Parlare di Demolition Man, a trent’anni dall’uscita, significa riconoscere che del futuro abbiamo sempre avuto un’idea fin troppo romanzata o epica. Quando uscì, l’8 novembre del 1993, il film di Marco Brambilla incuriosì la critica, che si divise sulla lettura da dare a questa sorta di action comedy sci-fi a maggior gloria di un Sylvester Stallone che cercava di tornare sulla cresta dell'onda. Alcuni gradirono gli innesti comici, altri li trovarono inutili per quello che doveva essere un action a tinte forti. Ma nessuno pensò per un solo istante che il duello tra John Spartan e Simon Phoenix potesse diventare un'anticipazione di ciò che sarebbe stato il mondo del futuro. In quegli anni il genere fantascientifico del resto era ancora connesso al genere post apocalittico, al cyperpunk. Saghe come Terminator o Robocop mettevano in cima alla lista la conflittuale relazione tra uomo, tecnologia e intelligenza artificiale. Ispirandosi a Il Mondo Nuovo, romanzo distopico di Aldous Huxley, il film parlò di un futuro classista, bigotto e ipocrita. Al netto dell’umorismo demenziale e pecoreccio, degli spari e dei botti, Demolition Man ha indovinato con una precisione chirurgica la realtà del XXI secolo, molto più di tanti altri titoli più celebrati.

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Sunset Boulevard

Pensate sia un’esagerazione? Andiamo con ordine. In Demolition Man ci trovavamo in un futuristico 2032, dove la violenza è cessata, dove tutto appare perfetto, moderato e tranquillo. Unico problema: ciò viene ottenuto mediante una dittatoriale costrizione, che parte dal linguaggio quotidiano, passa per i prodotti culturali e la struttura sociale, fino a coinvolgere le stesse interazioni e lo stile di vita. Dietro la patina di perfezione ottenuta dal Governatore, il dottor Raymond Cocteau (Nigel Hawthorne), la realtà a San Angeles è quella di un mondo piramidale, dove masse di disperati sono costretti a trovare rifugio nelle fogne, dove la tecnologia più avanzata è finalizzata al superfluo e non al necessario. Ed ecco che tra loro spunta Stallone con il suo John Spartan, rude e manesco poliziotto di fine anni Novanta, ibernato e poi risvegliato in contemporanea con il suo acerrimo nemico, lo psicotico criminale Simon Phoenix (un Wesley Snipes che faceva il verso a Dennis Rodman), che solo lui può fermare. Almeno questa è la teoria del tenente di polizia di San Angeles Lenina Huxley (Sandra Bullock), i cui colleghi sono assolutamente incapaci di fronteggiare Phoenix, liberato in realtà da Cocteau per distruggere chi? I dissidenti naturalmente. Demolition Man non fa neppure finta di prendersi sul serio per un secondo, ma attraverso il protagonista e il villain opera una decostruzione del mito del progresso, del futuro come paradiso e persino come inferno epico e avvincente.

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La profezia del film di Brambilla consisteva in auto elettriche, videochiamate, teleconferenze, sistemi di riconoscimento biometrici, l’informatizzazione massiccia, assistenti virtuali identici a Siri o Alexa, sesso virtuale e, cosa più assurda, la carriera politica di Arnold Schwarzenegger. Ma non si tratta di un mero elenco di invenzioni indovinate, quanto dall’aver previsto anche come la tecnologia avrebbe modificato la nostra società. Karl Marx, in tempi molto lontani, ne aveva intuito la natura di acceleratore di cambiamenti, spesso controllati dai vertici, dalle classi dominanti, per mantenere e possibilmente accrescere il proprio dominio. Guardare il povero Spartan che pregusta una serata romantica con la Huxley, solo per scoprire che tutto avviene mediante simulazione virtuale, che l'interazione fisica è ormai scomparsa. Basta farsi un giro su internet per ritrovare che la virtualità tecnologica ha causato un drastico calo dell'attività sessuale negli ultimi dieci anni. Demolition Man si connetteva nella scenografia - un mix tra decostruttivismo e cultura pop - e costumi, studiati da Bob Ringwood, a un futuro asettico e privo di variazioni. Ci fu anche il primo esempio di embedded marketing, con marchi come Pizza Hut, Taco Bell, Pepsi, MTV che furono coinvolti per mostrare (ma guarda che strano) un futuro dove il monopolio dominava l'economia.

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Sunset Boulevard//Getty Images

Il mondo in cui Demolition Man catapulta John Spartan è comandato da un leader supremo che si vede come un un rivoluzionario, un purificatore. In Cocteau si agita qualcosa di Robespierre e di Hitler certo, ma anticipa in modo perfetto l'era dei guru, del capitalismo che si arma di uno storytelling per dipingere i suoi protagonisti come geni, innovatori visionari, artisti. Da Elon Musk a Bill Gates (che da lì a poco avrebbe aperto il corso della New Economy), fino a Jeff Bezos e Steve Jobs, il nostro XXI secolo è stato guidato da uomini dall'immagine elitaria, irraggiungibile e onnipotente. E come Cocteau, si autonominano rinnovatori non solo del mondo fisico e tecnologico, ma della morale e della società. Ne consegue che non sono soggetti al giudizio di nessuno, alla morale di nessuno, perché il loro fine giustifica ogni estremismo. Poi c'è il politically correct. Spartan viene multato per bestemmie o cose di poco conto, ogni pulsione, ogni canzone o film che offenda il pudore è bandito. Il corpo umano è tanto esteticamente perfetto quanto concettualmente impuro. L'omologazione è giustificata al fine di una concordia universale che, di fatto, è una castrazione continua, un distruggere il concetto di diversità e pluralità di idee in nome della protezione di una supposta ipersensibilità.

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Sunset Boulevard//Getty Images

Demolition Man fece gli stessi incassi di un altro grande cult di allora ampiamente sottovalutato: Last Action Hero. Furono abbastanza però per gridare al successo. Negli anni a venire è finito quasi nel dimenticatoio, anche per l'impatto avuto presso il pubblico di film come Men in Black, Independence Day, Armageddon o Il Quinto Elemento. Quando poi comparve la trilogia di The Matrix si applaudì a una rappresentazione più sofisticata, più metaforicamente accattivante e concettualmente complessa del domani. Non si vuole qui ovviamente sostenere che il film di Brambilla fosse superiore a diversi tra quelli citati, stiamo parlando piuttosto di una sorta di incredibile casualità, dovuta a un insieme di fattori. Su tutto, il fatto che le idee di Huxley fossero riuscite a sopravvivere ai continui rimaneggiamenti della sceneggiatura da parte di Daniel Waters, Robert Reneau e Peter M. Lenkov. Ma nessun altro film ha indovinato tutto con tanta puntualità, con un realismo così cinicamente indovinato sulla natura umana, sul fatto che (per citare Phoenix), non si può negare alle persone il diritto di essere anche detestabili. Rimane però un mistero lungo trent'anni su questo film: come funzionavano esattamente le conchigliette?

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Giulio Zoppello

Sono nato a Padova nel 1985, da sempre grande appassionato di sport, cinema e arte, dopo dodici anni come allenatore e scoutman professionista nel mondo della pallavolo, ho deciso di intraprendere la carriera di giornalista.
Dal 2016 ho cominciato a collaborare con diverse riviste cartacee e on-line, in qualità di critico ed inviato presso Festival come quello di Venezia, di Roma e quello di Fantascienza di Trieste.
Ho pubblicato con Viola Editrice "Il cinema al tempo del terrore", analisi sul cinema post-11 settembre. Per Esquire mi occupo di cinema, televisione e di sport, sono in particolare grande appassionato di calcio, boxe, pallavolo e tennis.
In virtù di tale passione curo anche su Facebook una pagina di approfondimento personale, intitolata L'Attimo Vincente.
Credo nel peso delle parole, nell'ironia, nell'essere sempre fedeli alla propria opinione quando si scrive e nel non pensare mai di essere infallibili.