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Maria Chiara Carrozza, la prima donna che decide i destini dell'Italia attraverso la politica della scienza

Simone Donati/Terraproject
Simone Donati/Terraproject 
A capo del Cnr da aprile, 55 anni, continua a considerarsi “solo” una ricercatrice. Che cura l’umanità fragile
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Sì, presidente. Ma ancora e sempre ricercatrice. Maria Chiara Carrozza è stata nominata ad aprile presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), il più grande ente di ricerca italiano, ed è la prima donna in quel ruolo: è stata la più giovane rettrice d’Italia e ha anche un passato come ministro dell’Istruzione, dell’università e della ricerca. Se le chiedi, però, quanto sia impegnativa la gestione della ricerca in un posto così importante, o quanto gravi la responsabilità di decidere dei destini di un Paese attraverso la politica della scienza, prima o poi ti riporta lì: «Un ricercatore non smette mai di esserlo». Ed è questa la chiave: per guidare la scienza devi conoscerla e, possibilmente, praticarla. Magari con passione, e persino con emozione.

Così anche il nostro dialogo, nella sede principale del Cnr a Roma, un edificio degli anni ’30 del Novecento, voluto da Guglielmo Marconi e dall’architettura decisamente funzionalista, ruota intorno a un’idea: «Me lo disse anche Salvatore Settis, che era direttore della Normale quando sono stata nominata rettrice della Scuola Superiore Sant’Anna», racconta. «Cioè mi disse: “Adesso dai il massimo come rettrice, ma ricorda di non lasciare da parte i tuoi interessi scientifici”. E così ho sempre fatto».

Allora cominciamo dall’ultimo ruolo di responsabilità che Carrozza, 55 anni, pisana, esperta di bioingegneria e biorobotica, ha assunto per decisione della ministra dell’Università: quello di presidente del Cnr. E dal Cnr stesso: quasi cento anni di storia, quasi un miliardo di euro di bilancio, quasi cento istituti di ricerca (per la precisione 88) e ottomilacinquecento dipendenti di cui il 63% ricercatori. «In realtà non lo avevo programmato, né ho “studiato” da presidente. Semplicemente ho pensato che potesse essere un’opportunità. Ho partecipato al concorso, e sono stata scelta. Perché a questo punto della mia carriera (ormai abbastanza lunga!) mi sono trovata a pensare che la mia esperienza di gestione della ricerca, e anche la mia esperienza politica, potessero essere utili alla ricerca pubblica anche da qui».

Il curriculum politico e gestionale di Carrozza in sintesi è questo: dal 2007 al 2013 è rettrice della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (una delle tre scuole superiori universitarie italiane, insieme alla Scuola Normale sempre di Pisa e allo Iuss di Pavia), dal 2013 al 2018 è deputata della Repubblica con il Partito Democratico e dall’aprile 2013 al febbraio 2014 è ministro, infine dal 2018 a ieri l’altro è direttrice scientifica della Fondazione Don Carlo Gnocchi, che tecnicamente è un Irccs, un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico. Cioè, riepiloga lei stessa, «nel 2018 non mi sono ricandidata in Parlamento e sono tornata a fare ricerca in un ambito che per me era nuovo, quello della medicina».

Non che negli anni precedenti sia stata con le mani in mano: a spulciare i database della ricerca scientifica, si trovano infatti 274 pubblicazioni con il suo nome, la maggior parte effettivamente concentrata tra il 2000 e il 2013, ma mai azzerata nonostante gli impegni al ministero o in Parlamento. E non si azzererà adesso, promette, dato che «ho questa responsabilità in più».

La “responsabilità in più” poggia sulla scrivania di legno lucido della presidenza dell’ente che fu ideato, fondato e presieduto per primo da Vito Volterra, uno dei più grandi matematici della nostra storia e anche uno dei dodici cattedratici italiani (su 1200) che nel 1931 rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo. Novant’anni più tardi, per il Cnr si tratta di ripensare la ricerca italiana del dopo pandemia e per la sua nuova presidente, quindi, «di partecipare alla scrittura del piano nazionale per la ricerca ma soprattutto di attuarlo, che poi è la parte più difficile, la vera sfida.

Due impegni principali, per il Cnr di Maria Chiara Carrozza: «La programmazione pluriennale della ricerca indipendentemente dal Covid, che prosegue, ovviamente. E le attività straordinarie mirate a risolvere i problemi straordinari. Quindi: compartecipazione alla ricostruzione del sistema sanitario, per esempio partendo dalla medicina digitale, dalla telemedicina, e in generale la transizione digitale del Paese. Su tutto, prioritario, è l’ambiente». Salute e ambiente, dunque: «Sono due sfide che si vincono solo con la collaborazione tra settori diversi. Al Cnr abbiamo competenze straordinarie in molti campi e siamo l’unico posto in Italia che possa combinarne tante sotto uno stesso tetto. Da qui la nostra enorme responsabilità». A questo punto del nostro incontro, “responsabilità” è decisamente la parola che è stata pronunciata più spesso. Ed è il momento di lasciar correre la discussione verso la ricerca, la prima grande passione senza la quale, ripete Carrozza, non avrebbe senso vederla seduta qui.

«Chi sono? Ho una laurea in fisica dell’Università di Pisa, un dottorato in ingegneria preso alla Scuola Sant’Anna di Pisa. Poi ho fatto un post-doc all’Agenzia spaziale europea, infine mi sono spostata sulle scienze della vita dedicandomi soprattutto alla robotica per le Scienze biomediche». Dalla Fisica alle protesi robotiche? «Mi sono spinta sulla robotica per motivazioni etiche. Volevo aiutare le persone fragili, i disabili, gli anziani». Ed ecco un’altra parola ricorrente: “fragilità”.

«La mia grande opportunità», prosegue Carrozza, «è stata una collaborazione con Inail: avevo meno di quarant’anni, non sapevo quasi niente di quel che stavo per andare a fare e mi sono offerta volontaria per lavorare sulle protesi di mano». Comincia così il lavoro sul progetto Cyberhand: si tratta di collegare la protesi al sistema nervoso del paziente, quindi per i bioingegneri significa lavorare a stretto contatto con le neuroscienze: «Si tratta di un progetto di ricerca al quale resterò affezionata per tutta la vita: meraviglioso… Soprattutto perché al centro di tutto c’erano i problemi concreti delle persone fragili».

A 42 anni diventa rettrice dell’Università Sant’Anna: ha meno tempo per dedicarsi alla ricerca, ma comunque non molla. E poi ha già messo su una scuola: «Un’altra delle cose belle che sono successe allora è stata vedere crescere i miei allievi».

Dopo la parentesi (per modo di dire) politica, tra il 2007 e il 2018, l’altra esperienza da raccontare sono gli ultimi tre anni alla Fondazione Don Gnocchi. «Forse i miei ricordi più emozionanti. Perché lì i bambini in attesa di terapia, gli anziani, i disabili, li vedi ogni giorno. Anche per andare in laboratorio devi passare in mezzo a loro ed è bello, e importante, vedere così da vicino i destinatari di quello che facciamo. Perché l’umanità del contatto con le persone fragili è impagabile, se hai deciso di dedicare la vita a loro».

Vale anche adesso, da questa stanza di presidente del Cnr, dove ci si occupa soprattutto della complicata gestione delle duecentoventi sedi e laboratori sul territorio italiano, e di tanta tanta burocrazia? «Oggi, qui, c’è il mio obiettivo principale, ma mi terrò da parte alcune ore alla settimana per continuare a studiare. Al Don Gnocchi, l’ultimo giorno che sono stata lì, un bambino mi ha spontaneamente preso per mano. L’ho preso come un segnale: mi ricordava il mio impegno per la ricerca medica”.

Ma perché, con tanta passione per la fragilità, Maria Chiara Carrozza non ha fatto il medico? «Perché al liceo ho avuto un’insegnante fantastica di Fisica. Ogni tanto la sento ancora». C’erano anche la Biologia e la Letteratura, soprattutto «quella francese dell’Ottocento, e tutta la storia della Scienza di quell’epoca che per me aveva un grande fascino. Sono cose che continuano ad appassionarmi, ma quella professoressa ha vinto su tutto, e mi sono iscritta a Fisica». La letteratura francese è ancora sul comodino e, grazie al dottorato, ha recuperato anche la strada della medicina, con la biorobotica per le disabilità.

È un settore, si nota spesso, in cui molte “star” della ricerca italiana sono donne. E anche Maria Chiara Carrozza conferma che si tratta di un ambiente equilibrato: «Non posso dire di avere sofferto discriminazioni. Quando ero rettrice mi è capitato di essere oggetto di curiosità. Ero donna ed ero molto giovane… Ma è stato uno dei mestieri più belli che abbia fatto, la Sant’Anna rimane la mia seconda famiglia». Ora al Cnr Carrozza si definisce ancora in fase di ambientamento: «Mi sento sempre in formazione, qui si ricomincia». Senza nascondere le criticità. Il Cnr è un ambiente pesante. Il suo bello, la sua ricchezza disciplinare, può anche essere il suo brutto: una pletora di posizioni, posti, nomine, persone, luoghi, istituti… «Sì, qui c’è tutto: discipline umanistiche, scientifiche e tecnologiche. E c’è una visione universale della cultura. Ma è vero che, dal punto di vista amministrativo, ci sarà bisogno di snellire tante cose. C’è anche una certa insofferenza da parte dei ricercatori, andrebbe detto che più che il presidente sono loro che contano». Invece tutta l’attenzione è sul presidente. Anzi: “la” presidente. «Sì, la prima donna. L’attenzione alla cosa è stata giusta, simbolica. Però ora pensiamo a quel che c’è da fare, dài». Guardiamo avanti: quello che le ha insegnato sua madre, «che ha studiato lettere classiche ma ha fatto una scelta familiare. Sapeva che le cose per le donne sarebbero cambiate: così mi ha incoraggiata, aiutata con i figli e mi ha insegnato a vedere le cose in miglioramento. Ecco: mi piacerebbe che anche le scienziate e gli scienziati lo capissero».