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Autore che alterna una certa
tendenza al classicismo heartland rock, una vena pi� esplicitamente pop
e qualche memoria delle sue radici sudiste, Cory Branan � un�eterna
promessa da almeno una ventina d�anni a questa parte, forse �frenato�
proprio dal suo smisurato eclettismo, che difficilmente riesce a rinchiuderlo
in una categoria, come spesso ama fare il business musicale americano.
When I Go I Ghost, ritorno sulle scene a cinque anni dal
precedente Adios
ed esordio per la nuova etichetta Blue �lan,
non risolver� fatto il dilemma, anzi, ponendosi fin da subito come il
disco pi� ambizioso della sua carriera, per suoni, tematiche e anche partecipazioni
illustri.
La regia musicale di Jeremy Ferguson in quel di Nashville sembra da una
parte avere dato carta bianca all�estro di Branan, songwriter originario
del Mississippi ma da anni attivo sulla scena indipendente di Memphis,
dall�altra non dimenticandosi di calcare un po� la mano nella direzione
di un big sound che mette insieme lo Springsteen degli anni Ottanta con
il contemporaneo Tom Petty di Southern Accents. A grandi linee
sembrano questi giganti i riferimenti sui quali il Cory Branan di When
I Go I Ghost ha perso le nottate, scrivendo vignette americane che
mischiano tratti biografici e introspettivi (arriva da un divorzio e da
una diagnosi di sindrome maniaco-depressiva) a esperienze di perdita,
rottura di relazioni e dipendenze varie con il taglio del narratore, forse
un�inclinazione che gli deriva dal suo primo dichiarato amore musicale,
John Prine.
L�effetto � un po� spiazzante, perch� nasconde autentici gioielli in una
scaletta che tuttavia mostra passaggi a vuoto e qualche tentativo maldestro
di trovare il suono pi� accattivante. Si parte con l�acceleratore e il
rock�n�roll stradaiolo di When
In Rome, When In Memphis, che rimanda ai momenti migliori
del suo The
No-Hit Wonder, album del 2014 in casa Bloodshot che ad oggi
resta ancora l�episodio pi� ispirato dell�intera produzione di Branan.
O Charlene sceglie invece il tono
appassionato di una moderna ballata Americana, chiamando in causa musicisti
affini come Jason Isbell, quest�ultimo guarda caso presente come ospite
nel primo singolo dai profumi soul e fremiti sixties That
Look I Lost. � una delle numerose collaborazioni di studio,
che registrano anche le presenze di Anthony DaCosta, Brian Fallon (Gaslight
Anthem) e della collega e concittadina Garrison Starr, in duetto nella
brezza pop un po� evanescente di Waterfront.
Un taglio sonoro quest�ultimo che pi� volte emerge in superficie, tra
i rintocchi di synth di una comunque affascinante Angels In The Details
dalle movenze funk, nello spigliato jangle pop di una One Happy New
Year che questa volta strizza l�occhio al Tom petty di Full Moon
Fever e il pi� levigato trattamento di Room 101 e Come On
If You Wanna Come, materiale che piacerebbe parecchio ai recenti War
on Drugs e ancora di pi� al Ryan Adams infatuato degli 80s rock. Il finale
con Of Two Minds � persino attraversato da spirali neo-psichedeliche,
che confermano lo sguardo curioso su una certa stagione musicale.
Branan � talentuoso ed eccentrico, non c�� dubbio, paradossalmente persino
troppo, e questo gli procura non pochi guai nel mettere insieme un disco
che funzioni dal principio
alla fine.