di Risso e i lunghi e bassi vocalizzi dei capodogli. “Vorrei portare le persone al largo e nel profondo del Golfo per mostrare loro tutta la vita che c’è là sotto”, dice Frasier. “Gran parte degli esseri umani non avranno mai la possibilità di vederlo ma è la cosa più straordinaria”.