Jonathan Millet racconta Ghost Trail, spy thriller sui fantasmi di un uomo - Cinefilos.it
 

Jonathan Millet racconta Ghost Trail, spy thriller sui fantasmi di un uomo

Progetto inizialmente concepito come documentario, Ghost Trail si ispira a una storia vera per raccontare una silenziosa caccia a un uomo che ha rovinato quella di tanti.

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In occasione della presentazione del suo primo lungometraggio di finzione alla Settimana della critica di Cannes 77, Ghost Trail, il regista Jonathan Millet ci ha raccontato la genesi di questo progetto, uno spy thriller che trasuma umanità rielaborando alcuni codici del genere spy thriller. Protagonista della pellicola è Hamid, membro di un’organizzazione segreta che dà la caccia ai criminali di guerra, vaga da solo per la Francia e la Germania alla ricerca del suo persecutore. Con l’intensa e spettrale interpretazione di Adam Bess, Ghost Trail è un film di spionaggio intimo, avvincente e sensoriale, la cui potenza ricorda i classici film di cospirazione americani degli anni ’70.

Ho fatto molte ricerche, parlato con tantissimi rifugiati siriani, che mi hanno parlato della loro vita, della prigione, di tutto ciò che succedeva dentro e poi mi sono imbattuto nella storia dei prigionieri di Saydanaya. Ero certo che questo era il film che volevo fare, prendendo tutto quello che avevo messo da parte per il documentario. Ho ricevuto delle testimonianze talmente profonde che sapevo che avrei usato i mezzi della finzione per portare queste storie al pubblico”, ha raccontato Millet sulla nascita del progetto.

Una scena di Ghost Trail (Credits: Semaine de la Critique)
Una scena di Ghost Trail (Credits: Semaine de la Critique – Festival de Cannes)

Ho passato molto tempo in Siria, prima della guerra, quindi mi ha dato un personal link. Ho molti amici lì che mi hanno mandato foto e video della guerra. Passare tanto tempo all’estero è stata la mia scuola di cinema. Mi ha insegnato come filmare le persone, come sfruttare la realtà per esprimere una verità. Per Ghost Trail abbiamo girato molto in vere location, qualcosa che la crew mi aveva detto essere impossibile ma, dopo tanti tè e tante chiacchiere, sono riuscito a convincere di lasciarmi girare lì e con tutte le vere persone“.

Per quanto riguarda il giocare con i codici dello spy movie e del documentario: “Mi sono approcciato allo spy movie nel momento in cui gli esiliati mi hanno detto che non potevano dire il loro nome perchè avevano raccontato una storia diversa per ottenere la visa, che avevano paura. Volevo raffigurare l’intensità e il rischio e sapevo di voler fare un film di genere. Adoro i film di spionaggio ma non si può dire che siano stati una vera ispirazione nel processo, perchè volevo fare il mio film, centrandolo su un punto di vista umano. Viviamo tutto attraverso gli occhi di Hamid, non c’è un punto di vista spettacolare, solo alcune scene che rimandano effettivamente al genere. Ad esempio, il grande scontro finale tra i due eroi, in questo caso, il climax del mio film sono due uomini seduti su una sedia che parlano della vita e, a un certo punto, uno dice che se ne deve andare. Ho voluto lavorare soprattutto col montaggio e il sonoro per far pensare allo spettatore: “wow, questa è la battaglia più grande che abbia mai visto“.

Il processo di casting è stato molto lungo, Millet ha dichiarato di essere stato alla ricerca di un attore con specifiche caratteristiche, e così ha trovato Adam Bess: “Ha l’intensità e l’interiorità che stava cercando, volevo qualcuno che semplicemente stando seduto riuscisse a trasmettere un ampio spettro di emozioni, che si sentissime il suo corpo tremare. Doveva essere credibile il fatto che ha vissuto la cosa peggiore del mondo ma non è in grado di dirlo: ci doveva essere una connessione immediata. Abbiamo lavorato molto sui dettagli e sulla gestualità, come un uomo che è stato in prigione tiene in mano un bicchiere, come si siede, il pubblico doveva capire che c’era qualcosa di rotto in lui ma senza dirlo mai“.

Volevo trasformare i miei personaggi in eroi del cinema per rendere omaggio a queste storie di esilio di cui avevo sentito parlare e che avrebbero fatto impallidire qualsiasi sceneggiatore di film d’avventura. La prima cosa che mi ha colpito della storia di questi esuli è l’urgenza e la modernità“, ha svelato Millet.

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