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Victor – La storia segreta del dottor Frankenstein

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VOTO: 4.5

A nostra immagine e somiglianza

Non si può non dire che Frankenstein non sia il personaggio del momento. Dal 2013 ad oggi, infatti, ben tre opere hanno incontrato il buio della sala, con I, Frankenstein di Stuart Beattie ad aprire le danze, seguito da Frankenstein di Bernard Rose e Victor – La storia segreta del dottor Frankenstein di Paul McGuigan. Quest’ultima, presentata in anteprima alla settima edizione del Bif&st prima dell’uscita nei cinema nostrani il 7 aprile con 20th Century Fox, rappresenta senza ombra di dubbio l’anello debole del terzetto. Almeno sulla carta, la versione firmata dal regista scozzese del celebre romanzo scritto da Mary Shelley fra il 1816 e il 1817 aveva tutte le carte in regola per far venire una discreta acquolina in bocca, ma il risultato finale non ha purtroppo consegnato alla platea un menù degno di nota. L’idea di vedere in azione la coppia formata da Daniel Radcliffe e James McAvoy, rispettivamente nei panni di Igor e Victor Frankenstein, per di più al servizio dell’autore di film come Slevin o Push, non nascondiamo che aveva stuzzicato in noi un certo appetito. La possibilità di assistere a una variante moderna, dinamica e ipercinetica dell’opera letteraria della scrittrice britannica, era forse il principale motivo d’interesse legato al progetto.
Altri motivi di interesse si fa fatica a trovarli poiché, volendo restringere il campo alla Settima Arte, del romanzo, della storia che racconta e dei personaggi che lo animano, a cominciare dalla celeberrima creatura protagonista, se ne sono fatte innumerevoli trasposizioni. Il cinema ha attinto a piene mani ai personaggi di Mary Shelley, tanto da produrre una quantità sostanziosa di film, dai riscontri molto diversificati di critica e pubblico. In tal senso, provare ad abbozzare una lista completa dei film sull’argomento è impresa titanica, basti pensare che l’esordio sul grande schermo risale al 1910 con il cortometraggio muto di J. Searle Dawley dal titolo Frankenstein. Insomma, Frankestein sullo schermo lo abbiamo visto davvero in tutte le salse, tanto da rischiare un’indigestione. Il solo provare a immaginare quale altra possibile variante sul tema possa essere partorita dalla mente dello sceneggiatore di turno, dovendo oramai fare i conti con una filmografia tanto vasta e variegata, è a questo punto il primo e più importante nodo da sciogliere.  Per cui, è legittimo che lo spettatore possa nutrire un certo pregiudizio nei confronti dell’ennesima pellicola incentrata, basata, dedicata o anche solo liberamente ispirata al moderno Prometeo e a ciò che rappresenta. Di conseguenza, nemmeno questo adattamento firmato da Paul McGuigan poteva in nessun modo sfuggire al cosiddetto banco di prova che, per quanto ci riguarda, si risolve con una bocciatura, che non può che avvalorare l’idea pregiudiziale legata alla natura del progetto.
Misurarsi con Frankenstein significa in primis trovarsi faccia a faccia con un archetipo, entrato da nell’immaginario collettivo. Di conseguenza, sin dalla fase di scrittura il progetto cinematografico di turno si carica di una grandissima responsabilità. Ciò che approda sullo schermo è sotto gli occhi di tutti, familiare e codificabile a una vastissima fetta di potenziali spettatori. Se da una parte ciò potrebbe facilitare il compito, dall’altra potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, come è accaduto al cineasta scozzese e a tantissimi che lo hanno preceduto. L’unico ingrediente meritevole di essere salvato in una ricetta venuta male è solo quello di aver messo i puntini sulle i. Nella sua ultima fatica dietro la macchina da presa, McGuigan è riuscito quantomeno a non scivolare in un errore piuttosto comune, ossia quello di non staccare la figura del dottor Victor Frankenstein da quella della sua creatura, spesso ricordata come mostro di Frankenstein. L’errore che ha generato in passato confusione e che continua a reiterarsi ancora oggi, è quello di identificare il prometeo con lo stesso nome del suo artefice. In tal senso, il titolo del film è già una dichiarazione d’intenti. In più, in Victor ad acquistare uno spazio maggiore è il personaggio di Igor, spesso rilegato a servitore informe, ma che qui diventa forse il vero protagonista del racconto, spodestando dal trono drammaturgico il folle e celeberrimo padrone di casa. Sembra quasi di assistere a una sorta di spin off dedicato a Igor.
Per il resto, la pellicola si muove lungo la traiettoria di un racconto del quale, oramai, conosciamo per filo e per segno ogni singolo passaggio. McGuigan & Co. cercano di mescolare le carte strada facendo, rimettendo le mani qua e là sulla storia e dando nuove sfaccettature ai personaggi principali e secondari. Ma anche se cambi i fattori, il risultato alla fine rimane invariato e si arriva per forza di cose sempre allo stesso punto e a ribadire per l’ennesima volta la morale che l’opera letteraria si porta dietro da centinaia di anni: la figura del mostro vista come espressione della paura per lo sviluppo tecnologico, ma anche come rappresentazione delle paure umane e del diverso, che in quanto tale causa terrore. L’originalità quindi va a cercata da altre parti. Dal canto suo, il cineasta scozzese punta tutto sullo componente tecnica, estetica e spettacolare della confezione. Ma gli effetti speciali lasciano il più delle volte a desiderare, indebolendo ancora di più la già precaria situazione di un film diretto da un regista che prova scopiazzare qua e là Tim Burton nella messa in scena e Guy Ritche nella messa in quadro, con esiti decisamente fallimentari.

Francesco Del Grosso

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