Don Marcello Farina, il prete dissidente e la morte di don Cristelli: «Combattevamo il clericalismo, il vescovo faceva registrare le mie messe» | Corriere.it

Don Marcello Farina, il prete dissidente e la morte di don Cristelli: «Combattevamo il clericalismo, il vescovo faceva registrare le mie messe»

diEnrico Pruner

Viaggio a Balbido di Bleggio, ritiro del prete-filosofo che con lo scomparso condivise l'idea di rinnovamento religioso: «La Chiesa di oggi? Fragile» 

«Il grande merito di don Cristelli? Aver aiutato la comunità cristiana trentina a distruggere il clericalismo, che è da sempre la grande tentazione della Chiesa». Ma, per don Marcello Farina, «questa operazione non è ancora finita, è un’eredità che dobbiamo raccogliere». All’indomani della morte di don Vittorio Cristelli, il prete «dissidente» che voleva portare la Chiesa della gente fuori dall’istituzione ecclesiale, don Farina analizza lo stato di salute della diocesi trentina. «Ma non senza prima un caffè».

La morte di don Vittorio Cristelli: il ricordo di don Marcello Farina

Lo incontriamo a Balbido, nel Bleggio, il paese incastonato nelle Giudicarie dove Farina è cresciuto e dove è ritornato da circa un anno, dopo i decenni trascorsi a Trento. «Nutrivo grande stima per don Vittorio, mi ha insegnato la libertà di spirito e l’attenzione ai problemi reali della gente», ci spiega mentre aspettiamo che la moka gorgogli. Si ha l’impressione di essere in una specie di rifugio culturale, a metà tra una casa accogliente e una biblioteca. In una combinazione perfettamente in equilibrio. «Una volta questa struttura era un’aia, ma dopo tanto lavoro l’ho trasformata». Le sale sono per la maggior parte incorniciate di libri. Quando saliamo la prima serie di gradini ci siamo già lasciati alle spalle tre o quattro ampi scaffali di volumi. Poi mettiamo piede nel sottotetto: «Ecco il mio pensatoio». Una scrivania, un tavolo in mezzo alla stanza, un paio di poltrone che si guardano l’una di fronte all’altra, e pile di appunti. Don Farina scrive tutto a mano e i pensieri si accumulano in faldoni. Poi altri libri: «Saranno 3.500. Almeno quelli rimasti — sorride — ne ho dovuti dare via due migliaia».

I preti dissidenti che volevano cambiare la Chiesa trentina

Una scelta d’arredo fatta anche per deformazione professionale: insegnante di filosofia al liceo, professore all’Università di Trento, docente presso il Corso superiore di scienze religiose di Fbk e presso l’Università della terza età. Il prete filosofo, come è stato rinominato, ha orientato l’ultimo mezzo secolo della vita culturale trentina, vivendo gli anni delle mobilitazioni studentesche e degli strappi con le istituzioni che non ammettevano ricuciture. Farina ha condiviso le battaglie con Cristelli e don Dante Clauser, e tutti e tre hanno subito lo stesso destino: allontanati dalla comunità clericale. Insomma, non risulta difficile considerarli intellettuali scomodi per la Chiesa trentina tradizionale. «Se mi riconosco in questa definizione? Se scomodità significa tentare di rinnovare ogni volta il messaggio cristiano, allora sì». D’altronde, riavvolge il filo don Farina, «sono figlio del Concilio Vaticano II, che è terminato nel '65, quando io sono diventato prete». Dopo il Concilio la Chiesa viene ridefinita come «comunità dei credenti» e, per converso, viene messa in crisi la struttura piramidale delle diocesi. «Ma il documento più prezioso, dal punto di vista umano, è il Gaudium et spes, che ricostruisce la relazione tra il cristianesimo e il mondo. Quest’ultimo non è più il nemico del cristiano, ma la patria della fede». 

L'ala conservatrice che rappresentava «La paura dei clericali»

La Chiesa trentina di quel periodo però non è pronta a recepire la sua riforma. Nel 1989 il vescovo Sartori, con l’incarico di «normalizzare», licenzia in tronco don Cristelli dalla direzione del settimanale Vita Trentina e anche Farina dal 1994, quando inizia a dire messa in un Duomo sempre strapieno, sperimenta le ostruzioni di Piazza Fiera: «Tutte le domeniche il vescovo faceva registrare la mia predica. In quel momento Sartori incarnava la paura dei clericali». Alcuni infatti sospettano che sia stato mandato per riunificare la comunità cristiana intorno alla vecchia guida democristiana. «Delle mie omelie infastidiva probabilmente lo stile, poi qualche puntura. Una volta paragonai Gesù a un menestrello da marciapiede, riprendendo un bellissimo romanzo di Heinrich Böll. Perché Gesù di Nazareth, dicevo, è quello che esce dalla stazione di Bonn, si siede sugli scalini e comincia a cantare. Si infuriarono». Nel 2000, «stanco di questa situazione», lascia il Duomo, portando con sé molti fedeli, che lo seguono ovunque predichi. Un ulteriore sgarbo a chi lo osteggiava, forse. «Non ho patito di essere messo ai margini, se non qualche volta. Sono stato più libero, ci hanno pensato i laici a invitarmi a fare delle cose con loro».

Don Farina: «La Chiesa oggi è molto fragile»

Ma cos’è cambiato da allora? «È un momento di grande fragilità per la Chiesa in genere, compresa quella trentina». Don Farina si concede il tempo per pensare, con gli occhi socchiusi. Sembra che voglia trovare la parola giusta da appoggiare sulle idee. E lo fa senza mai un filo di supponenza, ha il modo di parlare di chi rifiuta i piedistalli. «Penso che alla Chiesa trentina ora manchi la capacità di capire le situazioni nella loro profondità. Di accettarle. Così non c’è prospettiva e rischia di essere senza futuro. La Chiesa trentina è presente burocraticamente, ma non basta. Sta crollando dal punto di vista culturale». Al di là, dunque, degli ambiti specifici cui il mondo ecclesiastico sembra poco disposto ad applicarsi, «il vero problema è il dialogo con la realtà»: «La Chiesa di Trento è ripetitiva, nei modi di presentarsi e di pensare. Le manca uno slancio culturale, mi permetterei di dire, ma forse sono troppo severo».

I conti con l'inquietudine: «La Chiesa non può essere moralista»

Il compito non è perciò quello di «distillare certezze» consolidate, ma di mettersi in dubbio. Tuttavia rompere i meccanismi tradizionali, a detta di Farina, significa «fare i conti con l’inquietudine». E dal coraggio di sopportarla passerebbe la ricetta per una diocesi riformata: «È importante seminare problematicità anche nell’ambito della fede. Perché è l’inquietudine che la fa andare avanti, come fa andare avanti la vita, non la ripetizione dei modi di pensare e di esercitare i riti cristiani». Una soluzione, questa, che per metà è filosofica, non nasconde Farina. E lo conferma il ritratto di Kierkegaard che sorveglia la scala a chiocciola, alle spalle del prete. «Il mio amico, ormai», sorride don Farina. Del resto nel filosofo danese, che proprio attraverso l’inquietudine ha messo in scacco la fede tradizionale, non ha mai nascosto di avere un punto di riferimento. «Peraltro anche il rappresentante dei vescovi italiani l’altro giorno ha detto che il cristianesimo è inquietudine per principio», aggiunge mentre acciuffa dalla scrivania un quindicinale. «Per fortuna ci sono ancora riviste del cattolicesimo italiano aperte!». Un messaggio per la Chiesa trentina del futuro? «Di amare le donne e gli uomini di oggi e di condividerne fino in fondo il cammino, nella libertà. La Chiesa non può essere moralista. Userei le parole di Giovanni XXIII: la comunità cristiana è chiamata a difendere e custodire l’umanità delle persone e la loro libertà di spirito».

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26 aprile 2024 ( modifica il 26 aprile 2024 | 18:29)