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Hermann Hesse - Narciso e Boccadoro
Sintesi della storia
L’amicizia tra Boccadoro e Narciso nacque a Mariabronn.
I due, allievo ed insegnante, erano uniti dalle loro diversità: l’uno artista e sognatore, l’altro serio ed ascetico teologo.
Dopo aver capito che la sua meta non sarebbe stata quella di divenire uomo di religione, lo studente fuggì dal convento.
Visse come un vagabondo e amò molte ragazze, divenne scultore, amante ed assassino.
Sfuggì alla peste nera.
La sua vita di peccati finì dopo esser stato salvato dall’amico di sempre, Narciso, ormai divenuto abate.
Tornato dopo lunghi anni a Mariabronn, tornò a lavorare come scultore nel convento.
Ripartì per un breve viaggio e tornò malato.
Morì accanto all’amico che lo vegliava, mentr’egli lentamente si spegneva.

Analisi della trama
Era primavera quando quel biondo fanciullo dall’aria innocente, Boccadoro, giunse al convento di Mariabronn.
In quel convento vi era un ragazzo speciale, dall’età d’alunno, ma dall’animo serio d’educatore quale era.
Egli, con il suo greco elegante ed il fascino misterioso che l’avvolgeva, attirò l’attenzione del novello scolaro che subito desiderò divenirgli amico.
Ma quel fanciullo prodigio, maestro paziente ed erudito, non gli mostrava altro che interesse e sorrisi d’un insegnante.
Boccadoro, nonostante le prime difficoltà, s’abituò alla vita monastica a cui sembrava estremamente dedito.
Egli era un giovane tranquillo e subito entrò nelle grazie del portiere e del preside, padre Daniele, e trovò “amici” della sua stessa età.
Una sera, invitato da suoi compagni di classe, infranse le regole del convento, uscendo segretamente e andando al villaggio.
Lì i compagni “fuggiaschi”, entrati in una casa, passarono la serata insieme ad alcune ragazze.
Boccadoro, cosciente d’andare contro le regole, non s’avvicinò ad alcuna giovincella, ma quando fu giunta l’ora d’andarsene attraverso una finestra, una delle giovani fanciulle lo baciò e gli chiese di tornare un’altra sera.
Il giovane, turbato nell’animo per aver commesso peccato, non riuscì a sopportare per molto la situazione e scoppiò in lacrime proprio dinanzi al serio e bel Narciso, che da giorni aveva notato nel ragazzo uno strano comportamento.

Indifeso e disperato com’era, il biondo scolaro s’era messo a piangere innanzi al suo insegnante di greco che, con dolce comprensione, lo curò pensando fosse malato.
Nacque in tal modo quella strana e particolare amicizia tra maestro ed alunno.
Ora l’imperturbabile, silenzioso e rispettato Narciso parlava con Boccadoro non come semplice superiore, ma come amico .
Questo comportamento suscitò in molti gelosia, Boccadoro ormai non aveva più amici al di fuori di Narciso.
Spesso i due discutevano.
Un giorno l’animo di Boccadoro fu colpito dalle parole del “veggente” ed estremo conoscitore, studioso dell’animo umano Narciso: egli aveva dimenticato parte della sua infanzia, quella parte che rappresentava sua madre.
Narciso aveva tratto queste conclusioni scavando e indagando a fondo nei discorsi dell’amico; questi, infatti, raccontava molto di suo padre, ma quando ne parlava, le sue descrizioni erano così vuote che avevano spinto l’amico a ricercare nell’altro il fardello che lo faceva soffrire.
Scoprì così che il padre dell’amico aveva convinto il proprio figlio a scordare la madre ed a diventare uomo di religione per espiare le colpe di quest’ultima.
Boccadoro, dopo aver sentito codeste accuse, scappò dall’amico ed andò nel giardinetto del chiostro.
Egli soffriva delle parole udite come se avesse ricevuto una pugnalata al petto e, preso dal dolore, svenne sul pavimento.
L’abate Daniele lo trovò esanime al suolo, subito pensò al peggio, ma quando il medico, padre Anselmo gli disse che sarebbe rinvenuto. si sentì meglio.
Durante il periodo in cui lo scolaretto rimase privo di sensi, l’abate Daniele parlò con Narciso chiedendogli se Boccadoro fosse malato; egli rispose di sì, Boccadoro era malato nell’animo.
Dopo quello spiacevole evento i due amici tornarono a parlarsi ed un giorno Boccadoro disse a Narciso che, quando era malato, aveva avuto una visione: sua madre.
Lo scolaro ormai aveva compreso quasi del tutto le profetiche parole dell’amico, infatti ormai il greco e lo studio non gli interessavano più.
Dopo la visione materna viveva in un mondo di sogni, ascoltando solo apparentemente le lezioni.
Andato a raccogliere l’erba di san Giovanni per il medico, incontrò una bruna donna da cui fu rapito nell’animo.
Narciso, ritiratosi nelle stanze della penitenza e del digiuno, non poteva rivolgere parola ad alcuno, ma per l’agitato amico fece un’eccezione.
In quest’ultimo discorso Boccadoro gli rivelò il suo piano per fuggire dal convento e non tornare.
Narciso non trattenne Boccadoro.
Così ebbe inizio la tumultuosa vita da vagabondo di Boccadoro.
In questa nuova vita conobbe il fascino e la bramosia delle donne, divenne un rubacuori, scoprì in Lidia il suo primo vero amore, sorella della bella Giulia e figlia di un nobile cavaliere da cui era stato ospitato per un breve periodo.
Peccò, in questa sua vita, arrivò pure ad uccidere a pugnalate un compagno di vagabondaggio, Vittorio, pur di salvar l’ultimo ricordo rimastogli dell’amata Lidia.
Questo vagabondar cessò per un breve tempo, quando, rapito dall’arte, ne divenne maestro.
Varie opere fece, ma l’unica che lo riempiva d’orgoglio e piacere era quella dell’apostolo Giovanni.
Per quella statua s’era ispirato a Narciso, il lontano amico a cui spesso aveva rivolto il pensiero in quegli anni difficili.
Narciso e Boccadoro - Hermann Hesse articolo
L’opera non gli piaceva perché il maestro Nicola l’aveva ammirata e stimata, ma perché in essa aveva riversato parte del suo spirito, ci era affezionato.
Purtroppo la sedentarietà l’aveva ormai stancato, voleva vivere nuove avventure e lasciò la città vescovile.
Egli continuava ad ammaliar donne, ma a nessuna s’attaccava mai per sempre.
Senza neanche accorgersene si ritrovò di nuovo con un compagno di viaggio, Roberto.
Costui era diverso dal suo precedente compagno, era un giovane pellegrino che ammirava molto le abilità del viandante cui si era unito, l’unico suo difetto era la grande codardia che lo dominava.
Questa si mostrò quando, giunti nei pressi d’un villaggio, dei contadini, armati di forca, li avevano minacciati di non avvicinarsi di più.
Subito Roberto scappò a gambe levate colto da grande paura, Boccadoro, invece, non temendo la morte, s’era fatto avanti, ma, poiché i contadini avevano iniziato a scagliargli pietre, dovette seguire l’esempio dell’amico.
Giunti lontano dai rabbiosi abitanti del villaggio, arrivarono nei pressi d’una cascina.
Bussarono e chiamarono gli abitanti dell’abitazione, ma, tutto, era silenzio, l’unico rumor percettibile era quello della campagna e della mucca che doveva esser munta.
Incuriosito Boccadoro entrò e, dopo poco, trovò i corpi azzurrini degli abitanti, ormai avvolti dalla morte.
Giacevano lì, tutti, immobili, nel sonno profondo senza più risveglio, nella loro casa, abbandonati da tutti.
Roberto, non vedendo ritornare l’amico, si preoccupò e, quando vide quella piccola parte di Ade, sobbalzò temendo d’esser contagiato; erano morti di peste!
Ecco spiegata la reazione degli uomini del villaggio.
Continuarono il loro viaggio e, ovunque passarono, trovarono morte e miseria: carri traboccanti di corpi passavano per le strade diretti alle fosse comuni dove i cadaveri erano arsi dalle fiamme.
Non solo i morti venivano bruciati, ma anche i malati che non potevano pagare le spese mediche.
In una delle varie città silenziose, ove il tanfo dell’aria carica di morte appesantiva il respiro, Boccadoro vide una bella fanciulla e la portò con sé fuori da quell’inferno, là dove l’aspettava il pauroso Roberto.
Egli non vide di buon occhio la ragazza ed acconsentì a viaggiare con lei solo a condizione di non toccarla.
Egli, infatti, temeva sempre il contagio.
I tre si stabilirono in una piccola casetta in un bosco, lontani dalla peste nera.
Lena, la fanciulla, era innamorata di Boccadoro e aiutò nella ristrutturazione della casa.
Un giorno Boccadoro, mentre era in cerca di cibo, udì in lontananza la voce di Lena che lo chiamava.
Un brigante la stava violentando, ma Boccadoro arrivò appena in tempo.
Egli uccise l’uomo con ferocia, sbattendogli il cranio sulle rocce fino a romperlo.
La povera Lena era rimasta ferita dal maligno e si sentì male.
Qualche tempo dopo Boccadoro, in pena per la continua malattia di Lena, scoprì su di lei le piaghe della peste.
Ella doveva morire.
Roberto l’aveva intuito e se ne andò via, lasciando sola la triste coppia.
Lena morì dopo poco, divorata dalla malattia.
Boccadoro non volle lasciare il corpo di lei insepolto, così incendiò la casa con all’interno il cadavere.
Triste, malinconico e solitario, decise di tornare dal suo maestro d’arte Nicola.
S’avviò e lungo il cammino, incontrò varie donne, ma una lo colpì in particolare, Rebecca.
Era molto bella, ma voleva morire per poter raggiungere i suoi parenti bruciati vivi soltanto perché ebrei.
Camminò a lungo ed infine giunse nella città vescovile.
Sembrava quasi non vi fosse esistita la peste.
Giunto alla casa del maestro, dopo molti tentativi, riuscì a farsi aprire e, una volta dentro, quasi non riconobbe la bella Elisabetta.
Il suo sano colorito era svanito assieme al suo sorriso.
Boccadoro le chiese notizie del padre e scoprì la sua morte.
Mastro Nicola era morto dopo aver salvato la figlia dalla peste ed ormai la sua officina era stata chiusa.
Boccadoro restò ad abitare in casa assieme a Maria ed ai suoi genitori.
Un giorno s’innamorò d’una bella donna dagli occhi freddamente azzurri e i capelli biondi.
Era Agnese, l’amante del vescovo.
La conquistò e passò con lei una notte, ma la seguente fu scoperto.
Boccadoro, per proteggere Agnese,si finse ladro, venne rinchiuso in prigione e condannato a morte.
In cella creò un piano:avrebbe ucciso l’abate che doveva confessarlo per travestirsi da monaco e, così,sarebbe sfuggito alla morte.
L’indomani, però,vide con suo stupore che l’abate venuto a fargli visita non era altri che Narciso.
I due parlarono a lungo e, al termine del discorso, Narciso gli disse d’esser stato graziato.
Boccadoro ricominciò il suo viaggio, ma non più da solo, bensì in compagnia del caro amico Narciso.
Una volta a Mariabronn tornarono alla vita tranquilla: Narciso faceva il suo dovere di direttore del convento, mentre Boccadoro era tornato alla sua amata arte.
Adesso aveva una sua officina personale ed un allievo devoto, che l’ammirava per la sua maestria, Eric.
Scolpì un meraviglioso altare-leggio ed un’espressiva e dolce madonna dal volto di Lidia, ma per l’abile artista tornò il momento di viaggiare.
Partì e non si fece più sentire per vari giorni.
Ricomparve, senz’avviso, mutato nell’aspetto e nell’animo; appariva invecchiato e malconcio.
Non solo il suo corpo era divenuto improvvisamente anziano, ma finalmente era anche maturato spiritualmente.
Quando Narciso lo vide rabbrividì quasi dallo spavento, e lo fece visitare dal medico.
Ormai per lui non vi era più nulla da fare, era ormai troppo tardi per la sua malattia.
Boccadoro confessò a Narciso d’essersi ferito dopo un solo giorno di viaggio cadendo da cavallo in un fiume, ma il suo orgoglio l’aveva spinto a non tornare indietro e a continuare.
S’era rotto varie costole ed era rimasto a mollo nell’acqua gelida d’un rivo.
Il suo cammino ebbe fine quando la bella Agnese, ultima di molte donne, lo rifiutò perché troppo vecchio.
Le ultime persone a vederlo vivo furono Narciso e l’allievo Eric.
Il caro amico udì le ultime parole di Boccadoro: “Senza madre non si può amare. Senza madre non si può morire.”

Commento personale
Questo libro trovo sia degno del nome di Hesse.
Lo trovo un’opera molto bella nonostante che, per comprenderne il significato profondamente, sia necessario essere maturi.
Perciò di quel poco che ho capito sono stata felice.
La storia di quest’amicizia così profonda che dura negli anni e nella lontananza m’ha inebriata e compiaciuta.
Rispetto ad altri libri letti mi è sembrato veramente pieno di sentimenti che si trasmettono silenziosi al lettore.
La vita così “vissuta” di Boccadoro mi ha letteralmente stupita.
Questo suo vivere avventuroso m’ha emozionata quasi fossi anch’io all’interno della vicenda.
I discorsi, in apparenza così noiosi, racchiudono in loro una specie di magica realtà.
I pensieri espressi nel libro sono profondi di significati nascosti.
“Narciso e Boccadoro” è un libro che non vuol trasmettere un significato biografico, ma uno psicologico.
Narciso sa già quale sia la sua meta, ma Boccadoro no e, con l’aiuto dell’amico, risveglierà il suo vero animo.
Boccadoro è alla costante ricerca della meta a lui predestinata che gli si rivelerà solo verso la fine della storia.
Il libro mette in contrapposizione la natura e lo spirito, l’arte e l’ascesi.
Espone le più attuali domande dell’animo umano.