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Cultura

"Cantiere a Cortina": distraiamoci dalla discussa pista da bob per riscoprire l'arte di Filippo De Pisis

Filippo De Pisis è nato giusto 128 anni fa, l’11 maggio 1896. L'anniversario permette di riscoprire un artista esterno a gruppi, tendenze o assembramenti politici. Di tutto informato, sembrava non curarsi affatto di quanto attorno a lui accadeva, meno che meno delle avanguardie. Egli rappresentava se stesso: un incollocabile caso a parte. Uno dei suoi quadri si intitola “Cantiere a Cortina”: è del 1937, anno in cui, per una sorprendente e attualissima coincidenza, a Cortina si svolsero i campionati del mondo di bob a due

Di Silvio Lacasella | 11 maggio | 12:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Ricordiamo innanzitutto chi era Mario Rimoldi, albergatore in Cortina, proprietario dell’Hotel Corona: collezionista vorace, nei primi tempi addirittura bulimico, dall’istinto irregolare ma autentico e sincero; amico degli artisti, di uno in particolare, di Filippo De Pisis.

 

I due si erano conosciuti nel 1929 e, da allora, l’artista divenne suo ospite fisso nel periodo estivo. Alle pareti, strette una accanto all’altra, decine di opere “fra eccelse, buone e di pessimo gusto” com’egli stesso riconosceva, ricordando i primi acquisti. Una conferma arriva anche da Giovanni Comisso, amico fraterno di De Pisis: “Un giorno conobbi il padrone di un albergo, che mi volle far vedere una sua squinternata collezione di quadri che andava da quelli del pittore tirolese Egger Lienz a certe croste che diceva attribuite a Tiziano. Gli dissi che invece di raccogliere quei quadri doveva approfittare che in Cortina vi era la fortunata presenza del maggiore pittore moderno italiano, già glorioso di fama parigina, e che doveva acquistare i suoi quadri. Volle essere presentato e così ebbe inizio una delle maggiori collezioni private di quadri di De Pisis”. Più di cinquanta, tra olii, acquerelli e disegni.


Passione per l’arte iniziata quando aveva poco più di vent’anni, a Roma, dove si era recato per frequentare la scuola alberghiera. Il gusto di Rimoldi, comunque, andò via via affinandosi e saranno molti i nomi importanti che arricchiranno la sua sorprendente raccolta, che già negli anni Quaranta poteva vantare circa quattrocento opere: De Chirico, Savinio, Arturo Martini, Marino Marini, Giorgio Morandi, ma l’elenco è davvero lungo. Campigli, Sironi, Garbari, fino a Guttuso, Vedova, Santomaso e altri ancora, compresi alcuni prestigiosi nomi stranieri. Tra questi, un pastello di Kokoscka. Una collezione trasformatasi in museo grazie alla donazione divenuta esecutiva nel 1974, per volontà di Monica Braun, moglie di Rimoldi, mancato due anni prima.

Quello che rimane, è un itinerario personale, a propria immagine e somiglianza. Impossibile, infatti, ipotizzare, all’interno di una collezione, una storia dell’arte fatta unicamente di opere. Di ogni artista vi rimane impresso il tempo in cui quella determinata opera è stata creata, rimangono gli incontri, gli umori, le singole occasioni, le circostanze che l’hanno fatta arrivare e, nel suo retro, appunto, rimane impresso il volto di chi le ha acquistate.

 

Se c’è un pittore per il quale ogni sbalzo emotivo, ogni occasione e ogni avvenimento ha provocato il febbricitante ritmo che contraddistingue la sua creatività, questo è De Pisis, nato giusto 128 anni fa, l’11 maggio 1896. Un procedere, il suo, segnato da inquietudini, da vertiginose ebbrezze, da irripetibili istanti: “spugna di sensazioni” dirà di lui Francesco Arcangeli, che avvicinerà il suo incedere frenetico addirittura a quello di Pollock.

Fermare l’attimo, dunque, e dovunque: a Ferrara, città in cui nacque nel 1896 e in cui si svilupparono le sue inclinazioni letterarie prima e pittoriche poi; a Bologna dove si laureò; quindi dal 1920 al 1925 a Roma, con una parentesi ad Assisi nel 1923; a Parigi, nel determinante e lungo soggiorno dal 1925 al 1939 (un paio di incursioni londinesi nel 1933 e nel 1935); a Milano in più occasioni e a Venezia, dal 1943, accanto all’amato Guardi, a duellare con i riflessi della laguna. Per citare solo le tappe principali. Almeno due volte, armato di cavalletto, sostò anche a Vicenza. Sembra di vederlo, nelle piazze e nelle vie del centro destare grande curiosità tra i passanti, incantati a guardare quel pittore abbigliato in modo eccentrico picchiettare eccitato la tela, velocemente, con la punta del pennello, per bloccare un riflesso, un lampo luminoso, già in buona parte divorato dall’ombra, poiché, come scriverà: “Tutti gli attimi noi moriamo un poco”.


Due affermazioni, fra le tante che ci fanno comprendere l’origine dell’ansia che, tormentandolo, ne esaltava la corsa: “L’opera infine non è che la cenere di un fuoco”. Ancora: “Nulla resterà di questa armonia. Tutti gli attimi noi moriamo un poco…”. Stato d’animo che emerge anche leggendo i suoi versi: “Si sfanno cirri tenui nel cielo/ e vano è seguirli col pennello/oramai stanco” o tra le pagine de “Le memorie del marchesino pittore”, testo autobiografico pubblicato postumo da Longanesi nel 1969.

Cortina, dunque, ma anche Fiera di Primiero, Auronzo, Pozzale. Quasi l’intero Cadore entrerà nelle sue tele. A ben guardare, non si possono indicare svolte improvvise o punti di netta frattura nella ricerca espressiva di De Pisis, in questo egli può essere avvicinato a Morandi, pur essendo, di Morandi, l’esatto contrario. Diametralmente opposto anche a De Chirico, che conobbe e frequentò a Ferrara nel 1916, e dal quale assorbì alcune suggestioni velatamente metafisiche.


Per De Pisis “esserci” era una condizione necessaria, così da bloccare l’istante. Con un approccio diverso da quello che animò gli impressionisti, nei suoi quadri, assieme al variare della luce, si coglie la transitorietà dell’esistenza: col fiorire, la caducità delle cose. Restituisce leggerezza a una piuma, a una farfalla, alle nuvole il loro movimento, a un fiore la delicatezza del petalo: “Gladiolo fulminato” è il titolo di uno tra i quadri più belli da lui dipinti. In sostanza, attraverso la pittura, egli vuole restituire l’emozione dello sguardo. Una sfida mai interrotta la sua (morirà a Milano nel 1956): “Non ti conosco, forse non ti vedrò più, ma incontrandoci ci siamo guardati un attimo, e poi ho voltato il capo e anche tu ti volgevi a pena a guardarmi, i nostri occhi si sono incontrati”.

 

A Mario Rimoldi, in cambio dell’ospitalità, rimanevano i quadri che De Pisis realizzava durante la permanenza nel suo albergo, quali: “Cantiere a Cortina” del 1937 (titolo di sorprendente e attualissima attualità, considerato che proprio in quell’anno a Cortina si svolsero i campionati del mondo di bob a due) e “La chiesa di Cortina” sempre del ‘37, dipinto giunto secondo al Premio Bergamo del 1939. Nella collezione entrarono anche quadri realizzati altrove, “Il soldatino francese”, sempre del 1937; poi ancora “Natura morta con ombrello” del 1939, data che segna il definitivo rientro dalla Francia. Del medesimo anno “Natura morta con pesci” dove c’è tutto De Pisis: un’opera vibrante e luminosa, come può dipingere solo chi stringe fortemente a sé la vita. Ci sono Guardi, l’ultimo Tiziano, la velocità e gli azzurri di Tiepolo, poi Magnasco, in parte c’è la fase matura di Turner, tutti presenti, se non qui, in altre occasioni.

 

Esterno a gruppi, tendenze o assembramenti politici, De Pisis, di tutto informato, sembrò non curarsi affatto di quanto attorno a lui accadeva, meno che meno delle avanguardie. Egli rappresenta se stesso: un incollocabile caso a parte.


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