Tool: le dieci migliori canzoni della band - Inside Music

Tool: le dieci migliori canzoni della band

di InsideMusic

È ufficiale. I Tool, dopo tredici anni di assenza, dopo 10000 Days, torneranno a deliziarci. Non che Maynard James Keenan, il vocalist, abbia mai fatto sentire la sua assenza, fra A Perfect Circle e Puscifer. In particolare, l’estrosa personalità del cantante (ed enologo) straripa di cultura pop da tutti i pori nell’ultimo Eat the Elephant – una piccola opera pessimista, su quanto la nostra civiltà si concentri sui cavilli ed ignori l’elefante nella stanza. Completano la formazione, oramai assurta a leggenda, dei Tool, il talentuosissimo bassista (autore del riff di Schism) Justin Chancellor, il virtuoso della batteria Danny Carey, e il chitarrista e allevatore di gatti Adam Jones, personaggio misterioso.

Concediamoci dunque un doveroso ripasso nelle migliori canzoni dei Tool prima di lanciarci nell’attesa del nuovo, ancora innominato album, già anticipato dai due brani suonati live, Invincibile e Descending.

  1. Right in Two

Proprio da 10.000 Days scegliamo una delle tantissime suite post-grunge, mescolate a sonorità etnica grazie alle percussioni suonate dalle sapienti mani di Carey, in questo caso ricchissima di riferimenti biblici. Chi non ricorda, da catechismo, la storia della saggezza del Re Salomone, che per determinare chi fosse la vera madre fra due contendenti di un neonato, disse di tagliarlo a metà? Proprio in due. La struttura del brano è una vera e propria escalation di violenza: fra accelerazioni e improvvisi raffreddamenti, la preparazione di una guerra mondiale interiore, la scissione binaria fra il proprio ego ed il proprio volere razionale, quello che ci costringe a vivere in questa terra, che culmina nell’intermezzo strumentale.

Repugnant is a creature who would squander the ability
to live tonight in heaven,
conscious of his fleeting time here

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Cover di 10.000 Days.

  1. The Pot

Rimaniamo in 10.000 days per un brano che, stavolta, non si presta a particolari interpretazioni misteriche: The Pot, semplicemente, parla esattamente di ciò che sottindente il titolo – l’erba. La marijuana, la canapa che contiene THC e CBD. Raramente, nei brani dei Tool, Keenan utilizza al massimo la propria voce, optando il più delle volte per un tono dimesso e a là Joy Division: in The Pot, invece, canta l’ipocrisia dell’avvocato, del salaryman, dell’uomo in carriera, dei sacri valori religiosi americani, verso il drogato. E poi, alla fine, l’erba, che droga è?

Who are you to wave your finger?

  1. Prison Sex

Ci spostiamo negli albori dei Tool per Prison Sex, direttamente dell’EP Undertwo, nel quale alla chitarra figurava ancora Paul D’Amor. Già da quell’epoca antica, i videoclip della band risultavano tremendamente inquietanti: quello di Prison Sex, per il suo enorme coinvolgimento emotivo, è estremamente doloroso da guardare interamente curato da Adam Jones, vede marionette (animate in stop motion) agitarsi in un contesto di un manicomio; una delle due, bianca e infantile, corrotta da crepe, priva di gambe – spezzate, a simulare un’anima infranta – cerca di scappare all’assalto di un’altra, nera e gigantesca, viscida di plastica, ossa e articolazioni in vista come uno xenomorfo. Maynard è da sempre stato estremamente impegnato nella causa del recupero dei bambini vittima di pedofilia, e di tutti colori che devono soffrire per traumi da abusi sessuali, e già le liriche di Prison Sex lo dimostrano.

Thought I could make it end
Thought I could wash the stains away
Thought I could break the circle if I
Slipped right into your skin
So sweet was your surrender
We have become one
I have become my terror

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  1. Ænema

Primo album ufficiale dei Tool, Aenima fu un successo di pubblico e critica, e fece guadagnare alla band uno status di vero e proprio culto; il gioco di parole del titolo, fra clistere e anima, indica come la catarsi possa essere un mezzo per raggiungere la pace. In Aenema, uno dei singoli dell’album assieme a Stinkfist, le linee di basso aggressive e intrusive di Chancellor iniziano a farsi strada per creare il caratteristico Tool-sound; anche in questo caso, come in The Pot, per l’interpretazione delle liriche, non bisogna guardare troppo lontano. I Tool e il comico californiano Bill Hicks condividevano una profonda amicizia: quest’ultimo non ha mai tenuto troppo nascosto il suo scarso amore per la California, e in molti sketch e nel suo ultimo album, postumo, Arizona Bay, ha ipotizzato una definitiva frattura nella faglia di San Andreas, l’affondamento della California, il crollo del mito della supermamma di Supper’s ready dei Genesis, e, finalmente, uno sbocco sul mare per l’Arizona. La California, dunque, nella Tool-poetica, è la radice del mal d’anima degli Stati Uniti: se cancellata, la catarsi potrà iniziare.

Learn to Swim!

‘Cause I’m praying for rain
And I’m praying for tidal waves
I wanna see the ground give way
I wanna watch it all go down
Mom please flush it all away
I wanna see it go right in and down
I wanna watch it go right in
Watch you flush it all away

  1. H.

Rimaniamo in Aenima per uno dei brani più oscuri dei Tool, H. dopo numerosi ascolti, onestamente credo che Maynard abbia buttato parole a caso, estremamente divertito dalle dietrologie dei fan nel nascente internet; sicuramente tratta di qualcosa di fisico, dati i riferimenti alla “materia vivente”, ai “serpenti”, ma rimango della convizione che si tratti di qualcosa riferito al tentativo di stare a dieta, evitare di bere troppo vino, non cadere in tentazione dei dolcetti al cioccolato o qualcosa del genere. Ovviamente, Keenan è sempre stato avaro di spiegazioni, limitandosi, durante un’intervista, a invitare gli ascoltatori ad “ascoltare l’angioletto ed il diavoletto sopra le proprie spalle”.

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Cover di Aenima

  1. Opiate/The Gaping Lotus Experience

Dal primissimo EP dei Tool, del 1993, è un riferimento alla filosofia marxista, secondo la quale la religione è l’oppio dei popoli. Il brano è sostanzialmente lineare, sebbene aggressivo, e più vicino al thrash metal che al prog; gli elementi caratteristici ci sono quasi tutti, ben nascosti. Ai gloriosi tempi della ghost track, The Gaping Lotus Experience può essere ascoltata in quasi tuttii brani dell’EP.

  1. Vicarious

Torniamo a 10.000 days (tranquilli, Lateralus ci sarà) per Vicarious, uno degli ultimi brani e più famosi dei Tool, per il quale furono candidati ai Grammy – gli ultimi, del 2006, con una qualche parvenza di sensatezza, dato lo strapotere successivo dei Metallica. Brano corredato da videclip di un Jones in grande spolvero, forte dei successi delle clip per il precedente Lateralus; con più soldi in tasca ed un budget maggiore, il buon Jones abbandona la stop motion e fa uso di micrografie al microscopio elettronico a scansione e animazioni di membrane biologiche, occhi di creature minuscole anima in 3D – giganteschi leviatani fatti di vertebre sotto un sole cocente e una terra arida. Il misterioso pianeta, popolato da seppie gigantesche, nautilus (ah, la spirale di Fibonacci!) volanti; in sostanza, visioni tragiche e incomprensibili per un solitario Dr. Manhattan. Occorre uno sforzo mentale non indifferente per giungere alla comprensione, ed è esattamente ciò che i Tool avevano in mente: siamo tutti affascinati dall’ignoto, dal mistero morboso, dall’incomprensibile viscidume di palude, dalla caccia al serial killer, dal macabro, dal taboo; e non è ipocrita negarlo?

Vicariously I live, while the whole world dies,
You all need it too, don’t lie

  1. Jambi (ex aequo)

Con alcuni fra i riff di basso più belli della storia della musica, fra assoli distorti e batteria furiosa, Jambi proviene da 10.000 days. Partiamo dal titolo: Jambi è il nome del genio (quello dei desideri) in un oscuro show per bambini degli anni ’80, Pee-wee’s Playhouse. Il che porta il brano in una dimensione onirica, se traslata nella vita di un adulto: a che serve pregare un jinn, un dio, un genitore? Dobbiamo creare da soli i nostri desideri, e da soli raggiungerli.

Prayed like a martyr dusk to dawn
Begged like a hooker all night long
Tempted the devil with my song
And got what I wanted all along

  1. Lateralus

Lo so che è il momento che tutti stavate aspettando: il disco capolavoro dei Tool è, senza dubbio, Lateralus. Una lunga opera sulla connessione fra umano e divino, fra scienza matematica e sentimento, fra articolazioni e teoremi. E, soprattutto, un’opera perfettamente cesellata su uno dei misteri matematici che più affascinano l’umanità da sempre: la sezione aurea, la sequenza di Fibonacci. Ben prima de Il Codice da Vinci, Keenan & Soci avevano anticipato i tempi. Lateralus, brano mistico e positivista, un gigantesco lavoro di squadra in cui il batterista Carey fa il grosso del lavoro, è basato appunto sulla ritmica 1,1,2,3,5,8,13 Esattamente come i frattali, come le cimette dei broccoli, come le spirali dei nautilus, come i canoni di fotografia, come le galassie a spirale barrata, come gli stami dei girasoli, come la disposizione dei chicchi di mais sulle pannocchie.

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Una galassia a spirale. Il movimento dei bracci esterni verso il bulge centrale segue la regola della sequenza di Fibonacci.

  1. Parabola

Rimaniamo in Lateralus e nel suo reale Lynchiano, e, soprattutto, nell’impero di Jones e dei suoi videoclip. Animazioni di orecchi interni (labirinto, vestibolo, e così via) si susseguono sullo schermo, sotto lo sguardo impassibile di un omino di plastilina; visioni folli, di rimandi politici, di citazioni a registi sperimentali del passato (Tetsuo, di Shinya Tsukamoto), mele infrante, terrore.

  1. Schism

Brano più noto dei Tool che, se fossero presenti su Spotify, porterebbe loro gran parte degli ascolti, contiene il riff più bello dell’intera discografia e, forse, le liriche più sublimi. Una ballata in crescendo, di suoni etnici, di garage-rock elegantissimo: una suite sulla separazione e sulla mancanza di comunicazione. Perché ci innamoriamo? È l’amore la risposta all’eterna domanda, del perché esistiamo? L’amore segue le regole matematiche dell’Universo? Prima dello sputtanamento dell’equazione di Dirac sull’entanglement, i Tool avevano già aperto la vexata questio. Perché non riusciamo a rimettere assieme i pezzi infranti di un amore, cocci taglienti? Perché non possiamo revertire il processo, perché non possiamo andare contro le regole dell’entropia – che tutto governa, disuguaglianza di Clausius – se quella regola l’abbiamo ideata noi? Perché non è l’Universo, perché non sono gli altri, a piegarsi al nostro volere?

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Screenshot dal videoclip di Schism dei Tool.

L’amore senza comunicazione, come mostrato dai modelli del videoclip, genera solo orrore : il sonno della ragione genera mostri.

I know the pieces fit,

‘cause I watched them fall away…

di Giulia Della Pelle

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