Dal Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica del cav. Gaetano Moroni riprendiamo la voce dedicata ad uno degli uomini più importanti della Controriforma Cattolica: il polacco Stanislao Osio (Cracovia, 5 maggio 1504 – Capranica, 5 agosto 1579).

Stanislao Osio, nato d illustre famiglia in Cracovia, fino dall’adolescenza diede chiaro a conoscere a qual sublime perfezione fosse da Dio chiamato, imperocché era tra le altre cose, quale altro s. Bernardo, talmente dedito al digiuno che il direttore della sua coscienza trovò necessario, per non rovinare la di lui complessione, obbligarlo per penitenza di prender maggior quantità di cibi ne’ giorni da lui consagrati all’astinenza, il primo de’ quali era il venerdì in memoria della passione del Redentore. Teneramente compassionevole verso i poverelli, distribuiva ogni giorno il denaro che riceveva da’ genitori e quando n’era privo, genuflesso l’implorava né si alzava finché non l’aveano contentato, laonde era sempre contornato da una folla di poveri sino a correre rischio di essere soffocato. Il padre da Vilna lo mandò in Cracovia a studiare nell’università e si guardò bene d’infettarsi delle eresie e vi trasse un suo amico. Abborriva la conversazione delle femmine benché parenti. Non badando alle intemperie, ogni venerdì visitava le reliquie di s. Stanislao vescovo. Tale fu l’assiduità agli studi che lesse otto volte le opere di Cicerone, per cui divenne peritissimo della lingua latina a cui volle unire la cognizione della greca e un perfetto possesso della filosofia, divenendo perciò modello di perfezione e dottrina in detta università. Trasferitosi a Padova, fece amicizia con Polo poi cardinale ed in Polo poi cardinale ed in Bologna fu addottorato nelle leggi civili. Tornato in Polonia il re Sigismondo l’impiegò ne’ più importanti affari, lo fece cancelliere del regno contro sua voglia e lo nominò canonico di Cracovia. Incaricato a scriver lettere per lo scioglimento del matrimonio del re, si ricusò francamente come cosa detestabile, lo che saputo dal re ne depose allora il disegno, per cui la regina Bona disse che Osio avea la prudenza e la semplicità della colomba. Nominato al vescovato di Culma sotto Giulio III, dové recarsi alle ambascerie di Vienna e Bruxelles, ove colla sua efficacia ed eloquenza tutto ottenne, ricusando il denaro che il re gli offrì pel viaggio. Nel ritorno per non albergare in luoghi eretici, passò alcune giornate senza cibarsi, viaggiando pure di notte. Giulio III lo trasferì alla chiesa di Varmia che governò con grande esemplarità, animando il popolo alla divozione e istruendolo nella divina parola. Per esser più idoneo al sacro ministero si diede alla lezione de ss. padri e principalmente di s. Agostino che lesse sei volte: avea distribuito la giornata in tre tempi, che impiegava nell’orazione e nello studio in vantaggio del prossimo e nel sostentamento e riposo del corpo. Nemico dell’ozio, procurava tenerne lontani anche i famigliari. Si prestava facilmente a chi a lui ricorreva, tenendo perciò sempre aperte le porte dell’episcopio. Esortava i ministri del suo tribunale a non prender doni e trattar anco i rei con carità. Celebrò il sinodo con utilissimi decreti e pel primo introdusse i gesuiti in Polonia, fondandogli col suo peculio un collegio nella diocesi. Recitava solo é sul nudo pavimento le ore canoniche nella pubblica chiesa, e nelle feste era assiduo a’ divini uffizi. Visitava gl’infermi negli spedali, sollevando questi con larghe limosine, ciò che fece sempre co’ poveri. Pel suo zelo non risparmio incomodi, spese e viaggi a vantaggio del cattolicismo cui trasse dall’eresia non pochi, facendo privar dell’impiego di governatore un eretico. A difesa della religione contro l’eresia intervenne alle diete tenutesi nella Prussia, procurando illuminare chi la professava. Benché non obbligato, varcò con pericolo la Vistola per recarsi al sinodo di Petricow adunato dall’arcivescovo di Guesna Nicolo Dziergowsky. Ivi accese i vescovi di ardore per l’ecclesiastica riforma e per la purità della fede, di cui stese la formola. Mantenne del proprio giovanetti ai buoni studi, ma indarno tentò di trarre dall’errore Alberto marchese di Brandeburgo e duca di Prussia. Chiamatolo a Roma nel 1558 Paolo IV nella prima udienza lo trattene tre ore e determinò di crearlo cardinale, onde Osio in ginocchio lo supplicò a non farlo; falso è dunque come asserisce il p. Carrara ch’egli fu imprigionato in Castel s. Angelo. Pio IV per proseguire il concilio generale di Trento,nel 1559 spedì il prelato a Ferdinando I imperatore ed a Massimiliano re di Boemia, il primo ne restò ammirato di venerazione. Indi il Papa a’ 26 febbraio 1561 lo creò cardinale prete di s. Sabina. All’udirne la notizia restò costernato, ricorse alle orazioni e per un mese stette perplesso se accettare: saputosi dall’imperatoratore gli mandò Drascovizio, poi cardinale, per indurlo a sottomettersi, come pur fecero altri principi ed ambasciatori in un al re di Polonia, ai prelati e palatini del regno. Sottomesso l’Osio all’autorità di tanti personaggi, nel dì della ss. Annunziata ricevette dall’arcivescovo di Strigonia le insegne cardinalizie. Dopo due mesi Pio IV lo inviò legato a latere al concilio di Trento, dove la sua casa divenne l’ospizio dei vescovi e cattolici esiliati dall’Inghilterra consolando gli altri con lettere e con danari. Dopo il concilio ritornò alla sua chiesa e tutto si diede a beneficarla. Chiamò in Prussia i gesuiti, gli affidò il seminario provvedendoli di chiesa e collegio con gran spesa. S. Pio V lo dichiarò legato a latere di Polonia, al cui vantaggio il re Sigismondo volle che si recasse in Roma, destinando coadiutore di Varmia con beneplacito apostolico Martino Cromer, di molto merito e zelo della religione, a difesa della quale avea scritto alcune opere contro gli eretici. Giunto a Roma vi fu accolto con generale applauso ed ivi si diede a sollevar l’indigenza per lo più avanti giorno per non essere osservato, divenendo la sua casa il rifugio di tutte le nazioni, vescovi, sacerdoti, religiosi, pellegrini, soldati ed esuli; ricevendo una volta persino 300 schiavi, cui somministrò vitto e mezzi per ritornare alle loro case. Ne’ pubblici spedali visitava gl’infermi, consolandoli con parole e limosine, ed il simile faceva coi suoi famigliari malati. Fondò in Roma un ospedale pe’ suoi connazionali con chiesa dedicata a s. Stanislao vescovo e martire, ma la morte gl’impedì di vederne compito l’edifizio a vantaggio de’ polacchi. In mezzo a tante spese, quando mancava denaro per supplirvi, fece vendere la domestica suppellettile. Somme considerabili gli fornirono i cardinali Madrucci, Ippolito e Luigi d’Este e Gregorio XIII. Mentre nella state trovavasi in Subiaco seppe la morte del re Sigismondo, gli fece celebrare in s. Lorenzo in Damaso solenni funerali, coll’intervento di quaranta cardinali. In tale occasione vestì di nero cento poveri ed a tremila distribuì considerabili limosine in di lui suffragio. Gregorio XIII lo fece penitenziere maggiore, carica che accettò non senza renitenza, quindi insieme co’ penitenzieri minori, ascoltava le confessioni nella basilica Vaticana, mostrandosi affettuoso con tutti, solo col proprio corpo esercitando l’austerità fino a farsi flagellare da un fido domestico. Morì santamente in Capranica, consumato dalle fatiche e penitenze, nel 1579 d’anni settantasei, universalmente compianto, lasciando il poco ch’eragli restato ai bisognosi. Trasferito a Roma ebbe sepoltura nella basilica di s. Maria a in Trastevere. divenuta suo titolo, al destro lato dell’altare dell Assunta con magnifico epitaffio. S. Pio V e Gregorio XIII lo chiamarono salda colonna di s. Chiesa e il ven. cardinal Bellarmino lo disse uomo degno di eterna memoria e ornamento del concilio di Trento. Sebbene odiato a morte dagli eretici, tutti gli scrittori di quel tempo lo ricolmarono di alte lodi. Dotto controversista, scriveva con facilità ed in eleganza, facendo un eccellente uso de’ passi della sacra Scrittura- Sapeva destramente trar vantaggio dalle contraddizioni degli eretici, contro i quali scrisse molte opere che, tuttora lui vivente, furono stampate trentadue volte in sette diverse lingue per tutta l’Europa. Stanislao Rescio pubblicò nel 1584 in Parigi un volume sopra le azioni di questo cardinale ed in Roma ne fu data in luce la vita nel 1587. Argelati riporta il catalogo delle sue opere ed il Ciacconio il di lui testamento. Anche il Torrigio, De script. card., p. 51, riporta il titolo di dette opere.

(Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, Venezia, 1858, Vol. XLIX, pp. 257-260)




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