Donne di potere
nel Rinascimento
a cura di
Letizia Arcangeli e Susanna Peyronel
viella
Copyright © 2008 - Viella s.r.l.
Tutti i diritti riservati
Prima edizione: ottobre 2008
ISBN 978-88-8334-365-0
Questo volume è pubblicato con il contributo dell’Università degli studi di Milano
e del Dipartimento di Scienze della storia e della documentazione storica, nell’ambito del programma di ricerca di interesse nazionale cofinanziato dal MIUR.
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Indice
Letizia arcangeLi e SuSanna PeyroneL
Premessa
9
I. Tra famiglie e patrimoni: ricchezze materiali e immateriali
StanLey chojnacki
At Home and Beyond: Women’s Power
in Renaissance Venice
25
eveLyn WeLch
Women in Debt: Financing Female Authority
in Renaissance Italy
45
chriStina antenhofer
Il potere delle gentildonne: l’esempio
di Barbara di Brandenburgo e Paula Gonzaga
67
Laura caSeLLa
Donne aristocratiche nel Friuli del Cinquecento
tra strategie familiari e conflitti di fazione
89
Diane ghirarDo
Lucrezia Borgia, imprenditrice nella Ferrara rinascimentale
129
francine DaenenS
Debiti e crediti di una gentildonna: Isabella Sforza
145
feDerica ambroSini
Una vedova genovese nella Padova del Cinquecento:
Caterina Sauli da Passano
169
6
Donne di potere nel Rinascimento
II. Reti di poteri e spazi di corte femminili
Simona feci
Signore di curia. Rapporti di potere ed esperienze di governo
nella Roma papale (metà XV-metà XVI secolo)
195
beneDetta boreLLo
Protezioni di donne. Mogli aristocratiche e patriziato cittadino
(Gubbio, Roma, Siena XV-XVI secolo)
223
naDia covini
Tra patronage e ruolo politico: Bianca Maria Visconti (1450-1468) 247
franca Leverotti
Lucia Marliani e la sua famiglia: il potere di una donna amata
281
angeLantonio SPagnoLetti
Donne di governo tra sventura, fermezza e rassegnazione
nell’Italia della prima metà del ’500
313
aLeSSanDro barbero e thaLia brero
Genre et nationalité à la cour de Béatrice de Portugal,
duchesse de Savoie (1521-1538)
333
eLiSa novi chavarria
Reti di potere e spazi di corte femminili nella Napoli del ’500
361
Dorit raineS
La dogaressa erudita. Loredana Marcello Mocenigo
tra sapere e potere
375
aLiSon a. Smith
Women and Political Sociability in Late Renaissance Verona:
Ersilia Spolverini’s Elogio of Chiara Cornaro
405
Sara cabibbo
Percorsi del potere femminile fra Italia e Spagna:
il caso di Vittoria Colonna Enriquez (1558-1633)
417
vittoria fioreLLi
Una viceregina napoletana della Napoli spagnola: Anna Carafa
445
Indice
7
III. Donne e potere politico
chriStine ShaW
Bartolomea Campofregoso: A Woman’s Claim to Power
in Fifteenth-Century Genoa
marco foLin
La corte della duchessa: Eleonora d’Aragona a Ferrara
ceSarina caSanova
Mogli e vedove di condottieri in area padana
fra Quattro e Cinquecento
eLena PaPagna
Tra vita reale e modello teorico: le due Costanze d’Avalos
nella Napoli aragonese e spagnola
gabrieLLa zarri
Caterina Cibo duchessa di Camerino
Letizia arcangeLi
Un’aristocrazia territoriale al femminile. Due o tre cose
su Laura Pallavicini Sanvitale e le contesse vedove del parmense
roSSana Sacchi
Caterina Bianca Stampa Petra e poi Lodrone
micheLe caSSeSe
Giovanna e Maria d’Aragona: due sorelle napoletane
«doppio pregio ad una etade» e il rapporto con il potere nel ’500
SuSanna PeyroneL
I carteggi di Giulia Gonzaga
bruce L. eDeLStein
Eleonora di Toledo e la gestione dei beni familiari:
una strategia economica?
monica miretti
Mediazioni, carteggi, clientele di Vittoria Farnese,
duchessa di Urbino
Indice dei nomi
465
481
513
535
575
595
655
669
709
743
765
785
Abbreviazioni
AC
ADP
ALPMi
AOM
ASBo
ASBPd
ASCLo
ASCMi
ASCPs
ASCr
ASFe
ASFe, ANA
ASFi
ASGe
ASGe, Segreto
ASGo
ASMi
ASMn
ASMo
ASNa
ASPc
ASPd
ASPN
ASPP
ASPr
ASPs
ASPVe
ASRa
ASRoma
ASSi
ASTo
Subiaco, Biblioteca del Monastero di S. Scolastica, Archivio Colonna
Roma, Archivio Dora Pamphilj
Milano, Archivio Luoghi Pii Elemosinieri
Milano, Archivio Ospedale Maggiore
Bologna, Archivio di Stato
Padova, Archivio privato Savorgnan Bonati
Lodi, Archivio storico del comune
Milano, Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana
Pesaro, Biblioteca Oliveriana, Archivio Storico del Comune
Cremona, Archivio di Stato
Ferrara, Archivio di Stato
Ferrara, Archivio di Stato, Archivio Notarile Antico
Firenze, Archivio di Stato
Genova, Archivio di Stato
Genova, Archivio di Stato, Archivio Segreto
Gorizia, Archivio di Stato
Milano, Archivio di Stato
Mantova, Archivio di Stato
Modena, Archivio di Stato
Napoli. Archivio di Stato
Piacenza, Archivio di Stato
Padova, Archivio di Stato
«Archivio storico per le province napoletane»
«Archivio storico per le province parmensi»
Parma, Archivio di Stato
Pesaro, Archivio di Stato
Venezia, Archivio Storico del Patriarcato
Ravenna, Archivio di Stato
Roma, Archivio di Stato
Siena, Archivio di Stato
Torino, Archivio di Stato
22
Donne di potere nel Rinascimento
ASUd
Udine, Archivio di Stato
ASVat
Archivio Segreto Vaticano
ASVe
Venezia, Archivio di Stato
ASVr
Verona, Archivio di Stato
Autografoteca Campori Biblioteca Estense, Autografoteca Campori, Giulia Gonzaga
BAM
Milano, Biblioteca Ambrosiana
BAV
Biblioteca Apostolica Vaticana
BEMo
Modena, Biblioteca Estense,
BNM
Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana
BNNa
Napoli, Biblioteca Nazionale
BSNSP
Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria
BUB
Biblioteca dell’Università di Bologna
DBI
Dizionario Biografico degli Italiani
MCC
Venezia, Biblioteca del Museo Civico Correr
Mss. Oliv.
Pesaro, Biblioteca Oliveriana, Manoscritti
TLA
Tiroler Landesarchiv
marco foLin
La corte della duchessa: Eleonora d’Aragona a Ferrara
Una delle maschere indossate probabilmente con maggior piacere, e
senza dubbio con più insistenza, da molti dei principi italiani del Rinascimento fu quella del “Principe architetto”: del monarca visto non solo come
committente, ma anche come autore a tutti gli effetti delle grandi opere di
architettura realizzate nei suoi domini e più generalmente come protagonista del rinnovamento urbano delle proprie città. Ludovico Gonzaga a Mantova e Federico da Montefeltro a Urbino, i Medici a Firenze e gli Sforza
a Milano, per non dire di papi come Niccolò V o Sisto IV (e si potrebbe
continuare a lungo con altrettante figure del secolo successivo, da Giulio II
ad Alessandro Farnese, da Cosimo de’ Medici a Francesco Maria Della Rovere…): tutti interlocutori attivi dei rispettivi architetti, capaci di entrare nel
merito di questioni anche eminentemente tecniche e di imprimere un forte
marchio personale alle strategie di trasformazione urbana da loro avviate.1
1. Sul tema del “principe architetto” nel Rinascimento, cfr. ora Il principe architetto,
a cura di A. Calzona et alii, Atti del Convegno internazionale di Mantova (ottobre 1999),
Firenze 2002; più in particolare, su Ludovico Gonzaga, cfr. il contributo di A. Calzona,
Ludovico II Gonzaga principe «intendentissimo nello edificare», Ibid., pp. 257-278); su
Ercole I d’Este, cfr. T.J. tuohy, Herculean Ferrara. Ercole d’Este and the Invention of a
Ducal Capital, Cambridge 1996, pp. 277-306; e C.M. Rosenberg, The Este Monuments and
Urban Redevelopment in Renaissance Ferrara, New York 1997, pp. 148-152; su Federico
da Montefeltro, C.H. Clough, Federigo da Montefeltro’s Patronage of the Arts, 1468-1482,
in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», XXXVI (1973), pp. 129-143; sui
Medici, cfr. C. Elam, Lorenzo de’ Medici and the Urban Development of Renaissance Florence, in «Art History», I (1978), 1, pp. 43-66; C. Elam, Lorenzo’s Architectural and Urban
Policies, in Lorenzo il Magnifico e il suo mondo, a cura di G. C. Garfagnini, Firenze 1994,
pp. 357-384; e ora D. Kent, Cosimo de’ Medici and the Florentine Renaissance, London
2000 (trad. it. Il committente e le arti. Cosimo de’ Medici e il Rinascimento fiorentino, Milano 2006). Più in generale, sul tema della magnificenza come virtù sovrana per eccellenza,
cfr. A. Fraser Jenkins, Cosimo de’ Medici’s Patronage of Architecture and the Theory of
Magnificence, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», XXXIII (1970), pp.
162-170; L. Green, Galvano Fiamma, Azzone Visconti and the Revival of the Classical
482
Marco Folin
Questo mito del sovrano costruttore aveva dietro di sé modelli illustri: i grandi re della Bibbia, da Davide a Salomone; i massimi imperatori
dell’Antichità, da Augusto a Costantino; le più carismatiche incarnazioni
degli ideali monarchici medievali, da Federico II a Carlo V il Saggio. Nondimeno, assolutamente tangibili e attuali erano i problemi che lo alimentavano nell’età del Rinascimento, quando il controllo delle attività edilizie
e il commercio dei materiali da costruzione, il finanziamento delle opere
pubbliche e la regolamentazione del mercato degli immobili, la disciplina
degli spazi pubblici e l’istituzione di magistrature competenti in materia di
decoro urbano costituivano altrettanti strumenti di governo in ambiti tanto
vari quanto cruciali agli occhi dei sudditi. C’era poi una questione oggettiva, molto concreta, con cui la generazione di Signori al potere intorno alla
metà del Quattrocento si trovò immancabilmente a fare i conti, in Italia: il
problema della reggia, ossia la residenza ufficiale, che per ogni sovrano
rappresentava il primo banco di prova della propria magnificenza, nonché
uno dei più eloquenti mezzi di espressione degli indirizzi ideologici a cui
si ispiravano le proprie strategie di governo.
Nella Penisola, in effetti, erano assai pochi i sovrani in grado di poter
vantare una vera e propria reggia al passo con i tempi. I loro corrispettivi
d’Oltralpe risiedevano in splendidi castelli; a Roma il papa disponeva di
un palazzo che risaliva addirittura a Costantino; persino i regimi comunali,
e prima di loro i poteri vescovili, nel momento in cui si erano proclamati
autonomi erano stati in grado di veder rispecchiate le proprie ambizioni in
“architetture di potenza” di grande respiro. Al contrario, negli anni della
pace di Lodi la maggior parte dei Signori italiani dimoravano in edifici
che non potevano definirsi altro che “vecchie case”, per dir così, spesso di
scarso o comunque desueto pregio architettonico. Né ciò può essere motivo di stupore, quando si ponga mente alle origini cittadine, spesso mercantili, della maggior parte delle dinastie signorili italiane, e ai rapporti molto
stretti che esse avevano intrattenuto e continuavano a intrattenere con le
istituzioni comunali, rispettandone sempre – sia pur solo formalmente – le
consuetudini.
Theory of Magnificence, «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», LIII (1990),
pp. 98-113; M. Warnke, Liberalitas principis, in Arte, committenza ed economia a Roma e
nelle corti del Rinascimento (1420-1530), a cura di A. Esch, C.L. Frommel, Torino 1995,
pp. 83-92; L. Giordano, Edificare per magnificenza. Testimonianze letterarie sulla teoria e
la pratica della committenza di corte, in Il principe architetto, pp. 215-228.
La corte della duchessa: Eleonora d’Aragona a Ferrara
483
Nella seconda metà del Quattrocento, però, per molte di queste dinastie – si pensi agli Sforza e ai Montefeltro, agli Este e ai Gonzaga, ai Malatesta e ai Manfredi – i tempi erano ormai maturi per ovviare all’originaria
carenza di legittimità sovrana, così trasparente anche sul piano edilizio, e
dotarsi di quella reggia che esse non avevano mai avuto: un nuovo palazzo
all’altezza delle loro mutate aspirazioni, in grado di competere sul piano
del prestigio con le dimore ben altrimenti illustri delle grandi dinastie europee con cui il confronto non era più procrastinabile.
È sullo sfondo di questo scenario che si svolge la vicenda per molti
versi esemplare del rinnovamento degli edifici di corte avviato da Ercole I
d’Este a Ferrara negli ultimi trent’anni del Quattrocento. A questa data gli
Este dominavano in città da oltre due secoli: com’è noto, la loro era la più
antica dinastia signorile italiana (Obizzo d’Este era stato nominato Signore
perpetuo di Ferrara nel 1264). E da secoli essi avevano una casa in città,
sulla piazza di fronte alla cattedrale: una casa che nelle fonti è sempre definita «domus» e non mai «palacium», perché non aveva mai ricevuto un
assetto davvero monumentale, presentandosi ancora in pieno Quattrocento
come un coacervo di corpi di fabbrica distinti ed eterogenei, variamente
aggregati ai lati di una strada pubblica.2 Non ne faceva parte solo la «corte
vecchia» (l’antica sede marchionale, in cui per altro i marchesi risiedevano
di rado), ma anche altri edifici, fra cui le stalle di muli e cavalli, i magazzini, le caneve, una porcilaia, una macelleria, e generalmente mille «puzi,
casabitoli, letame da cavali, le legne dela corte, stancie da cani et mile gaiofarie» che tracimavano «suso piacete stomogose», dove «se vendevano
li porci et vini in vasselli et poledri», come scriveva con una certa insofferenza il cronista Ugo Caleffini ancora nel 1472.3
Sino agli anni ’70 del Quattrocento non sono attestati tentativi di rinnovare complessivamente questo “sistema palaziale” sparso e disarticolato, salvo una serie di interventi abbastanza puntuali ed estemporanei. Sarà
solo Ercole I d’Este ad avvertire l’esigenza di prendere le distanze anche
formalmente dal passato dedicandosi con energia all’impresa di ristrutturare radicalmente il palazzo di corte per adeguarlo a canoni albertiani, accor2. Cfr. M. Folin, La committenza estense, l’Alberti e il rinnovamento del palazzo di
corte di Ferrara, in Leon Battista Alberti architetto e i suoi committenti, a cura di A. Calzona, F.P. Fiore, Firenze, in corso di stampa.
3. U. Caleffini, Croniche 1471-1494, Ferrara, Dep. Provinciale Ferrarese di Storia
Patria, 2006 (Monumenti, XVIII), p. 17.
484
Marco Folin
pando gli edifici prima disgiunti, costruendo una facciata monumentale,
una serie di ambienti di alta rappresentanza e un cortile d’onore destinato
a ospitare tutti gli offici di governo, nonché più in generale ridistribuendo nella nuova struttura così ottenuta locali e funzioni secondo un ordine
di matrice gerarchica.4 Furono così nettamente separati gli spazi destinati
rispettivamente ai bassi servizi di corte e a una fruizione pubblica da una
parte (cucine, caneve, magazzini, botteghe, offici ecc.); e i quartieri “nobili” riservati al duca, alla sua consorte e ai rispettivi seguiti dall’altra:
i primi quasi esclusivamente relegati al piano terra, i secondi ospitati al
piano nobile o nei recessi meno accessibili di quello che ormai veniva a
configurarsi come un vero e proprio palazzo (Fig. 1).
Nonostante tutti gli sforzi e gli investimenti profusi da Ercole I d’Este,
tuttavia, l’edificio che nel secolo successivo sarebbe divenuto la principale
sede della corte e il simbolo stesso del potere ducale in città non fu l’antica
domus estense rinnovata alla fine del Quattrocento, bensì l’adiacente Castelvecchio, che nell’arco di cinquant’anni venne trasformato da vecchia
roccaforte militare costruita minacciosamente a cavallo delle mura (secondo la sua destinazione originaria) in una dimora regale fra le più splendide
della Penisola. E l’avvio di questo processo, che avrebbe avuto una serie di
conseguenze profondissime sull’immagine urbana ferrarese nei secoli seguenti, non va ricondotto tanto al furor edilizio di Ercole I, quanto soprattutto all’intraprendenza di sua moglie, la duchessa Eleonora d’Aragona.
Che Eleonora fosse una donna di polso, dovette subito apparire evidente a chiunque sin dal suo primo ingresso trionfale in città «suxo uno
cavalo bianco, vestita de drapo de horo ala napulitana, con li chapili zoxo
per le spale et una corona preciosissima in capo».5 Di lì a non molto
4. Cfr. Folin, La committenza estense; oltre a Rosenberg, The Este Monuments, ad
indicem; e Tuohy, Herculean Ferrara, ad indicem.
5. Hondedio di Vitale, Cronaca (Biblioteca Ariostea, Ferrara, Coll. Antonelli, Ms.
257), c. 18v. Sulla figura di Eleonora, cfr. ancora il sempre fondamentale L. Chiappini, Eleonora d’Aragona, prima duchessa di Ferrara (indice analitico dei nomi e delle
lettere), in «Atti e memorie della Deputazione ferrarese di storia patria», XVI (1956);
W.L. Gundersheimer, Women, Learning and Power: Eleonora of Aragon and the Court
of Ferrara, in Beyond their sex. Learned Women of the European Past, a cura di P.H.
Labalme, New York-London 1984, pp. 43-65, 51; e sulla sua committenza, in particolare, R. Wilkins Sullivan, Three Ferrarese Panels on the Theme of “Death rather than
Dishonour” and the Neapolitan Connection, in «Zeitschrift für Kunstgeschichte», LVII
(1994), 4, pp. 610-625; e B.L. Edelstein, Nobildonne napoletane e committenza: Eleo-
La corte della duchessa: Eleonora d’Aragona a Ferrara
485
Fig. 1. Il palazzo di corte di Ferrara nel 1477-1505 (elaborazione dell’Autore):
a. Giardino pensile di Eleonora; b. Giardino del Padiglione; c. Cortile Nuovo; d. Cappella
di Corte; e. Scalone; f. Giardino segreto del duca; g. Foresteria; h. Camere dorate, nuovi
quartieri ducali; i. Loggia sotto la Sala grande; l. Sito della sala delle commedie.
un cronista come Hondedio di Vitale la descriveva un po’ astiosamente
come donna
de statura bassa e picola, grassa e grosa, lo volto largo, lo colo curto, più
bruna che biancha, la bocha bicola [sic], lo ochio negro e picolo, non molto
ponposa del vestire: havea lo naxo picolo, uno puocho rivolto in suxo. Et
era altiera e subita e tirana: lei facea gratie ma puoche, chi li parlava ala
nora d’Aragona ed Eleonora di Toledo a confronto, in «Quaderni Storici», XXXV, 104
(2000), pp. 295-330.
486
Marco Folin
audiencia convenia stare in gienochiuni come se havesse adorato Dio e cusì
lei voleva.6
Di certo Eleonora era consapevole del proprio rango reale, molto superiore a quello del marito: era figlia di Ferrante d’Aragona, re di Napoli,
e di Isabella Chiaramonte, principessa di Taranto e sia pur in contumacia
regina di Gerusalemme (altra donna energica, capace nel bel mezzo della guerra dei Baroni di travestirsi da frate francescano per attraversare la
Campania, entrare nel campo nemico e avere un colloquio con suo zio il
principe di Taranto, convincendolo ad abbandonare la causa angioina e
determinando così di lì a poco la vittoria aragonese).7 Giovanni Sabadino
degli Arienti ne ricordava soprattutto l’«aspecto regale», così innato che
«qualuncha incognito l’havesse veduta, o sola, overo in compagnia de altre
donne, non per distinctione de vestimente overo altri portamenti, ma solo
per la maiestà delo aspecto che era in lei, senza dubio l’haverebbe iudicata
regina».8
Dalla madre, Eleonora non dovette ereditare solo l’energia e il gusto
per l’ostentazione del rango (una sua lettera dell’aprile 1492 ce la mostra
nell’atto di trattenere una «copia dela incoronazione dela regina di Franza»
per «legerla a [suo] parere»),9 ma anche la determinazione a sostenere in
tutto e per tutto la politica del marito, in una logica dinastica che portava la
consorte a mettere tutte le proprie risorse al servizio della causa della famiglia acquisita, ovvero – in prospettiva – del nome che avrebbero portato i
suoi figli.10 Era lei stessa a teorizzarlo con enfasi in una lettera del 15 aprile
6. Hondedio di Vitale, Cronaca, c. 18v.
7. Cfr. G.S. degli Arienti, Gynevera de le clare donne, a cura di C. Ricci, A. Bacchi
della Lega, in Scelta di curiosità letterarie inedite o rare dal secolo XIII al XIX, Romagnoli,
Bologna 1887 (rist. an. Bologna 1968), cap. 23.
8. Ibid.
9. Chiappini, Eleonora d’Aragona, p. 106.
10. Per qualche termine di confronto, cfr. C.M. Hibbard, The Role of a Queen Consort. The Household and Court of Henrietta Maria, 1625-1642, in Princes, Patronage and
the Nobility. The Court at the Beginning of the Modern Age, a cura di R.G. Asch, A.M.
Birke, New York 1991, pp. 393-414; R. Averkorn, Women and power in the Middle Ages:
political aspects of medieval queenship, in Political Systems and Definitions of Gender
Roles, a cura di A.K. Isaacs, Pisa 2001, pp. 11-32; S.L. Jansen, The Monstrous Regiment of
Women. Female Rulers in Early Modern Europe, Basingstoke 2002; M. Folin, Bastardi e
principesse nelle corti del Rinascimento: spunti di ricerca, in «Schifanoia», XXVIII-XXIX
(2007), pp. 246-259.
La corte della duchessa: Eleonora d’Aragona a Ferrara
487
1491 indirizzata a sua figlia Isabella (fresca marchesa di Mantova), in cui
dichiarava che «chi ha marito et Stato bisogna che anche habi dele fatiche», e che precipuo dovere di una principessa nei confronti dei propri figli
fosse quello di «attendere a mantenirli et conservarli la roba et Stato, et fare
le cose che siano necessarie ali subditi et citadini suoi secundo accade».11
Idee analoghe sono del tutto ricorrenti nel ricchissimo carteggio fra Eleonora ed Ercole I, in cui spiccano numerose lettere autografe: la duchessa,
infatti, amava scrivere di propria mano, salvo suscitare i lamenti del segretario che poi doveva leggere le missive al consorte e che la «supplic[ava]
che non me scriva più de sua mano, per doe cagione: la prima perché la non
duri questa fatiga, che basta bene se vostra signoria scrive ogni giorno al signor duca; l’altra perché quando vedo le lectere de mano de vostra signoria
non le posso legere senza lacrime per forma che porto grandissima pena a
leggerle».12 Effettivamente, la grafia della duchessa era pessima.
Sta di fatto che nei periodi in cui Ercole era lontano da Ferrara, o ammalato, o troppo preso dai suoi progetti artistici e architettonici (gettando
nello sconforto i propri officiali), era Eleonora che si occupava di ogni
questione di governo, sbrigando personalmente anche gli affari più minuti,
dalla gestione delle finanze al controllo degli officiali, dall’amministrazione della giustiza al disbrigo delle suppliche, tenendo regolarmente udienze
e curando i rapporti con gli enti ecclesiastici e l’aristocrazia cittadina. Nel
11. Archivio di Stato di Mantova (ASMn), Archivio Gonzaga, b. 1183 (pubblicata
anche in Chiappini, Eleonora d’Aragona, p. 75): «ritrovandosse gratia de nostro signore
Idio al presente sane et andando ale suore del Corpo de Christo et in altri luochi religiosi
per nostra devotione et consolatione, ni è parso darvene noticia, rendendone certe che ve
ne ralegrareti come anche nui facemo de voi et del vostro ben stare et deli successi vostri
et grande dimostratione che fae de voi lo illustre signor marchese vostro consorte, secondo
che habiamo inteso che ni è stato summamente grato et accepto; et ni pigliamo incredibile
piacere per ogni rispecto, maxime rimettendovi li spazi quasi de tute le cose che accadeno.
Et sibene ni persuadiamo che siati prompta et usati diligentia in expedirle come se conviene, tutavia essendo desiderose che in ogni vostra actione conseguite honore et laude, vi
racordamo ad essere solicite et diligente circa quanto sii necessario et expediente, non vi
gravando la fatica et pigliandovi ogni cosa per piacere, perché ne sentireti mancho et stareti
più cum l’animo riposato quando le habiati expedite, che ben sapeti che chi ha marito et
Stato bisogna che anche habi dele fatiche, reducendovi a memoria che anche haveti ad havere deli figlioli et che bisogna attendere a mantenirli et conservarli la roba et Stato, et fare
le cose che siano necessarie ali subditi et citadini suoi secundo accade».
12. ASMo, Archivio segreto estense, Ambasciatori, Firenze, b. 1: lettera di Paolo Antonio Trotti a Eleonora d’Aragona, 7 settembre 1478.
488
Marco Folin
Fig. 2. Ritratto di Ercole I d’Este e Eleonora d’Aragona, 1473 (da G.F. Hill, A Corpus of Italian Medals of the Renaissance before Cellini, London, British Museum, 1930, tav. 366).
novembre 1482, ad esempio, in uno dei momenti più difficili della Guerra
di Ferrara – il duca a letto agonizzante da settimane, i nemici ormai alle
porte – fu Eleonora a convocare i «zintilhomini, magnati, citadini e plebei
de ogni sorte» nel giardino interno del palazzo di corte: «piangendo forte
e lacrimando pregava tuto il populo et maxime li principali che vollesseno esser fidelli al duca nostro», usando «tale e simele parole [...] che
epsa faceva tuto il popolo lacrimare», riuscendo appunto con il suo «pianto
La corte della duchessa: Eleonora d’Aragona a Ferrara
489
honesto e singulti» a galvanizzare gli animi per l’estrema (e vittoriosa)
resistenza.13 Ma non era solo nei momenti d’emergenza, e non era solo
facendo leva sulle emozioni suscitate dalla fragilità femminile, che Eleonora si mostrava capace di reggere le redini del governo: un promemoria
intitolato Recordi che facea la excellentia de Madama, per esempio, ce
la mostra sovrintendere regolarmente all’operato degli officiali finanziari,
controfirmando «de sua mane» le «liste dove se havea a dispensare [i] dinari»; nonché controllare periodicamente l’attività delle Camere, masserie
e castalderie del dominio, e dirigere personalmente l’accoglienza a corte
degli ospiti di riguardo («andava alle camere delli forestieri in persona a
vedere se erano bene ordinate et mettevali sopra sescalchi che intendesse
se le brigate era bene atratade et che non fusse robate le robe»).14
Tant’è che la sua capacità di integrarsi nell’ambiente ferrarese, contribuendo in maniera determinante alla saldezza del potere estense, è un dato
ampiamente sottolineato non solo dagli scrittori encomiastici (come Bartolomeo Goggio o Iacobo Filippo Foresti, per esempio),15 ma anche dai cronisti coevi, non necessariamente benevoli nei suoi confronti, ma concordi
13. Sull’episodio, che colpì profondamente l’immaginzione dei ferraresi ed è riportato
in tutte le cronache coeve, cfr. M. Folin, Rinascimento estense. Politica, cultura, istituzioni
di un antico Stato italiano, Roma-Bari, 2001, pp. 165 sgg.; i passi riportati nel testo sono
tratti da B. Zambotti, Diario ferrarese dall’anno 1476 sino al 1504, appendice a Diario
Ferrarese dall’anno 1409 sino al 1502 di autori incerti, a cura di G. Pardi, in Rerurm Italicarum Scriptores2, XXIV/7, Bologna, 1928, pp. 118-119; e G. Ferrarini, Memoriale estense
(1476-1489), a cura di P. Griguolo, Rovigo, 2006, pp. 155 e 156.
14. ASMo, Casa e Stato, Documenti spettanti a principi estensi, Ramo ducale, Principi non regnanti, b. 19; vedi anche infra, Appendice.
15. Cfr. in particolare Ad divam Eleonoram de Aragona inclitam ducissimam Ferrarie
de laudibus mulierum Bartholomei Gogii, British Library, London, Ms Add. 17,415 (su cui
cfr. W.L. Gundersheimer, Bartolomeo Goggio: A Feminist in Renaissance Ferrara, in «Renaissance Quarterly», 33, 1982, pp. 175-200); e F. Foresti, De plurimis claris selectisque
mulieribus, Ferrara, Lorenzo de Rossi di Valenza, 1497 («ipse maritus cognita adolescentule admirabili prudentia et celebri ingenio mox eidem universam pene sui regni administrationem illius fide et consilio maxime fretus credidit quod et ad ultimum vite sue usque
pro maiori parte administravit. Quod maritus ipse in armis exercitatissimus minus propter
stipendia atque alia maiora regni negotia domi esse poterat»; c. cLxiv). Fra le altre opere dedicate a Eleonora, vanno per lo meno citate: F. Ariosto Pellegrino, De fausta illustrissimae
divae Heleonorae in Mantuanos profectione (BEMo, Ms. Lat. 499 [alpha O.9.18]); M. del
Canale, Divae Lionorae Estensi elogia (Ivi, Ms. Lat. 48 [alpha O.7.8]) e B. Guarini, Oratio
funebris in reginam Leonoram Aragoniam, Ferrara 1493 (su cui cfr. D. Fava, La bibliteca
estense nel suo sviluppo storico, Modena 1925, pp. 116-122).
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Marco Folin
Fig. 3. Ritratto di Ercole I d’Este e Eleonora d’Aragona, 1473 (da Hill, A Corpus of Italian
Medals, tav. 117).
nel rilevarne il ruolo di primo piano sulla scena politica cittadina.16 Alla sua
morte, in particolare, il diarista Ugo Caleffini – che nel 1482 elencando i
«Grandi» che «regnavano a Ferrara» aveva potuto mettere al primo posto
proprio Eleonora – la evocava come
benivola al populo, per lo suo dare audientia al populo et spazare le facende
di subditi del suo signore marito, et poi per le sue sanctimonie et bontade,
però che viveva proprio da suora et faceva tante elimosine ad ogni religione
et povertade, seu in vita sua havea facto, che era una meraviglia et cossa
incredibile; et tanto bene havea gubernato il Stato del duca Hercule et cum
amor de ogni persona che è incredibile.17
Non è dunque un caso che le venissero dedicati ben due trattati sull’ar16. Solo a titolo d’esempio, cfr. Ferrarini, Memoriale estense, p. 94: «quando lo illustrissimo duca nostro di Ferrara andò a Fiorenza per aiutare fiorentini per esser lì capitaneo
dete il governo dela segnoria sua in le mane dela duchessa nostra di Ferrara, la qual una con
alcuni soi nobili havesse a governare il stato tuto suo. Et così al presente lo governa con
gran amore et benevolentia deli populi».
17. Caleffini, Croniche, p. 892; quanto all’elenco dei «Grandi» che «regnavano» a
Ferrara, vedi Ibid., pp. 362-363.
La corte della duchessa: Eleonora d’Aragona a Ferrara
491
te di governo – il De regentis et boni principis officiis di Diomede Carafa
e il Canto del modo di regnare di Antonio Cornazzano –, testi fra loro
diversissimi (sorta di prontuario di consigli pratici l’uno, divagazione essenzialmente letteraria l’altro), accomunati però entrambi dall’attribuire
alle principesse né più né meno che gli stessi compiti attributi al Principe,
prescrivendo loro le medesime Virtù necessarie a qualsiasi sovrano indipendentemente dal suo sesso.18 Un’idea, questa, di cui si ha una perfetta
trasposizione iconografica nelle due medaglie fatte fondere da Ercole I
d’Este in occasione delle nozze con Eleonora nel 1473, in cui il duca e la
duchessa appaiono effigiati – in un caso rispettivamente sul recto e sul verso, nell’altro affrontati sulla medesima faccia della medaglia – su un piano
di assoluta parità (Figg. 2-3).19
18. Cfr. D. Carafa, Memoriali, a cura di F. Petrucci Nardelli, Roma 1988; e A. Cornazzano, De modo regendi et regnandi (BEMo, Ms. IT 177 [alpha J.6.21], cc. 22r-32r); su
cui cfr. D. Zancani, Writing for women rulers in Quattrocento Italy: Antonio Cornazzano,
in Women in Italian Renaissance Culture, pp. 57-75; e A. Musso, Del modo di regere e di
regnare di Antonio Cornazzano: una Institutio principis al femminile, in «Schifanoia», XIX
(1999), pp. 67-79. Che Eleonora nutrisse una forte consapevolezza delle proprie esperienze
di governo è attestato, fra l’altro, da una lettera di condoglianze da lei inviata a Francesco
Gonzaga per la morte del padre, nel luglio 1484, in cui la duchessa di Ferrara non si peritava
di suggerire maternamente al novello marchese di Mantova una serie di consigli sul miglior
modo di esercitare il principato: «cordialissimamente ricordaremo a quella come se bene
Dio li ha dato quello dominio in questo tempo dove vostra signoria se ritrova assai zovene
de anni, il fa bisogno vestire un altro homo, et farsi vechio de prudentia, de sapientia, et
dele altre condegne virtù che se richiedono in uno Signore, havendo sempre principalmente
in fermo proposito de reverire lo altissimo Dio, et mai non se luntanare da quelle cose che
siano secondo li ordeni et comandamenti de Dio; et cussì in ogni parte sempre distendere il
governo vostro in quello che comporti la iustitia senza conoscere uno da un altro a ragione,
ma indifferenter volere quod unicuique ius suum contribuatur. Queste poche parole ni è
parso tochare per questa nostra perché cognoscemo che veramente queste doe parte sono
le principale che se convengono ali Signori temporali, cioè timore de Dio e proposito di
iustitia, ultra che vostra signoria da se stessa scia che a bellezza et ornamento de chi governa
quante più excellente virtù ge concorre tanto più se illumina, et per fama et per opinione de
altri, et tandem per condigni meriti dalo aeterno Idio», A. Luzio, Isabella d’Este e Francesco Gonzaga promessi sposi, in «Archivio storico lombardo», s. IV, IX (1908), p. 23.
19. Sull’iconografia di Eleonora, cfr. E. Corradini, E. Luciano, Ritratti femminili sulle
medaglie. Da Eleonora d’Aragona, prima duchessa di Ferrara, a Caterina Sforza, contessa di Imola e di Forlì, in Caterina Sforza, una donna del Cinquecento. Storia e Arte tra
Medioevo e Rinascimento, Imola 2000, pp. 147-153; per qualche spunto comparativo, cfr.
J. De Vries, Caterina Sforza’s Portrait Medals: Power, Gender and Representation in the
Italian Renaissance Court, in «Woman’s Art Journal», XXIV (2003), 1, pp. 23-28.
492
Marco Folin
Eleonora si vedeva dunque apertamente riconosciuto un ruolo essenziale in quasi ogni ambito di governo, non solo in città ma in tutto il dominio. Ed è quanto mai significativo che ben presto essa stessa abbia sentito
l’esigenza di vedere rispecchiata questa preminenza anche in termini di
organizzazione spaziale dei quartieri di corte, in un assetto edilizio che
recepisse i fattori cui s’è accennato e desse loro un’adeguata espressione
architettonica.20
Al suo arrivo a Ferrara nel 1473, la duchessa aveva trovato alloggio
nel vecchio palazzo di corte, in un appartamento fatto frettolosamente allestire per lei da Ercole: a Ferrara, infatti, dal momento che Borso non si era
mai sposato, era da quasi trent’anni che mancava una principessa consorte;
per altro, anche nella prima metà del secolo le marchese avevano avuto a
disposizione dei quartieri sì distinti da quelli del marito, ma generalmente
contigui, nel corpo di fabbrica principale del palazzo di corte.21 Un inventario del 1436 ce ne offre una descrizione sommaria: Rizzarda da Saluzzo,
moglie di Nicolò III, viveva nella torre del palazzo, e aveva a disposizione
una decina di locali prospicienti la piazza di Ferrara, che annoveravano fra
l’altro una sala, una «caminata», la sua stanza da letto (decorata ad «alicorni») e alcune camere per le figlie bastarde del marchese e le lavandare
di corte.22 Margherita Gonzaga, dal canto suo, consorte dell’erede al trono
20. Per qualche riferimento europeo, cfr. Architecture et vie sociale à la Renaissance,
a cura di J. Guillaume, Paris 1994; M. Chatenet, La cour de France au XVI siècle: vie
sociale et architecture, Paris, Picard, 2002; e S. Thurley, Hampton Court. A social and
architectural History, New Haven 2003.
21. Sull’assetto della domus estense nella prima metà del Quattrocento, cfr. Tuohy,
Herculean Ferrara, pp. 40-41 e 95-104; M. Folin, Studioli, vie coperte, gallerie: genealogia di uno spazio del potere, in Il Camerino di alabastro. Antonio Lombardo e la scultura
all’antica, a cura di M. Ceriana, Milano 2004, pp. 97-101; e ora M. Folin, La committenza
estense.
22. L’elenco completo delle «stantie dove habita la illustre nostra madona Riçarda
dona del nostro illustre Segnor cum le soe done, zoè in la chamara dala tore» comprendeva:
la «guardaroba de madona marchesa», il «pozolo sovra la piaza grande dala tore», la «sala
biancha dala tore», la «chaminada denanci ala dicta sala», la «saleta denanci ala dicta sala»,
la «saleta denanci ala gixiola», la «chamara dala giorieta in la quale habita la Tarsia et
compagne lavandare», la «chuxina da giorieta», la «chamara dale rode in la quale habita la
illustre madona Lucia fiola del nostro Segnore», la «chamara dale cholone in quale quale
habita madonna Fiorenza», la «chamara dali alicornii dove habita la illustre madona nostra»
(G. Bertoni, E.P. Vicini, Il castello di Ferrara ai tempi di Niccolò III. Inventario della suppellettile del castello (1436), Bologna 1906, pp. 71-77).
La corte della duchessa: Eleonora d’Aragona a Ferrara
493
Leonello, possedeva un altro appartamento lì adiacente che comprendeva
la camera della futura marchesa di Ferrara, affrescata con scene cavalleresche del ciclo di Lancillotto, nonché altri locali per i famigli, le «donzele»
e le dame di compagnia: in definitiva, gli alloggi delle donne di corte presi
nel loro complesso non superavano le 20 stanze, in cui le nobildonne si
trovavano a condividere i medesimi spazi con i propri domestici, a stretto
contatto con alcuni ambienti di servizio come le cucine, la lavanderia, la
stanza «dali rechamaduri» e i magazzini della Grascia.23
Nei suoi primi anni di regno Ercole non si distacca sostanzialmente da
questa tradizione, anche perché Eleonora ha una corte relativamente poco
numerosa: una ventina di servitori, un’altra ventina fra compagni, gentiluomini di camera, scudieri e officiali vari (tutti ferraresi, però, e dunque
non residenti a corte) e un numero imprecisato ma non molto alto di dame
di compagnia napoletane: un seguito, insomma, che poteva essere alloggiato in poche stanze senza porre troppi problemi.24
Tre anni dopo, tuttavia, nel 1477, anche in seguito allo sfortunato colpo di mano di Nicolò di Leonello d’Este (che tanto per cambiare trovò Eleonora sola a Ferrara, e costretta a rifugiarsi nel Castelvecchio per scampare
alla furia dei congiurati che aizzavano la popolazione contro di lei),25 la
23. «Chamare dove habita la illustre madona Malgarita dona delo illustre messer Lionello»: «chamara dali cimeri et rode dove habita madona Paganina da Mantoa», «guardaroba dela dicta camara», «chamara grande dove habita le donzele dela dicta madona Malgarita», «chamara de Lanziloto dove habita madona Malgarita predicta», «saleta dela chapela»,
«saletin denançi ala saleta dela chapela», «sala dale cholone», «chamara che fo dal pozolo
in la quale habita Zohane da Ravena famio de madona Malgarita predicta», «guardachamara dela dicta camara dove habita el Rizo de Alemagna famio dela dicta madona Malgarita»,
«chuxina dela illustre madona Rizarda et de madona Malgarita de messer Lionelo» (Ibid.,
pp. 112-119 e 145-147).
24. Nel 1476 la «fameglia» di Eleonora comprendeva sette compagni e consiglieri,
dieci scudieri e una trentina di servitori, senza contare le dame di compagnie (cfr. Caleffini,
Croniche, pp. 156-157). Hondedio di Vitale, da parte sua, commentava così: «questa tale
Dona e madona certo era savia nel governo suo [...]: de le donzele ferarese ne tenia con llei
e in puocho tempo le maritava e donavali del suo in docta; al governo dela persona sua de
done erano tute napulitane, niuna ferarexe non erano salvo che per cumpagne – che pure ne
havea alcune, ma puoche. Le done che con lei condusse da Napuli che fusseno da marito,
tuto le maridò bene e in ferrarixi; infino ale schiave sue die’ marito et alogole bene. De
homini al suo governo tuti erano Ferrarixi» (Hondedio di Vitale, Cronaca, c. 18v).
25. Durante la sua infelice incursione in città – scriveva un cronista – Nicolò di Leonello cercò (invano) di far insorgere il popolo ferrarese contro Ercole I «chiama[ndo] ogni
homo che vedeva per la terra et sì li diceva “Cridati Vella, Vella! Eccove che l’è venuto il
494
Marco Folin
duchessa prese una decisione del tutto priva di precedenti in città, optando
per risiedere in un edificio a sé stante, separato da quello dove abitava il
marito, facendosi allestire un nuovo, regale, appartamento appunto nella
rocca in cui qualche mese prima aveva trovato rifugio nel momento di
emergenza (Fig. 4). Così, nel febbraio di quell’anno – riferisce un cronista
– «se principiò a lavorare in Castel Vechio, a fare armature dentro via per
volerge fare stantie per madona duchessa, che prima non se ge potea habitare da zintilhomini».26 La cosiddetta «Via coperta» (ovvero il corridoio
sopraelevato che collegava il palazzo di corte alla rocca) fu provvista di un
nuovo tetto lastricato; magazzini, camerini, cucine e guardaroba presero
il posto di armerie e corpi di guardia; tutte le aperture dei camminamenti
vennero murate per evitare che i bambini (Alfonso non aveva allora nemmeno due anni) vi cadessero per errore, e più generalmente fu tutta la mole
trecentesca ad essere ingentilita da logge, finestre, balconi e giardini. Un
grande giardino pensile, in particolare, fu costruito sopra tutta la cortina
orientale del castello – intervento assolutamente originale e di forte pregnanza simbolica: lì dov’erano spalti e armigeri veniva ora costruito un
locus amoenus, riservato agli svaghi delle dame.27 Un secondo giardino fu
costruito a nord del castello, oltre il fossato, nel borgo di San Guglielmo:
adorno di un ammiratissimo padiglione cui facevano corona fontane e loggiati, bagni e pergolati, nonché aiuole di fiori, cespugli di erbe odorose e
alberi da frutta d’ogni genere, «alevati con egregia arte e similitudine che
con penello da optimo pictore se se potesse pore»: un piccolo paradiso in
terra, «luoco celeste», come lo definiva Sabadino degli Arienti, paragonandolo al «bel zardino de Iohachino de Babilonia».28
vostro Signore a cavarve dale mani de catellani [= castigliani, ovvero napoletani]. Non si
vui contenti de acceptarme per Signore vostro? Io ve mantegnerò lo frumento tuto questo
anno a dodice bolognini, dove siti tuti afamati et asediati» (Caleffini, Croniche, pp. 180185). Ulteriore conferma, questa, della preminenza presto acquisita da Eleonora a corte.
26. Zambotti, Diario ferrarese, p. 31.
27. Cfr. Tuohy, Herculean Ferrara, pp. 95-104.
28. Gundersheimer, Art and Life, pp. 52-55 («certo pare luoco celeste. Quando dentro
in quello entrai, subito ala mia mente me corse la vera fama del bel zardino de Iohachino
de Babilonia, prestantissimo citadino, là donde andava al fonte Susana, sua bellissima e
sancta moglie, da Alchia illustre figlia [...]. La tua [di Ercole] serenissima madama coniuncta questo zardino molto honorava gustando la sua felicitate con le sue donne e donzelle al
caldo tempo che, disolte le strette maniche e levati de capo li candidissimi veli, sedendo or
sotto li arborselli et or in altro loco sopra l’herbe et or sotto il bel pavigl[i]one, prendeva la
La corte della duchessa: Eleonora d’Aragona a Ferrara
Fig. 4. Il palazzo di corte e il castello estense di Ferrara.
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496
Marco Folin
Quanto alle stanze vere e proprie di Eleonora, esse trovarono sede
nell’ala orientale del castello (fra la torre Marchesana e quella dei Leoni),
appositamente sopraelevata di un piano: il quartiere della duchessa comprendeva per lo meno una «sala grande», una camera nella torre Marchesana, una «guardacamera» con un soffitto dipinto “all’antica”, un camerino e
un’altra stanza dipinti «a verdure», oltre a una camera della stufa e ad alcune
stanze per le donzelle.29 Nel 1485, quando l’appartamento fu parzialmente
ristrutturato, i documenti menzionano anche un «saloto de madama» adiacente a una «gixiola nova», «un saloto dale done», una «camara de madama» con annesso un «camarino segreto», un altro camerino contiguo e un
oratorio. La «camera de madama» si apriva su un poggiolo marmoreo aggettante sul fossato, scandito da finestre e colonnine di legno con capitelli
finemente scolpiti che reggevano un tetto piombato; sulla parete posteriore
della stanza campeggiava un grande affresco con colonne giganti dietro cui
si apriva illusionisticamente una veduta di Napoli «retrat[a] dal naturale»:
in primo piano il «mare azuro», con «nave et gale» e «la marina retrata»; in
secondo piano ben visibili tutti i monumenti più importanti della città – il
«molo», «Castelo Novo», la «torre de San Vizenzo», «Castelo de l’Ovo»,
«la montagna sopra Napoli como Castelo Santo Olmo» –, fra cui si aggiravano delle «figurine che pare che sia zente che sia dentro ala citade, et
como la zirafa, como l’axino de Ierusaleme, como uno bo’ puiexe et uno
montone de stranio paise retrato [...] e como li zardini di Napoli per suxo
retrati e [...] fati de naturale de più sorte».30 L’affresco era incorniciato da
«una cornixe depinta como zardin a roxe e garofali e arbuseli contrafati che
volze dintorno di soto via dal dito pezolo»: dai giardini di Napoli, in altre
recente aura. In questo tempo anchora molta audientia dava, che certo era una beatitudine
[...]. Questo felicissimo zardino ne fa pensare la delicia de quello del regno del Paradiso,
che è infinita e sencia compreatione, che li cantanti ucelli sono li angeli cum loro organati,
che magnificano con divine note la deitate eterna et orando per te per le tue bone opere,
religiosissimo Principe»). Sul giardino, cfr. anche Tuohy, Herculean Ferrara, pp. 104-117;
e Rosenberg, The Este Monuments, pp. 117-119.
29. Cfr. Tuohy, Herculean Ferrara, pp. 95-104.
30. Per l’affresco, eseguito da Giovanni Bianchini detto Trullo nel 1485, cfr. A. Franceschini, Artisti a Ferrara in età umanistica e rinascimentale. Testimonianze archivistiche,
Ferrara, Corbo, II (1995), 1, p. 340. Sull’uso di decorare le pareti di logge e balconi tardomedievali con vedute naturalistiche, cfr. C. Cieri Via, «Galaria sive loggia»: modelli storici
e funzionali fra collezionismo e ricerca, in W. Prinz, Galleria. Storia e tipologia di uno
spazio architettonico, Modena, 1988, p. XI e la bibliografia ivi citata.
La corte della duchessa: Eleonora d’Aragona a Ferrara
497
parole, la verzura si protendeva alle altre pareti della stanza circondando il
poggiolo, in un gioco di rimandi fra realtà e finzione tanto più notevole in
quanto precedente di oltre quarant’anni la decorazione illusionistica della
Sala delle Prospettive nella Villa Farnesina.31
Va sottolineato che l’operazione patrocinata da Eleonora ebbe un impatto tanto profondo quanto duraturo sulla configurazione degli spazi di
corte: fu da questo momento in poi che tutto il baricentro della vita cortigiana prese gradualmente a spostarsi verso Nord, in qualche modo preconizzando la grande espansione urbana – la cosiddetta Addizione erculea
– che avrebbe portato il castello, originariamente costruito a ridosso della
cinta muraria, al centro della città. I figli di Eleonora, e in particolare Alfonso I, che avevano seguito la madre nei suoi nuovi quartieri, avrebbero
continuato a risiedervi e a trasformarli, e nel corso del Cinquecento tutta la
vita di corte si sarebbe trasferita in quella che sarebbe divenuta la grande
reggia ducale, a scapito del vecchio palazzo signorile prospiciente il duomo, progressivamente abbandonato (Fig. 5).32
Seppure la documentazione in proposito sia molto lacunosa, è
quanto mai probabile che tutta l’iniziativa e almeno parte del progetto
di trasformazione del Castelvecchio in reggia siano stati gestiti direttamente da Eleonora, che dovette contribuire in maniera decisiva anche
al finanziamento dei lavori, seguendo in prima persona il cantiere nei
lunghi periodi d’assenza del marito. Così, per lo meno, indurrebbe a
ritenere una notizia di qualche anno successiva: e cioè che nel 14911492 la duchessa abbia pagato di tasca propria la costruzione di una
«stala nova», nonché la nuova copertura di «lastre» del castello, prelevando le somme necessarie da «li dinari dela dota».33 L’anno seguente
alcune lettere da lei indirizzate a Ercole ce la mostrano alle prese con
i preparativi per alloggiare degnamente sua figlia Beatrice (moglie di
Ludovico il Moro) in visita a Ferrara, dando disposizioni per far allestire per la duchessa di Milano la «sala del castello et le altre stantie
dove sto lo inverno, et tuto politamente», poiché sua figlia non voleva
31. Su cui cfr. La Villa Farnesina a Roma, a cura di C.L. Frommel, Modena, 2003.
32. Cfr. M. Borella, Il Palazzo di Corte dei duchi d’Este in Ferrara (1471-1598), in Il
trionfo di Bacco. Capolavori della scuola ferrarese a Dresda, 1480-1620, a cura di G.J.M.
Weber, Torino, 2002, pp. 19-26; e Folin, Studioli, Vie coperte.
33. ASMo, Camera ducale, Munizioni e Fabbriche, b. 25, c. 88v (31 dicembre 1491);
cit. anche in Borella, Il Palazzo di Corte dei duchi d’Este, p. 26.
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Marco Folin
Fig. 5. Il castello estense di Ferrara.
«per niente stare in palazo per esserni più propinqua» (per altro, lo si
è già visto, presiedere all’alloggiamento degli ospiti era per Eleonora
un’incombenza consueta).34
34. ASMo, Casa e Stato, b. 132, lettere del 29 maggio 1493 («la prefata nostra figliola
non vole per niente alloiare in palazo et più presto se contenta stare in castello per essermi più
La corte della duchessa: Eleonora d’Aragona a Ferrara
499
D’altro canto, pur scontando la perdita della maggior parte dei registri di
conto di Eleonora, sappiamo che in città la duchessa disponeva di una piena
autonomia finanziaria: era arrivata a Ferrara con una dote di 60.000 ducati
e un discreto appannaggio personale (oltre 700 lire all’anno nel 1476, che
sarebbero progressivamente salite a più di 25.000 negli anni successivi),35
che doveva esser solita gestire liberamente, non disdegnando di farlo fruttare, tanto da poter lasciare alla propria morte un patrimonio di «cinque milia
peccore et 500 vache et 80 para de boi», senza contare i denari, le gioie e gli
argenti, in gran parte distribuiti fra i monasteri cittadini.36 Del resto, i lavori
in castello non sarebbero certo stati gli unici a essere diretti da Eleonora:
non molti anni dopo, nel 1479-1480, fu proprio a lei, insieme all’ingegnere di corte Pietro Benvenuto dagli Ordini, che Ercole I d’Este – allora di
stanza a Poggio Imperiale come capitano generale della Lega antipontificia
– affidò il compito di sovrintendere alla radicale ricostruzione del palazzo
di corte. L’episodio, riportato da tutti i cronisti ferraresi del tempo, trova
conferma in alcune lettere superstiti scambiate da Ercole ed Eleonora, in
cui la duchessa informava il consorte di ogni dettaglio relativo al procedere
propinqua. Unde ho scripto a Biasio del Balio che desapari il palazo et che appari la sala del
castello et le altre mie stantie dove sto lo inverno et tuto politamente; et non mancarà de venirla anche in lo zardino per la sua persona, se la vorà venirli»); e del 31 maggio del medesimo
anno («ho scripto a Ferrara ch’el sia alloiato la illustrissima duchessa nele stantie nelo castello suxo dove io soleva allogiare lo inverno, perché la non vuole per niente stare in palazo per
esserni più propinqua et allogiata che la serà là suso cum le sue done la poterà etiam cum la
sua persona allogiare nele stantie del iardino. Et ho ordinato che la sala et tute quelle stantie
de sopra siano apparate tanto gentilmente quanto sia possibile, et ch’el palazo sia desparato»).
Le due lettere sono citate anche in Chiappini, Eleonora d’Aragona, pp. 84-85.
35. Per il dato relativo al 1476, cfr. Caleffini, Croniche, pp. 156-157; nel 1484 la provvigione di Eleonora d’Aragona era salita a 8.400 lire annue (su oltre 300.000 lire di entrate
annue complessive della Camera: cfr. ASMo, Camera ducale, Bolletta dei Salariati, reg.
9 [1484], c. 116). Nel 1493 l’appannaggio della duchessa ammontava a 25.050 lire (così
suddivise: lire 9.475 per la sua persona, 8.000 per il guardaroba e 7.575 lire per i salari dei
suoi cortigiani: vedi Ivi, Significati, Deputazioni di Spesa, reg. 1, 1493).
36. Caleffini, Croniche, p. 892. Sull’organizzazione e gli appannaggi delle varie corti
“particolari” dei membri della casata estense fra Quattro e Cinquecento, cfr. G. Guerzoni,
Angustia ducis, divitiae principum. Patrimoni e imprese estensi tra Quattro e Cinquecento, in Tra rendita e investimenti. Formazione e gestione dei grandi patrimoni in Italia in
età moderna e contemporanea, Atti del terzo Convegno nazionale della Società italiana
degli Storici dell’Economia (Torino 22-23 novembre 1996), Bari 1998, pp. 57-58; e ora
G. Guerzoni, Apollo e Vulcano. I mercati artistici in Italia (1400-1700), Venezia 2006, pp.
136-141.
500
Marco Folin
dei lavori, mentre questi dal canto suo le spediva istruzioni e «disegni» di
propria elaborazione, salvo spesso rifarsi alla capacità di giudizio di lei, in
cui egli non perdeva occasione di ribadire tutta la propria fiducia.37
Il ruolo svolto da Eleonora nella progressiva “curializzazione” del castello risulta tanto più significativo se si pensa che l’idea di adibire una rocca
a propria residenza era assolutamente estranea ai costumi degli Este, i quali
– lo si è accennato –, fedeli alle matrici cittadine, comunali, della propria
Signoria, prima d’allora erano sempre stati avvezzi ad abitare in un complesso caratterizzato da un aspetto eminentemente “civile”, quasi mercantile; o
tutt’al più a itinerare nelle loro tenute di campagna (le cosiddette “delizie”),
che generalmente non avevano alcunché di militaresco.38 Certo, l’idea di fare
di un castello urbano la sede della corte non era inedita nell’area padana. I
Visconti la avevano già introdotta a Pavia e a Vigevano sin dalla metà del Trecento, e Filippo Maria aveva passato trent’anni nel castello di Porta Giovia;
negli anni del Concilio di Mantova anche Ludovico Gonzaga, auspici Leon
Battista Alberti e Mantegna, aveva avviato un analogo progetto nel castello
di San Giorgio, e di lì a poco pure Galeazzo Maria Sforza avrebbe investito
energie e denari nell’impresa di trasferire la propria corte nella rocca costruita
da suo padre.39 Tuttavia, è probabile che nel momento in cui decise di traslocare i propri quartieri nel Castelvecchio, la duchessa di Ferrara si sia ispirata
37. Vedi infra, Appendice. Sull’episodio, cfr. anche Rosenberg, The Este Monuments,
pp. 119-121. Quanto ai resoconti dei cronisti cittadini, cfr. ad esempio Caleffini, Croniche,
p. 309 («ritrovandose pure al Monte Imperiale suso quello di Fiorenza lo illustrissimo signore duca [...], la illustrissima madama Eleonora sua consorte principiò a fare butare zoxo
il palacio del duca suo verso il suo cortile novo grande et verso la Trinitade»); Zambotti,
Diario ferrarese, p. 68 («el duca nostro [...] scrisse a maestro Piero de Benvegnudo qua a
Ferrara, suo inzegnero, et anche ala duchessa nostra, se facesse butare zoxo la corte soa,
benché l’avesse cunza in bella forma, e ge mandò novo disegno»); e Ferrarini, Memoriale
estense, p. 106 («il duca nostro [...] scripse litere ala duchessa nostra et a maestro Piedro di
Benvegnù inzegnero suo che voleve che la corte ducale, quale zà tanto tempo è stata fabrichata al modo che se ritrova, se butasse a terra [...], et così li mandò el disegno de quello
voleva se facesse. Subito fu comenzo a butare zoxo li muri et principiare dicta fabrica»).
38. In proposito, cfr. Ora Delizie estensi. Architetture di villa nel Rinascimento italiano ed europeo, a cura di F. Ceccarelli, M. Folin, Firenze 2008, in corso di stampa.
39. Per qualche coordinata di carattere generale, cfr. P. Boucheron, Non domus ita sed
urbs: palais princiers et environnement urbain au Quattrocento (Milan, Mantoue, Urbino),
in Les palais dans la ville. Espaces urbains et lieux de la puissance publique dans la Méditerranée médiévale, a cura di P. Boucheron, J. Chiffoleau, Lyon 2004, pp. 249-284, con
la bibliografia ivi citata.
La corte della duchessa: Eleonora d’Aragona a Ferrara
501
Fig. 6. Francesco Rosselli (?), La flotta aragonese rientra a Napoli dopo la battaglia di
Ischia (“Tavola Strozzi”), 1472 ca. (Napoli, Museo Capodimonte).
a una tradizione diversa, e per certi versi molto più antica: quella ben radicata
nell’Italia meridionale già da prima di Federico II, e poi riaffermata negli
anni ’40 del Quattrocento con grande enfasi da Alfonso d’Aragona – nonno
di Eleonora – con la ricostruzione in forme rinascimentali del Castelnuovo
a Napoli, in cui il Magnanimo si era insediato con la propria corte spagnola
dopo la conquista della città.40 In tal senso non potrebbe essere più eloquente
la grande veduta di Napoli affrescata nella camera da letto della duchessa, la
cui assonanza con la Tavola Strozzi può essere accidentale, ma rimane straordinariamente indicativa (Fig. 6). Altre vedute di Napoli, per altro, sembra che
si trovassero nelle stanze dei figli di Eleonora, nei rispettivi appartamenti, a
dichiarare un’affinità che non rimaneva confinata alla sfera degli affetti familiari, ma ambiva evidentemente a manifestarsi anche nel modo più tangibile
possibile, cristallizzandosi sul piano delle forme architettoniche.41
È ben noto che il matronage artistico, e più in particolare architettonico, delle principesse costituisca un fenomeno molto meno documentato
del patronage del principe: in parte perché effettivamente difficile da distinguere rispetto a quest’ultimo, in parte per la generale lacunosità delle
fonti, stante la perdita quasi totale dei documenti relativi alla gestione dei
patrimoni spesso ingenti delle consorti sovrane.42 A questi motivi “oggetti40. In proposito, cfr. ancora R. Filangieri, Castelnuovo reggia angioina e aragonese di
Napoli, Napoli 1934; e più generalmente C. De Seta, Napoli, Bari-Roma, 1981, pp. 74-79.
41. Cfr. Tuohy, Herculean Ferrara, p. 216.
42. In tema di “matronage”, cfr. fra gli altri C. King, Medieval and Renaissance Ma-
502
Marco Folin
vi” se ne potrebbe poi aggiungere un altro di carattere culturale: ovvero la
mancanza di categorie concettuali che consentissero agli uomini dell’epoca
di tematizzare l’argomento. Tant’è che paradossalmente molto più documentata rispetto alla figura della “Principessa architetta” è quella – tutto
sommato molto più marginale – della “Regina guerriera”, la sovrana capace
di guidare con ardimento virile gli eserciti in battaglia: ma in questo caso
c’erano i grandi paradigmi di Diana e delle Amazzoni che fornivano tutti gli
strumenti per decodificare e raccontare vicende come quelle di Giovanna
d’Arco o successivamente di Caterina Sforza. Nel caso della committenza
d’architettura, viceversa, i topoi erano tutti maschili, salvo pochissime – e
sfortunate – eccezioni (come quella di Didone nel I canto dell’Eneide, per
esempio): per cui mancava l’idea stessa che una donna potesse occuparsi
in prima persona degli edifici in cui dimorava, esprimendo anche così la
propria identità.43
Le vicende di Eleonora d’Aragona a Ferrara mostrano come, nonostante il silenzio delle fonti, in certi casi le principesse potessero avere
un ruolo di governo che non era solo suppletivo, di supporto al Principe o tutt’al più di reggenza in caso di vacanza del potere; e ciò non
soltanto in ambiti di tradizionale competenza femminile (l’educazione
dei figli, la regia dei relativi matrimoni, la protezione dei monasteri
cittadini ecc.), e neppure solo in “periferia” (come nel caso di Bianca
Maria Visconti a Cremona44), ma anche in settori cruciali come quello
trons, Italian-Style, in «Zeitschrift für Kunstgeschichte», LV (1992), 3, pp. 372-393; C.
Valone, Women on the Quirinal Hill: Patronage in Rome, 1560-1630, in «Art Bulletin»,
LXXVI (1994), 1, pp. 129-146; E.S. Welch, Women as patrons and clients in the courts
of Quattrcento Italy, in Women in Italian Renaissance Culture and Society, a cura di L.
Panizza, Oxford 2000, pp. 18-34; K.A. McIver, Matrons as Patrons, Power and Influence
in the Courts of Northern Italy in the Renaissance, in «Artibus et Historiae», XXII (2001),
43, pp. 75-89; e soprattutto, in riferimento al caso ferrarese, Edelstein, Nobildonne napoletane e committenza; e D.Y. Ghirardo, Lucrezia Borgia’s Palace in Renaissance Ferrara, in
«Journal of the Society of Architectural Historians», LXIV (2005), 4, pp. 474-497.
43. Analogo discorso potrebbe farsi per un altro aspetto di grande rilievo dell’attività
delle principesse, strettamente intrecciato a quello della loro committenza in ambito edilizio: ossia la loro intraprendenza economica, che si fondava sulla gestione autonoma dei
rispettivi appannaggi, come sempre a Ferrara mostra in maniera esemplare il caso di Lucrezia Borgia, futura nuora di Eleonora e da questo punto di vista degna emula della suocera
(in proposito, si veda il contributo di Diane Yvonne Ghirardo compreso in questo stesso
volume; oltre a Ghirardo, Lucrezia Borgia’s Palace).
44. Cfr. Welch, Women as Patrons, pp. 25-26.
La corte della duchessa: Eleonora d’Aragona a Ferrara
503
della costruzione della reggia, snodo fondamentale nell’elaborazione
di un’immagine pubblica della corte, del sovrano, dei suoi orientamenti
politici e ideologici.
L’esempio ferrarese, inoltre, mette in luce uno dei caratteri distintivi del matronage femminile: ovvero il suo incardinarsi in una rete di
relazioni umane, politiche ma anche artistico-culturali, di natura essenzialmente extralocale, e che si caratterizzavano per irradiarsi fuori dello
Stato, lungo la ragnatela delle relazioni familiari del lignaggio d’origine.
Da questo punto di vista le principesse e i rispettivi entourages si distinguevano come un fattore di dinamismo nelle città in cui si trovavano a
vivere ed agire, mettendo in circolazione idee e modelli culturali estranei
alla patria d’adozione. Ed è proprio al dinamismo rappresentato da Eleonora (principessa di origini catalane, di nascita napoletana e trapiantata
sulle rive del Po), e allo spessore dei suoi riferimenti culturali, che dobbiamo l’apparente paradosso di una reggia signorile costruita al centro
della città, ma in forma di castello extraurbano: simbolo e al tempo stesso
negazione delle radici municipali della dinastia che aveva contribuito a
edificarla.
Appendice: documenti sulla committenza architettonica
di Eleonora d’Aragona
1. Il rinnovamento del palazzo di corte nell’estate del 1479.
Lettera di Eleonora d’Aragona a Ercole I d’Este, 5 agosto 1479 (aSmo, Casa e
Stato, Carteggi tra principi estensi, b. 131).
Illustrissime et excellentissime princeps consors et domine mi observandissime.
Io me era messa per scrivere hogi qualche cossa de mia mane a vostra excellentia
et eccoti mi sopragionse la bolgeta cum littere de quella, le quale me hano adrizata
la fantasia ad altro, et maxime per questo suo edificio del palazo lo quale epsa vostra signoria vole che si facia senza alcuno perdimento di tempo. Siché per adesso
son restata de scrivere altramente et a bello asio satisfarò de resposta et quanto
serà bisogno. Et in gratia de vostra celsitudine continuamente me ricomando. Ferrarie, vto augusti 1479. Eidem excellentie vestre obediens et deditissima consors
Helionora.
Siverius.
504
Marco Folin
Lettera di Eleonora d’Aragona a Ercole I d’Este, 9 agosto 1479 (aSmo, Casa e
Stato, Carteggi tra principi estensi, b. 131).
Illustrissime princeps et excellentissime domine consors et domine mi observandissime et cetera. L’è morto misser Nicolò de Pasino molto presto oppresso da uno
dolore, et cussì viene a vacare il benefitio de Brondolo […].
Piedro de Benvenuto è a facti per il lavoriero de vostra signoria, et già ha facto il
designo et hora fa la litera per scrivire a quella ogni sua parte. Facta che la sia la
se mandarà a vostra excellentia per la prima bolzeta. In gratia de vostra excellentia
mi racomando sempre. Ferraria, viiii° augusti 1479.
De vostra signora humile et hobedientisima Elionora.
Lettera di Ercole I d’Este a Eleonora d’Aragona, 19 agosto 1479 (aSmo, Casa e
Stato, Carteggi tra principi estensi, b. 67).45
Madama mia amantissima. Ho receputo una littera dela signoria vostra de xiii
del presente in la quale me dice che non dubiti che al lavoriero de corte sia per
manchare niente, perché la non lassaria cosa nesuna per fare cosa che me piacesse. De che oltra che io ne sia certissimo ve ne rengracio per mille volte. È
certo che io ho gran piacere che se gie lavori gagliardamente, e così ve prego
solicitati maistro Pietro a tenere li maistri solicitati, aciò che presto se possi finire. He sebene ve parerà che per l’altra littera che ve scrissi per la zunta che io
deti al mio zardino la sia de più spesa, ho che li vadi più tempo, niente de meno
io aspecto da maistro Pietro intendere quello che montarà dicta speza sopra le
cinquecento 70 livre che montava la loza che se aveva a fare sotto la Tapezaria. E se montasse troppo la partirò per modo che non poterà gravare la speza,
siché io la aspecto con desiderio de intendere da maistro Pietro. Ma, como ho
scritto adesso a maistro Pietro, ancora voglio fare le zardino più grande, se l’è
possibile, metendo ancora la Munizione de maistro Pietro in dicto giardino, ma
questo non seria de più speza, perché el casamento hè mio, he lo edeficio dove
se fa la speza non andarà tanto più in là. Ho visto quello me diceti del dorare
dele camere. Mo’ averiti visto quello che io ho scritto; nondimeno fati o come ve
scrissi, ho come meglio ve piace, che el tutto so certo averiti facto a buon fine.
Me piace che quello che biasemaste ve comenza a piacere, né mai fui in dubio
che quando el lavoriero fosse facto non ve avesse a piacere; pure ho piacere che
45. Il capitolato dei lavori cui si fa riferimento nella lettera è conservato in Archivio
di Stato di Ferrara, Notarile antico, Notaio Gentile Sardi, matr. 231, pacco 1, prot. 1479, 7
agosto 1479 (cfr. Franceschini, Artisti a Ferrara, pp. 224-226, nn. 310-311).
La corte della duchessa: Eleonora d’Aragona a Ferrara
505
lo comenzati a gustare. He se bene andava dele stantie intorno, sono de quelle
che non me faranno né honore, né bisogno, he però è stato meglio conzarle per
modo che ne siano de honore e de utile. La mostra dela vedriata ho avuto che è
molto bella, ma, como ho scritto a maistro Pietro, credo che non ne bisognarà
al presente, perché le selegate che levano dala giesia suplirano al bisogno mio
al presente, como averiti potuto intendere da maistro Pietro. Ho visto la mostra
delo azuro, che me pare belissima, e forsi troppo, ma voloria che Brandelixe
me avesse avisato quanto se ne cava per livra dela prima e dela seconda sorte,
che credo metendole insieme serano suficiente al bisogno. Niente de meno vui
che siti in facto lo cognosceriti meglio e però diriti a Brandelise che mo’ anco
puntualmente voio e intendo che lo giro de foravia da farlo fato como credo che
sì, ho de conpesar lo facto, ma siate certa che io li voloria essere como vui, ma
aguarito, che oltra el piacere che io ne averia, ancora mo’ crederia megliorare el
lavoriero in qualche cosa non dove non grande. Così ognuno, Dio ne doni, pusa
guarire, che se vedamo presto insieme aciò che potriti vedere che ho più grasso
de vui, ma non credo poso essere tanto grasso che anchora ne pesasse troppo a
fare la medecina. […] Rengraciate Alfonso e Isabella de mia parte dele recomandacione, e basatili per mia parte; he piaceme che Alfonso sia così vivo. Dio
me conservi con tuti li nostri. Ala signoria vostra me arecomando. Scritta de mia
mano al Pogio Imperiale, adì xviiii de agosto 1479.
Hercules dux.
Lettera di Ercole I d’Este a Eleonora d’Aragona, 12 settembre 1479 (aSmo, Casa
e Stato, Carteggi tra principi estensi, b. 67).
Madama mia amantissima. Ho receputo una littera dela signoria vostra de sette del
presente, ala quale respondo che me despiace che li maestri del lavoriero nostro
de corte per la absencia de maistro Pietro non abiano facto tanto quanto dovevano.
Ma adesso che vui siti tornata, e che maistro Pietro è tornato, spero che farano el
debito. Fateli pure solicitare, e piaceme che quelli dele camere faciano el debito
suo. Rencreseme che io non li possa essere più al presente mai, perché credo non
li poteria se non giovare. Ho visto quello che scrive Brandelixe delo azuro. Io non
so dire altro, se non che me ne remeto a vui: pure che ve paia che stia bene fatine
secondo el parere vostro, che essendo suso el facto politi vedere quello che sia
bono o malo, e così fate respondere a Brandelixe.
Poi che aviti dato licentia al putino de venire a Ferrara me piace, ma se Tehodora non ha avuto tanto in tre nocte quanto la Parisina per una, me rencrese per
suo amore; ma dicitili che pensi che quanto sono stati quella che non anno avuto
quanto lei e così se confortarà, ma pescando Antoniolo in la marchesana vale deve
essere stato escusato.
506
Marco Folin
Vui diciti che non sapiti se sia stato meglio ho averne visto ho non, per così pocho:
io per mi so molto contento averve visto. Se a vui rencrese abiati paciencia, che
omai non polo più tornare aceto che non me abiati visto. Dela mia venuta qua a
Milano non dico altro perché da Polantonio lo averiti inteso, anchora non posso
fare vero iudicio como abiano a passare queste cose: secondo sucederano ne seriti
avisata. Ala signoria vostra me arecomando. Scritta de mia mano a Milano adì xii
de setenbre 1479.
Hercules dux.
Lettera di Eleonora d’Aragona a Ercole I d’Este, 22 settembre 1479 (aSmo, Casa
e Stato, Carteggi tra principi estensi, b. 131).
Illustrissime princeps et excellentissime domine consors et domine mi observandissime et cetera. Il magnifico Antonio Donato gentilhomo venetiano qual
va per comissario in campo de Fiorentini per la illustrissima signoria de Vinegia
è capitato qui et hogi mi è venuto a visitare accompagnato da misser Iacomo de
Trotti et da molti altri gentilhomini. Cum mi l’è stato sempre sule generale et
monstrasse nel parlar che l’ami assai vostra excellentia […].
Questi famegli de vostra excellentia che ritornano a casa, como è Piedro de
Sanguine, Ludovico da Mantua, che ritrovano le sue camere guaste per la nova
opera fa vostra illustrissima signoria in questo suo palazo, se riducono ad mi,
perché io li proveda de case. Io li ho risposto che non ni ho commissione alcuna, et anche non se gli poteria trovare veruno bon modo, perché adesso che
siamo al San Michiel ogni casa se ritrova apisonata. […]. Ferrariae, 22 septembre 1479.
Eidem excellentie vestre obediens et deditissima consors Helonora.
Siverius.
Lettera di Ercole I d’Este a Eleonora d’Aragona, 8 ottobre 1479 (aSmo, Casa e
Stato, Carteggi tra principi estensi, b. 67).
Madama mia amantissima, per una littera dela signoria vostra de iii de octobre
ho inteso quanto la me responde cercha le rasone che io ve scrissi dela tardeza
mia qua, che non acade dire altro de novo al presente. De la venuta del cardenale ho grande piacere, se bene non intendo anchora la cagione, ma spiero non
possi fare altro che bono frutto, almeno vederò la sua signoria che ne aveva
tanto desiderio che non vel poteria dire. Ve rengratio delo aviso che me dati
La corte della duchessa: Eleonora d’Aragona a Ferrara
507
dele mie camare: ò gran piacere siano in boni termini. Non stati però de fare
solicitare li lavoreri a ciò se liverano più presto che se pote, perché io anchora
non perderò tenpo a solicitare la mia venuta quanto poterò. He atenditi a stare
sana, che nostro Signore ve conservi con tutti li nostri, e fati fare oratione per
nui. He ala signoria vostra me arecomando. Scritta de mia mano in Milano, adì
viii de octubre 1479.
Hercules dux.
Lettera di Ercole I d’Este a Eleonora d’Aragona, 12 ottobre 1479 (aSmo, Casa e
Stato, Carteggi tra principi estensi, b. 67).
Madama mia amantissima. Ho receputo una littera dela signoria vostra de vii del
presente, ala quale non acade molta resposta se non rengraciarla de quanto la me
scrive deli lavorieri e me ha facto scrivere. Piaceme asai che siano in boni termini
e che se compiscano presto. […]
Ala signoria vostra me arecomando. Scritta de mia mano in Milano, adì xii de
octubre 1479.
Hercules dux.
2. La descrizione dei festeggiamenti per le nozze di Anna Sforza e don
Alfonso d’Este a Milano nel 1491.
Lettera di Eleonora d’Aragona a Ercole I d’Este, 24 gennaio 1491 (aSmo, Casa e
Stato, Carteggi tra principi estensi, b. 132).
Illustrissime princeps et excellentissime domine consors et domine mi observandissime. Hogi s’è facto una bellissima et dignissima festa de balli in la sala
grande terrena dove se suole zugare ala balla, la quale confina cum le camere
delo illustrissimo signor Ludovico qui in Castello dove sum allogiata. Et dicta
sala era dignissimamente adornata, perch’el solaro era tuto coperto de panno
celestre cum stelle d’oro et da terra sin al solaro li era una pictura bellissima
facta sopra telle poste suxo tellari et compartite in molti pezi, et composta per
modo che la pareva una cosa sola, nì se comprendeva fusse suxo tella, che è stata
una digna opera che ha facto fare lo illustrissimo signor Ludovico in manco de
un mese. Et l’ha compartita in tri ordeni per fazata, un sopra l’altro, et ciascuno
ordine ha sei parte quanto è per la lungeza, et per la largeza li è quatro parte tute
come quadre, et in ciascuna parte sono depincte li gesti delo illustrissimo signor
508
Marco Folin
duca Francesco, et sonoli ben vintenove soi facti de arme. Et le picture trano al
colore del marmoro umbrato, in modo che per la sua alteza et grandeza fa un
bel vedere. Appresso el solaro è uno frixo largo et de sotto pare una spaliera de
marmoro sino ale banche. Dal capo verso le camere era un bellissimo tribunale
alto quindece scalini et largo circa xii pedi, et lungo quanta è larga la scala; et
parea havesse un solaro dela medesima grandeza, alto circa x pedi dal tribunale.
Et al filo del sporto de questo solaro pareva che sorgesse la fazata dele telle da
lì in suxo depincte; quale tribunale dale banche per tuto ’l solaro on sia sufitato
era coperto de brocato d’oro et argento; et soto li pedi et suxo li schalini tapeti
assai; et quanto sia per li dui terzi dela lungeza da il tribunale in là erano da ogni
lato banche a dui ordeni, et l’altro terzo verso la porta dela sala haveva asse che
stavano in luocho de banche, che staevano rate et occupavano da ogni lato forsi
quatro piedi; et perché le persone li potessino stare suxo in piedi havevano tri
ordeni de dogorenti che andavano ala lunga et al fine de dicto terzo era una sbara
et drito epsa sbara era il tribunale deli sonatori, et de sopra dala porta per tuta la
largeza dela sala erano certi schalini che servivano per forma de credenza, coperti de panno roso, sopra li quali erano posti questi magnifichi vasi de argento
grandissimi che ha veduto vostra signoria, li quali erano ex opposito del tribunale che facevano bella mostra. Le zentildone invitate a questa festa se li trouvorono circa le 19 hore benissimo in ordine; qua hora io inseme cum le illustrissime
nostra nuora et figliole se trovassimo in ordine, et io havea cunzo de mia mano
nostra nuora et postogli in capo assai bellissime perle et quelli ballassi et altre
zoglie che scia vostra signoria, et factola vestire una richissima veste de brochato d’oro rizato che li ho facto fare cum una bellissime bernia de veluto cremesino
richamente adornata che la pareva un angelo, et fu laudato l’ornamento et lei che
pareva più bella del solito (et veramente la è gentile creatura et vostra signoria
et io ne pigliaremo piacere et delectactione assai). Li illustrissimi signori duca
de Milano et duca de Bari cum la sua dignissima compagnia, et inseme cum sue
excellentie lo illustre signor marchese de Mantoa, ne venero a levare ala camera
per condure ala festa, et uscite delo allogiamento trovassimo la illustrissima
duchessa de Milano in fine dela sua schala cum le sue che se acompagnete cum
nui et inseme andassimo per quello saloto che già fue logia, et de lì intrassimo in
la capella et sala verde, al fine dela quale ni expectava la illustrissima duchessa
Bona cum una bella compagnia de done. Et acompagnate inseme cum grande
ordine et pompa traversassimo il cortile et intrassimo in la sala predicta adornata
ut supra, in la quale fu ordinato non intrasseno se non li suoi deputati et li nostri,
et li erano chi sapevano et potevano prohibire. Le zentildone invitate erano da un
lato dela sala per quelli dui terzi de sala, dala sbara del tribunale sedendo suxo
quelli dui ordeni de banche, et parte in terra. Da l’altro lato le banche se reimpirono de tuti li consiglieri et altri zentilhuomini et magistrati quasi tuti togati cum
tanti brochati d’oro, argento et cremesino che facevano grande representatione.
La corte della duchessa: Eleonora d’Aragona a Ferrara
509
Suli gradi del tribunale furono posti quelli dela nostra comitiva, ma suxo il tribunale steteno questi illustrissimi signori et madone et nui et nostri figlioli et
ambassatori, et altri signori et zentilhuomini a numero de forsi 50 persone, cum
l’ordine che per un’altra mia mandarò a vostra excellentia, ma per hora sapia che
lo illustrissimo don Alfonse era in mezo cum la sua sposa et poi a man dricta et
senistra le persone più digne secundo li gradi. Dala sbara verso la porta potevano
venire altre persone et partire, ma non passare la sbara.
Se balete cum li tamborini et pifari balleti gentili come se costuma qui, et la
prima fu la duchessa de Milano cum una sua favorita, et ben che la sia appresso
il tempo del parturire ballete gallante come donzella; poi descesseno a ballare
inseme le illustrissime nostre figliole, deinde finalmente la illustrissima Biancha et nostra nuora; et poi dele zentildone del tribunale et successive venero
dele mascare ornate et vestite de brochati et sete cum turche et belle liveree et
ballorono quindese et vinte alla volta cum quelle zentildone da basso pur a dicti
balleti; sopravene la sira; furono etiam facte ballare nostre figliole ad un ballo
gallante et fue finita la festa, in modo che se potete arivare a casa inanti nocte;
et credo se ballarà anche domani et in questa festa non se sentiva né strepito né
calcha et ballavasse in luocho spacioso, che fu molto piacere. Et in la partita lo
illustrissimo signor Ludovico cum li suoi se tolse fatica de fare partire le done
cum grande ordine, et cussì aviate tute queste madone et nui inseme ale nostre
camere senza intermezo de huomini restete a fare partire le altre done, che andavano fuori del castello et le volse vedere tutte partire et aviare col medesimo
ordine sin fuori de epso castello; quo facto vene ala nostra camera et staessimo
in consolatione, et veramente vedo ogni dì di più sua excellentia servare maiore
ordine et prudentia in tute le sue cose; et stando in tribunale ad ragionamento et
guardando et li argenti et tanti digni zentilhuomini me dixe che questo et ogni
altra cosa di questo stato era in nostra dispositione, et che vostra excellentia et
io potevamo commandare parimenti ali subditi di questo stato come ali nostri;
et certo in publico et in privato non poteria parlare più honorevolmente né farni
più dimostratione de amore. De che io ne resto multo di buona voglia et ben
contenta, come sum certa che etiam è vostra excellentia, ala quale m’è parso
seriosamente significarli il tuto cum certificarla ch’el prefato signor Ludovico
desideroso che ciascuno sia ben tractato et honorato manda ogni die a vedere li
allogiamenti et intendere come se sono stractati et offerire in modo che le cose
passano comodissimamente et cussì conforto vostra excellentia a fare anche lei
il medesimo per la comitiva che menaremo, facendo electione de persone apte
per sapere honorare et provedere abundantemente, come non dubito che vostra
excellentia fati et farà, ala quale sempre mi ricommando. Mediolani, xxviiii ianuarii 1491.
Celsitudini vestre deditissima consors Eleonora.
510
Marco Folin
3. L’organizzazione dell’ingresso trionfale di Ludovico il Moro a Ferrara
nel 1493.
Lettera di Eleonora d’Aragona a Ercole I d’Este, 14 maggio 1493 (aSmo, Casa e
Stato, Carteggi tra principi estensi, b. 132).
Illustrissime princeps et excellentissime domine consors et domine mi observandissime. Prego vostra excellentia che quando la deliberasse di fare mutatione
alcuna circa lo intrare delo illustrissimo signor Ludovico la voglia subito farmilo intendere aciò se possi provedere per quella via che li parerà. Ricordandoli
che quando li paresse de venire per nave la poteria fare che se dismontasse a
Casteltealto ala casa che fue deli Troti, et lì montare a cavallo et venire dentro
per la via che l’ha ordinato, la quale via mi è facto intendere che lì da casa de
Sigismondo da Trani et andando verso la Via Grande sta multo male de selegata,
et poi pare male che cussì presto se arivi ale mura dela citade; et che forsi seria
meglio voltarsi ala Via dali Servi et venire sino ala casa de Socio de Bonlei, et
poi voltarse ala porta dela Cosmaria et lì intrare suxo la Via Grande, che è poi
più bella da lì in gioso, e vederiase più belle vie et non se veniria cusì propinquo
al palazo come se faria s’el se arivasse ala casa de messer Peregrino de Prisciano
et se voltasse ala Via Grande. Siché sopra questo se expectarà de intendere il
parere de vostra excellentia et tutavia non se restarà de provedere per la via che
vostra signoria ha ordinato, ala quale sempre mi ricommando, regratiandola de
l’adviso la mi dae dil suo essere gionto et honorato ala Mirandula. Ferrariae, xiiii
maii 1493.
Celsitudinis vestre deditissima consors Eleonora.
Lettera di Ercole I d’Este a Eleonora d’Aragona, 15 maggio 1493 (aSmo, Casa e
Stato, Carteggi tra principi estensi, b. 68).
Visto quanto ne scrive la vostra signoria per la sua littera del die de heri circa la
intrata lie in Ferrara delo illustrissimo signore Ludovico, cum dire che seria forsi
meglio che se venisse per la Via di Servi fino ala casa de Bonlei et lie voltarsi per
la Gosmaria ala Via grande, per li rispecti che vostra allega eccetera. Gli dicemo
che circa questa intrata se ne remettemo al parere dela prefata signoria vostra,
la quale farà secundo che li parerà il meglio, et più honore nostro. Maisi che ni
pareria bene, che il se havesse ad asserare le boche de tute quelle strate dove non
se haverà andare, aciò che la brigata non se vada sparguiando per la terra, et che
tuti vadino per una via et non andare ale avanzate, come fariano, perché a questo
modo la intrata non poterà essere se non bella et honorevole. Siché vostra signo-
La corte della duchessa: Eleonora d’Aragona a Ferrara
511
ria li metterà quello bono ordine che li parerà necessario. Bene valeat dominacio
vestra. Regii, .xv. maii .1493.
Siverius.
4. I «recordi» di governo della duchessa, s.d. [1479?].
(aSmo, Casa e Stato, Documenti spettanti a principi estensi, b. 376).
Recordi che facea la excellentia de madama.
De intendere ogni septemana dalli maistri deli conti le scripture facte.
De intendere dali factori quello se havea a scodere et quello se havea a pagare.
De intendere che rasone era da fare et le partite in li rasonati, et davali termine a
farle.
De intendere dal thesorero li dinari scossi et da chi, et sua signoria faceva le liste
dove se havea a dispensare dicti dinari et signavale de sua mane.
De intendere dallo exactore che dinari era scossi et dove s’erano pagati et loro
officiali li dava le scripte del tutto et vedeva li debitori che era da scodere et quelli
ch’erano dati im pagamento.
De vedere alle exactorie che condenasone gli era venute et se li potestà ge havea
mandate le sue condenasone et faceva scrivere ogni mese alli potestà delle castelle
et ville che mandasse le condennasone.
De fare vedere ogni septimana quello che havea facto la gabella grossa et che
dinari gh’era scossi et quelli che restava a scodere.
De vedere ogni septimana quello che s’era scosso delle gabelle grande et quello
che s’era dato al thesorero et dove s’era pagati et poi ogni mese el maestro del
conto delle gabelle insieme cum li superiori dava il conto di quello havea facto
ditte gabelle quello mese.
De intendere del spendedore ogni septemana quello che havea havuto dalla Camera et lui dava la scripta alla excellentia de madama, dove era spisi ditti dinari.
De intendere se quello del dazio delle beccarie havea pagato della sua ratta del
mese de l’aficto et de serà spisi.
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Marco Folin
De intendere el simile del datio del vino et le scripture che serà facte per ditta
casone.
De intendere ogni mese la intrata de Romagna et la spesa cum le liste che ogni
mese li veniva mandate.
De vedere ogni mese li facti delle valle se erano pagati et dove et a chi.
De havere ogni mese le liste delle intrade de Modena et de Rezo et la spesa et li
dinari che avanzava vegneva remissi nelle mane della excellentia de madama, et
lei le daseva al thesorero et facevali dispensare al suo modo insieme cum li factori
et così delle intrate de Rezo.
De mandare ogni anno due on tre fiate alle castalderie et intendere quello che
faceva li castaldi et li factori et se erano bene in ordene le possessione et faceva
reparare le caxe palazi et condutti.
Item faceva mettere per rasone quilli delli granari de Ferrara et biave.
Itema faceva intendere ogni septemana como passava li facti delle canone.
Item faceva intendere come passava la panataria et il forno.
Item sua signoria andava alle camere delli forestieri in persona a vedere se erano
bene ordinate et mettevali sopra sescalchi che intendesse se le brigate era bene
atratade et che non fusse robate le robe.
Item havea dato ordene sua signoria de fare una hostaria che se gli alozasse tutti
li forestieri.