Anadiplosi | Per La Retorica
Anadiplosi

Anadiplosi (figura retorica): definizione, significato ed esempi

/a·na·di·plò·ṣi/

L’anadiplosi è una figura retorica che consiste nella ripresa, all’inizio di una frase o di un segmento testuale, di una o più parole conclusive della frase o del segmento testuale precedente.

Etimologia

Anadiplosi, dal greco antico ἀναδίπλωσις, anadíplosis, “duplicazione”. Anticamente detta anche epanastrofe o reduplicatio.

Anadiplosi: esempi

Ecco un esempio di anadiplosi, tratto dalla Retorica ad Erennio (4, 38): 

“Sono tumulti, tumulti domestici ed intestini quelli che tu prepari, Caio Gracco”.

Un caso più articolato si deve all’oratore e politico greco Demostene: 

“… e non è vero che io abbia detto queste cose senza metterle per iscritto, che le abbia messe per iscritto senza andare in ambasceria, che sia andato in ambasceria senza persuadere i Tebani”.

(Le citazioni sono ricavate da Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, pp. 190 e 542).

La stessa particolarità presenta un giudizio di Arthur Rubinstein su Leonard Bernstein, riportato in un annuncio pubblicitario per una collana di CD dedicata a quest’ultimo: 

“Il più grande pianista tra i direttori, il più grande direttore tra i compositori, il più grande compositore tra i pianisti…”.

Il testo inoltre è caratterizzato da una costruzione circolare, prodotta dall’epanadiplosi, la ripetizione di una parola all’inizio e alla fine (“pianista”, “pianisti”).

Un esempio famoso di anadiplosi lo troviamo anche nella Divina Commedia di Dante:

“…Ma passavam la selva tuttavia.

La selva, dico, di spiriti spessi…”

(Dante, Inferno, IV, vv. 65-66)

L’anadiplosi costituisce una specie di eco e si può registrare anche nel corso di un dialogo, quando uno dei due interlocutori ripete ciò che ha appena detto l’altro, per lo più per incoraggiarlo ad andare avanti nel discorso, ad aprirsi ulteriormente. Occorrenze si trovano in alcuni colloqui nel romanzo I Promessi Sposi.

Perpetua: “Ma! io l’avrei bene il mio povero parere da darle; ma poi…”.

Don Abbondio: “Ma poi, sentiamo”.

(Capitolo I).

Don Abbondio: “E poi, e poi, e poi…”.

Renzo: “E poi che cosa?”.

Don Abbondio: “E poi c’è degli imbrogli”.

Renzo: “Degli imbrogli? Che imbrogli ci può essere?”.

(Capitolo II).

“Come ho detto io”, riprese la madre [Agnese]: “cuore e destrezza; e la cosa è facile”.

“Facile!” dissero insieme quei due [Renzo e Lucia], per cui la cosa era divenuta tanto stranamente e dolorosamente difficile.

(Capitolo VI).

Differenza tra anadiplosi, anafora e epifora

Spesso queste figure retoriche vengono confuse: si tratta di figure retoriche di ripetizione, ma nel caso dell’anafora la ripetizione è all’inizio di versi successivi, mentre nell’epifora si trova alla fine dei versi.