A Murder at the End of the World: è Emma Corrin la detective dell giallo nuovo alla Christie - Radio Popolare

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A Murder at the End of the World: è Emma Corrin la detective dell giallo nuovo alla Christie

a murder at the end of the world

Emma Corrin, classe 1985, ha interpretato Lady Diana Spencer nella quarta stagione di The Crown, quella in cui la futura principessa viene introdotta, giovanissima, alla corte britannica. In questi giorni, guardando i primi episodi della sesta e ultima stagione – le ultimissime puntate arriveranno su Netflix a dicembre – rimpiangiamo quel periodo: Elizabeth Debicki, l’attrice che interpreta Diana trentenne, è ottima, ma, forse seppelliti dal peso di fatti e gossip arcinoti, gli sceneggiatori della serie sembrano aver perso la specificità e l’acutezza di scrittura che avevano reso le prime annate di The Crown una visione quasi irrinunciabile. Nel frattempo, però, ritroviamo Emma Corrin protagonista di una nuova serie su Disney+, intitolata A Murder at the End of the World: l’interprete – che un paio di anni fa ha fatto coming out come non binary – incarna un personaggio femminile, Darby Hart, una giovane detective dilettante, autrice di un bestseller true crime in cui racconta una vera indagine su omicidi irrisolti condotta anni prima insieme all’allora compagno Bill Farrah (Harris Dickinson, qualcuno forse lo ricorda per aver impersonato il figlio di Paul Getty rapito nella miniserie Trust di Danny Boyle). Darby viene invitata, senza sapere bene perché, a un misterioso e segretissimo ritrovo organizzato da Andy Ronson, un miliardario e genio della tecnologia interpretato con il solito fascino inquietante da Clive Owen: l’incontro si svolge in un nuovissimo hotel high tech isolato tra i ghiacci dell’Islanda, e vi partecipa un gruppo piccolo ma variegato di persone, tra cui una celebre astronauta, un filmmaker, un’imprenditrice, e soprattutto Lee Andersen, ex hacker leggendaria che Darby ammira fin dall’adolescenza, e che ora è diventata la moglie di Ronson. La serie s’intitola A Murder at the End of the World, “un omicidio alla fine del mondo”, e dunque non stupisce che, alla fine del primo episodio, qualcuno effettivamente muoia in circostanze sospette: il setting è perfetto per un giallo “alla Agatha Christie”, un genere che negli ultimi anni sta conoscendo un grande ritorno al successo, in varie sfumature più o meno di commedia, da i film della saga Knives Out agli adattamenti appunto da Christie firmati da Kenneth Branagh, dalle divertenti serie Only Murders in the Building e The Afterparty alla purtroppo inedita Poker Face.

A Murder at the End of the World, però, è creata e diretta da Brit Marling e Zal Batmanglij, il duo di sceneggiatori e registi che nel 2016 ci aveva regalato la bizzarra e imprendibile serie Netflix The OA (in un periodo, che pare ormai lontanissimo, in cui Netflix ancora si permetteva di esplorare territori sperimentali). Marling è anche attrice – in The OA interpretava la protagonista Prairie, una ragazza cieca che scompare per anni e poi riappare avendo misteriosamente riacquistato la vista – e in questa nuova serie impersona l’enigmatica Lee Andersen; insieme a Batmanglij – e, in passato, anche al regista Mike Cahill – è stata apprezzatissima nel circuito del cinema indipendente, grazie a film come Sound of My Voice, Another Earth e The East, in cui persegue le vie di una fantascienza intimista e spesso inaspettata, provando a piegare le convenzioni di genere per immaginare strade nuove. Nel 2020 ha scritto per il “New York Times” un lungo editoriale intitolato I Don’t Want to Be the Strong Female Lead, “non voglio essere la protagonista femminile forte”; bianca, bionda, magra e con gli occhi chiari, insomma di una bellezza che potremmo definire canonica, racconta come per tutta la sua prima parte di carriera d’attrice le uniche audizioni che le venivano proposte erano quelle della damigella in pericolo e della vittima predestinata; più avanti, raggiunta una certa notorietà, ha iniziato a interpretare l’“eroina forte”: «È difficile negare l’energia di narrazioni che danno indipendenza e voce alle donne, in un mondo in cui spesso non hanno nessuna delle due cose» scrive Marling, ma le caratteristiche associate alla forza restano, dice, «modalità di potere» basate sulla sopraffazione, la dominazione, il controllo. Non c’è, si chiede, un’alternativa, tra essere vittima ed essere carnefice? Intanto, in A Murder at the End of the World, che comunque appartiene a un genere molto codificato, colei che convenzionalmente sarebbe “la giovane donna morta” diventa “la detective”. Una risposta precisa ai suoi dilemmi Marling ancora non ce l’ha, ma, concludeva in quell’articolo, «il momento in cui cominciamo a immaginare un mondo nuovo e a condividerlo gli uni con gli altri è il momento in cui quel mondo nuovo potrebbe effettivamente nascere».

  • Autore articolo
    Alice Cucchetti
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    Le stragi 1992-1993 e la storia improbabile e rassicurante raccontata nelle commemorazioni ufficiali. Una storia semplice, ma non corrispondente al vero, sostiene l’ex magistrato del pool antimafia di Palermo, Roberto Scarpinato, oggi senatore del M5S. La storia delle commemorazioni ufficiali racconta che tutti i responsabili delle stragi del ‘92-’93 sono stati condannati e sono tutti mafiosi. Secondo questa tesi il movente delle stragi di Capaci e via d’Amelio è semplice: Falcone e Borsellino sono stati uccisi dai mafiosi in quanto magistrati anti-mafia, una vendetta. Dunque: lo Stato ha vinto, la storia delle stragi 92-93 è una storia passata, da archiviare. Ma Scarpinato sostiene che le stragi furono sì compiute dai mafiosi, ma pianificate da mandanti esterni e coperte da esponenti dei servizi segreti. Lo scopo, il movente: contribuire a costruire con le stragi un nuovo ordine politico, dopo la fine della prima repubblica. Secondo questa tesi, le stragi di oltre 30 anni fa non sono un fatto chiuso e finito. Ma dialogano ancora con il presente, contribuiscono ancora a definire il profilo della seconda repubblica.

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