Cnosso, la scoperta di una civiltà

Cnosso, la scoperta di una civiltà

Oltre un secolo fa Arthur Evans riportò alla luce il palazzo del mitico re cretese Minosse. E con esso un’intera civiltà, quella minoica, la più evoluta in Europa nel III millennio a.C.

Ancora alla metà del XIX secolo un’aura di leggenda e mistero permaneva intorno alle origini dell’antica Grecia. Gli eventi precedenti al 776 a.C., l’anno della prima Olimpiade, data che segnava simbolicamente l’inizio della storia nell’Ellade, erano avvolti nell’oscurità: i poemi omerici erano le uniche fonti a disposizione degli studiosi. Fu il tedesco Heinrich Schliemann a rivelare il mondo fino allora sconosciuto delle civiltà preelleniche: l’archeologo, durante una campagna di scavi tra il 1871 e il 1873, identificò su un promontorio nel nordovest della Turchia le rovine di Troia, lo scenario della mitica guerra narrata da Omero nell’Iliade. Seguirono le scoperte di Micene e Tirinto, due delle città da cui provenivano i guerrieri omerici. La Grecia micenea, come viene definito il periodo tra il 1600 e il 1150 a.C., non era più solo una finzione poetica, ma una realtà attestata dall’archeologia.

L'ingresso nord del palazzo di Cnosso, ricostruito da Evans

L'ingresso nord del palazzo di Cnosso, ricostruito da Evans

Foto: Johanna Huber / Fototeca 9X12

Nel 1882 un giovane inglese fece visita a Schliemann ad Atene. Arrivò con una lettera di presentazione del padre, John Evans, un rinomato numismatico e paletnologo che il tedesco aveva conosciuto in Inghilterra. In quel momento era forte il fascino esercitato dalle splendide scoperte di Schliemann, intimamente legate al mondo omerico, ma ciò che più attraeva l’attenzione del giovane studioso erano le iscrizioni incise sui reperti micenei. La loro sostanziale diversità dai manufatti della Grecia classica rendeva questi oggetti ancora più interessanti, ed egli, in disaccordo con l’archeologo tedesco, li riteneva addirittura precedenti all’età omerica.

Questo giovane era Arthur Evans. Nato nel 1851 in una cittadina nei pressi di Londra, aveva sviluppato la sua passione per l’archeologia fin dalla fanciullezza, quando appena quindicenne aveva visitato con il padre gli scavi paleolitici nella valle della Somme, in Francia. In seguito, proseguiti gli studi a Oxford, aveva compiuto numerosi viaggi di studio alla scoperta dei siti archeologici d’Europa, specialmente nei Balcani, in Grecia e in Sicilia. Dopo essersi sposato con Margaret Freeman nel 1878, Evans si trasferì a Ragusa (l’odierna Dubrovnik, in Croazia), dove divenne corrispondente per il quotidiano The Manchester Guardian.

Di nuovo a Londra nel 1884, a soli trentatré anni, Evans fu nominato sovrintendente del prestigioso Ashmolean Museum di Oxford, che nel XIX secolo ospitava una delle più ricche collezioni archeologiche del Vecchio Continente. Cominciò in questi anni a interessarsi degli antichi sistemi di scrittura e continuò a visitare i siti archeologici europei con la scusa di acquistare nuovi pezzi per il museo. Sua moglie Margaret lo accompagnava nei suoi viaggi, finché si ammalò di tubercolosi e morì nel 1892.

Arthur Evans e la sua squadra durante la ricostruzione del palazzo di Cnosso. Ashmolean Museum, Oxford

Arthur Evans e la sua squadra durante la ricostruzione del palazzo di Cnosso. Ashmolean Museum, Oxford

Foto: Album

Creta, l’isola di Minosse

Dopo la morte della moglie Evans rivolse il suo sguardo a Creta. L’isola era un polo di attrazione archeologica; da decenni i ricercatori seguivano le orme del leggendario re Minosse. Egli, secondo il mito, incaricò l’architetto ateniese Dedalo di costruire un labirinto dove rinchiudere il Minotauro, un essere mostruoso con il corpo di uomo e la testa di toro, poi ucciso dal principe ateniese Teseo con l’aiuto della figlia del re Arianna. Un mercante greco appassionato di archeologia, Minos Kalokairinos, nel 1878 individuò per primo i resti del labirinto sulla collina di Kefala, vicino a Iraklion, dove, secondo la tradizione, si trovava l’antica città di Cnosso.

Icaro e Dedalo di Charles Paul Landon, 1799. Musée des Beaux-Arts et de la Dentelle d’Alençon

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Kalokairinos risvegliò la curiosità di altri archeologi, compreso Schliemann, ma il tedesco non riuscì ad acquistare il terreno dai turchi, che ancora detenevano il dominio sull’isola, e a dare quindi avvio agli scavi. Da parte sua l’archeologo italiano Federico Halbherr riportò alla luce le rovine delle città di Festo e Hagìa Triàda e un gran numero di iscrizioni.

A Oxford, Evans prestò particolare attenzione alle iscrizioni trovate a Creta, su cui Halbherr e altri ricercatori lo tenevano informato. Lo studioso, infatti, intendeva indagare le origini della scrittura ellenica. Era convinto che «nel territorio greco, dove la civiltà gettò le sue prime radici in suolo europeo, era esistito probabilmente un sistema di scrittura primitivo». All’Ashmolean Museum Evans aveva avuto modo di esaminare dei sigilli con iscrizioni, in precedenza classificati come “fenici”; egli, tuttavia, notò che i simboli assomigliavano alle incisioni cretesi scoperte e concluse che corrispondevano a un sistema di scrittura sconosciuto, anteriore alla scrittura greca: la cosiddetta Lineare B. Così, nel 1893, dopo aver acquistato, durante un viaggio ad Atene, una serie di sigilli con iscrizioni misteriose provenienti da Creta, Evans rinunciò al suo impiego di prestigio al museo e decise di recarsi sul posto.

Tavoletta micenea con scrittura Lineare B. Museo di Iraklion

Tavoletta micenea con scrittura Lineare B. Museo di Iraklion

Foto: AKG / Album

Nel regno di Minosse

Evans giunse a Creta nel marzo del 1894. Dopo un incontro con Halbherr e Kalokairinos si diresse al sito di Cnosso. Una prima ispezione gli confermò il grande interesse del luogo: «Appena lo vidi sentii che era molto importante, perché era il centro intorno al quale giravano tutte le leggende della Grecia antica», avrebbe ricordato più tardi. Tuttavia, il governo ottomano, a cui apparteneva Creta, poneva degli ostacoli: obbligava gli archeologi a comprare le terre su cui avrebbero voluto compiere gli scavi, cosa che, per esempio, non era riuscita a Schliemann. Negli anni successivi, Evans fece vari viaggi sull’isola, finché nel 1899 creò il Fondo per l’esplorazione di Creta e, facilitato dalla sopravvenuta indipendenza dell’isola dalla Turchia, comprò il terreno di Kefala, l’antica Cnosso. Il 23 marzo 1900 incominciarono gli scavi.

Evans aveva visitato molti giacimenti, ma non aveva mai organizzato uno scavo. Per questo si circondò di collaboratori esperti, come l’architetto Theodore Fyfe e l’archeologo scozzese Duncan Mackenzie, che dirigeva gli scavi e supervisionava le decine di lavoratori incaricati di sgombrare il terreno e trasportare le macerie. In pochi giorni affiorò una grande costruzione: un ritrovamento straordinario, che secondo Evans non aveva “nulla di greco, né di romano”. Si trattava di un palazzo dalla pianta intricata, dell’estensione di due ettari e mezzo, con circa mille sale in comunicazione tra loro. Subito l’archeologo ricondusse la scoperta al celebre re Minosse: l’edificio non poteva che essere l’inestricabile Labirinto del Minotauro. Quando in uno degli ambienti riemerse un grande sedile in gesso addossato al muro, lo studioso ritenne di aver trovato la “sala del trono” e identificò un’altra stanza vicina con la “sala della regina”. Intorno al cortile maggiore, un enorme quadrato, sorgevano su tutti i lati ali di costruzioni, mura e pilastri. Agli occhi di Evans Cnosso appariva chiaramente come un palazzo lussuoso: i principi che vi avevano dimorato erano senz’altro vissuti nella ricchezza e nel piacere, circondati da una corte di donne eleganti e raffinate. Mackenzie, invece, era più moderato nei suoi resoconti e si limitava a descrivere la consistenza e i colori dei resti riemersi.

Il palazzo di Cnosso. Il rilievo policromo di un toro nell’atto di caricare orna l’entrata nord di Cnosso, il complesso archeologico più grande e importante dell’isola di Creta

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A Evans d’altro canto non bastò scatenare l’immaginazione alla vista delle rovine, ma si arrischiò anche a ricomporle. In effetti, tornando a Creta per la seconda campagna di scavi, gli archeologi trovarono il sito danneggiato dalla pioggia. Il ricercatore inglese allora si rese conto che, parallelamente allo scavo, era necessario dare avvio ai lavori di restauro e conservazione; d’altronde era suo desiderio che anche il visitatore profano potesse comprendere e ammirare quella meraviglia dell’antichità. Per quanto riguarda le stanze su due piani, Evans provò a sostenerle con delle travi di legno e introdusse pali e capitelli di pietra, ma il risultato non era del tutto soddisfacente. Alla fine impiegò il cemento armato che, per quanto biasimato, salvò l’edificio dal crollo durante il terremoto del 1926. Questi restauri furono e sono tuttora aspramente criticati non solo per i materiali impiegati e per il metodo di scavo poco sistematico, ma anche per il ripristino piuttosto arbitrario delle decorazioni non suffragato da alcuna documentazione archeologica; travi di ferro, cemento armato e legno contribuirono a ricreare la visione che sir Arthur Evans aveva concepito del leggendario palazzo di Minosse. Occorre però contestualizzare tali scelte in un’epoca in cui l’archeologia era combattuta tra il suo passato antiquario e il suo futuro scientifico.

La veranda degli scudi. I dipinti parietali sono copie degli originali

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Foto: Weltbild / Age Fotostock

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L’enigma delle tavolette cretesi

L’entusiasmo di Evans crebbe quando tra le rovine dell’antico palazzo apparvero resti di pitture murali, che l’archeologo fece restaurare completamente, a partire soltanto dai piccoli frammenti originali. Affidò questo compito a due artisti svizzeri, padre e figlio, entrambi di nome Émile Gilliéron. Anche se i due pittori si basarono su evidenze archeologiche e sulla loro precedente esperienza a Micene, il loro lavoro fu controverso e oggi gli studiosi ritengono che alcuni elementi dei restauri siano una mera invenzione.

Le scoperte di Cnosso ebbero ben presto un’eco internazionale. Evans informò con un telegramma il Times dei suoi primi ritrovamenti e di ritorno a Londra tenne numerose conferenze in Gran Bretagna. Ottenne così nuove sovvenzioni che gli permisero di avere alle sue dipendenze fino a 250 lavoratori. Ma quando l’interesse del pubblico venne meno, nel 1906 il Fondo per l’Esplorazione di Creta rimase senza risorse e si dovettero sospendere i lavori.

Evans era andato a Creta con il proposito di risolvere l’enigma della scrittura Lineare B e gli scavi di Cnosso gli avevano fornito una gran quantità di tavolette di argilla con iscrizioni, conservatesi perché si erano cotte durante un incendio. «Ancora più interessante delle reliquie artistiche è la scoperta delle tavolette d’argilla. Sono molto soddisfatto, perché è il motivo per cui sono venuto a Creta», scrisse nel suo diario. A partire dal 1905 Evans, stabilitosi in una villa vicino al sito archeologico, chiamata The Villa Ariadne, si dedicò a esaminare e trascrivere le circa tremila tavolette che aveva trovato e ne pubblicò le iscrizioni in una serie di volumi intitolati Scripta Minoa.

Moneta cretese con una raffigurazione del Labirinto di Cnosso. V secolo a.C., Museo Nazionale Romano

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Foto: Scala

La Prima guerra mondiale lo obbligò a tornare a Oxford. Alla fine del conflitto proseguì le ricerche a Creta, lavorando contemporaneamente alla pubblicazione dei risultati dei suoi scavi. Nel 1924 affidò il sito di Cnosso alla Scuola archeologica inglese di Atene. In quel momento era forte il clamore per lo straordinario rinvenimento della tomba di Tutankhamon in Egitto, la cui eco era amplificata dalla stampa internazionale, ed egli si sentì messo da parte. Ma dopo la sua morte, nel 1941, il suo nome rimase nella storia, per sempre legato a una delle più grandi scoperte dell’archeologia: quella della più antica civiltà dell’Egeo, chiamata “minoica” in onore del mitico re Minosse.

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Per saperne di più

Civiltà sepolte. C. W. Ceram, Einaudi, Torino, 2006.

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