Il 3 aprile 1922 Iosif Stalin diventa Segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica, una carica creata da Vladimir Lenin per l’uomo che, in quel momento, ritiene essere un suo fidato luogotenente. Lenin è ancora il leader riconosciuto, ma le sue condizioni di salute, dal maggio del 1921, sono precarie in seguito a un ictus che non gli consente più di dedicarsi a tempo pieno all’attività politica e di governo. Il ruolo offerto a Stalin deve fungere anche da copertura a Lenin. L’Ufficio politico del partito ha il compito di controllare la salute del leader, aspetto che per Lenin diventa una indesiderata gabbia poiché gli sono limitate le letture dei giornali e gli incontri.

Il 1922 è un anno di precari equilibri sia per lo stato che per il partito, diviso e solo formalmente unito nel nome di Lenin. Da segretario, Stalin accumula potere e attraverso la gestione delle nomine, delle promozioni e dei trasferimenti crea un corpo di quadri dirigenti a lui fedeli. Stalin non ha lo spessore dei grandi rivoluzionari bolscevichi: non ha il carisma del capo dell’Armata Rossa Lev Trockij, al quale va il merito di avere vinto la guerra civile, ma non ha nemmeno il prestigio di Lev Kamenev, il presidente del Soviet di Mosca, o di Grigorij Zinovev a capo del Comintern, l’Internazionale comunista sorta nel 1919. Kamenev e Zinovev sono in grado di affrontare Lenin sul piano politico e teorico mentre Stalin appare più un uomo con competenze organizzative.

Stalin è anche ministro del primo governo sovietico, delegato alla spinosa questione delle nazionalità. L’Unione Sovietica nasce ufficialmente il 30 dicembre 1922 come frutto di un trattato tra la Repubblica federale russa e le tre repubbliche di Bielorussia, di Ucraina e di Transcaucasia (Armenia, Azerbagian e Georgia). L’Urss sorge e si dissolve – il 31 dicembre 1991 – attorno al tema delle nazionalità, un aspetto fonte di tensione anche nella fase di impianto. Nel maggio del 1923 Sultan Galeev, che voleva realizzare una repubblica nazionale tataro-baskira unendo tutti i musulmani di Russia, è il primo alto dirigente che viene processato per “deviazione nazionalistica”.

In questo quadro anche l’Ucraina esce frustrata dal suo desiderio di indipendenza, in contrasto con i principi di autodeterminazione dei popoli sanciti nel 1918 dalla Dichiarazione dei diritti del popolo lavoratore. L’Ucraina era stata la regione più ricca dell’ex impero zarista e avrebbe potuto godere dell’indipendenza sulla base degli accordi del 1917 (rivelatisi temporanei) di Brest-Litovsk, godendo dell’appoggio della Germania – poi sconfitta nella Prima guerra mondiale – della Francia, troppo lontana per esercitare la sua influenza, e della Polonia, a sua volta intervenuta e sconfitta nell’ambito della guerra civile russa. L’Ucraina resta un’osservata speciale perché animata da forti tensioni controrivoluzionarie durante la guerra civile.

Lenin accusa Stalin di muoversi, nella gestione delle nazionalità, sulla base del precedente nazionalismo zarista russo, un aspetto che ripugna il capo della rivoluzione. Nel febbraio del 2022 il presidente della Russia, Vladimir Putin, ha attribuito a Lenin la colpa dell’esistenza dell’Ucraina ponendosi in linea di continuità con lo sciovinismo zarista e con Stalin.

Molto presto, già a dicembre del 1922, Lenin si rende conto che Stalin non è la persona adatta al ruolo, ammettendo di avere compiuto un errore. Lenin formula la proposta di allontanare Stalin dalla segreteria, ma inutilmente: il potere del leader è ormai solo formale, i suoi articoli vengono pubblicati a distanza di mesi. Eppure la capacità di riflettere sul corso dell’esperienza rivoluzionaria porta Lenin a nuove e più realistiche considerazioni che lo allontanano dall’iniziale intransigentismo, ma la sua riflessione non è più seguita dai membri del partito, ormai incentrati sulle manovre di successione al leader malato. In una lettera, testamento al partito, Lenin esprime le sue più severe critiche a Stalin, avvisando del pericolo gli altri dirigenti, ma la lettera non viene pubblicata e non influisce nelle manovre di successione.

Da straordinario manipolatore, Stalin si presenterà come il più fedele continuatore di Lenin e contro la volontà del leader della rivoluzione, che non voleva cerimonie e mausolei, renderà il corpo di Lenin reliquia ufficiale del regime ribattezzando poi Pietrogrado in Leningrado. Nel corso degli anni, Stalin farà eliminare tutti gli esponenti del partito che potevano metterlo in ombra, compresi Kamenev e Zinovev che l’avevano sostenuto nella fase di successione. Assieme a loro il terrore staliniano – secondo i calcoli dello storico Aleksej Timofejchev – provocherà la morte di oltre sette milioni di persone.

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