C'era una volta Pinocchio. Conversando su Collodi e dintorni con Daniela Marcheschi - Mentinfuga %

C’era una volta Pinocchio. Conversando su Collodi e dintorni con Daniela Marcheschi

illustrazione pinocchio

Non so se le generazioni più giovani siano ancora così legate a come le precedenti. Immagino (e mi auguro) di sì, visto che sono ancora numerosi e continui – nonostante siano passati quasi centocinquanta anni dalla sua pubblicazione, tra il 1881 e il 1883 – i più disparati riferimenti a questo burattino e alla sua storia: nel cinema e nel fumetto, nel teatro come nella composizione musicale. Tutto intorno a questa magica ed incantevole creazione di , detto Collodi.
è la persona giusta per ragionare ed approfondire il mondo di Pinocchio. Toscana di Lucca, è una studiosa di letteratura italiana e una docente con vaste frequentazioni europee ed internazionali, dalla Svezia al Portogallo. Parla diverse lingue ed è autrice di molti studi. Ha curato – per i Meridiani della casa editrice Mondadori – sia il volume dedicato alle opere di (1995) che quelli di (2004) e Gianni Rodari (2020); ma soprattutto è presidente dell'Edizione nazionale delle opere di Carlo Lorenzini [1]. Lo scorso mese di marzo ha condotto – con grande entusiasmo e competenza – un importante convegno sulle nuove prospettive di ricerca su Collodi [2], ospitato proprio nella cittadina omonima.
Approfitto del suo soggiorno di studi romano – da Visiting Scholar all'American Academy di Roma, sul Gianicolo – per interrogarla diffusamente (da questo luogo suggestivo eppure poco conosciuto) a partire dai suoi studi e dalle mie curiosità.

Mi piacerebbe cominciare – se mi è permessa la parafrasi e l'allusione – dicendo che «C'era una volta un pezzo di legno», come nell'incipit di Pinocchio. Come nasce la sua “militanza” tra gli studiosi di Carlo Collodi (o Lorenzini che dir si voglia)?

Daniela Marcheschi - ritratto
Daniela Marcheschi

Nasce per puro caso. Mi era capitato di andare un giorno a studiare alla Fondazione Collodi che aveva una biblioteca settoriale comoda e bella. Ho cominciato a guardare gli scaffali e a un certo punto scorgo un libro: Carlo Lorenzini, Un romanzo in vapore [3]. Mi ha incuriosito il titolo, l'ho aperto e mi sono molto divertita a leggerlo: era un romanzo/non romanzo, cioè era una guida delle “strade ferrate” – come si chiamavano all'epoca – per chi viaggiava da Firenze a Livorno. Un viaggio che prendeva tre ore circa, come la lettura del libro collodiano, dove si illustravano il paesaggio toscano lungo quella linea ferroviaria, tutte le fermate, le città, le attività… Per le città principali si davano  le indicazioni delle attività commerciali, degli studi degli artisti – una sorta di Pagine Gialle ante litteram. Sono andata a cercare nei profili di Collodi (e di Lorenzini) che cosa si dicesse di questa guida; si diceva che fosse una guida turistica, ma in realtà – oltre alla guida turistica – c'era anche un romanzo d'amore interrotto e molto altro: tante divagazioni. C'erano descritte delle figure tipiche di Firenze: ad esempio il terrazzano (cioè il contadino) che si affretta verso la stazione (la Leopolda, allora) per prendere il treno; e poi due innamorati che si salutavano… C'era una specie di romanzo d'amore, personaggi incontrati nello scompartimento ferroviario e le loro chiacchiere, insomma un insieme di cose buffe e di personaggi caricaturali.

Mi fa venire in mente Tre uomini in barca, per tacer del cane, di Jerome K. Jerome, che avrebbe dovuto essere una guida del Tamigi…

Lorenzini, Un romanzo in vapore, 1856 - copertina
Lorenzini, Un romanzo in vapore, 1856

Certo; ma anche ad esempio il Viaggio sentimentale di Laurence Sterne. Tornando al libro di Collodi, c'erano tante digressioni che spaziavano dai vari personaggi incontrati sul treno alla storia dei luoghi, alla descrizione dei fatti storici, i dati paesaggistici, gli aspetti commerciali, la storia delle ferrovie italiane – che non erano in realtà ancora davvero italiane, di una unica nazione italiana, intendo – e il treno, lo sviluppo del mezzo moderno per eccellenza… A me ha incuriosito tantissimo e mi sono detta: un libro così va ripubblicato e va spiegato. C'era molto lavoro da fare: a parte Pietro Pancrazi o Felice Del Beccaro – ed anche Renato Bertacchini, Fernando Tempesti, Roberto Maini e Gaetano Scapecchi – mancavano su Lorenzini-Collodi lavori sistematici fatti con gli occhi di un'altra generazione di lettori. Così mi sono messa al lavoro. Poi ho cominciato a leggere soprattutto i giornali umoristici (Il Lampione, L'Arte, La Lente, Lo Scaramuccia, L'Italia Musicale e molti altri), a cui Lorenzini aveva collaborato in gioventù ed è stata una vera folgorazione, perché mi sono resa conto che c'era una continuità formale fra Lorenzini giornalista comico-umoristico e lo scrittore Collodi. Come dare conto di questo? Teorizzando e comprovando con i fatti e i documenti storici l'esistenza della tradizione comico-umoristica: lo stesso Giovanni Guareschi dichiara – del suo giornalismo – che si tratta di giornalismo comico-umoristico, precisamente come diceva Collodi, amatissimo dal suo “professore” Cesare Zavattini.
Ho visto anche quello che dell'umorismo scrivevano  i protagonisti dell'epoca: ad esempio Gerard de Nerval, Ferdinando Martini, che costruivano e ricostruivano, rendendola nota ai lettori, la tradizione o genealogia dell'umorismo: di quali testi base ne consistesse il canone, in breve  gli apici di quella stessa tradizione, a partire dall'antichità con Petronio, Luciano, la satira latina, Dante letto come un satirico (sull'impulso di Giuseppe Baretti), Boccaccio, Merlin Cocai, Ariosto, ecc. E con diversi generi letterari, personalità dell'arte, della musica. Stiamo parlando anche della caricatura letteraria, della caricatura pittorica, delle illustrazioni: quindi di William Hogarth, di Gavarni, Daumier e altri. Ma anche – ad esempio – della musica di , considerato un grande nume tutelare della tradizione comico-umoristica e il rappresentante esemplare della musica italiana nel Risorgimento: un simbolo dell'italianità prima ancora del 1859, cioè di Verdi. Insomma, Rossini era visto sia come interprete della tradizione italiana e internazionale comico-umoristica sia dell'Italia stessa. Così scopro, leggendo i giornali, che Collodi è uno dei più raffinati critici musicali del suo tempo, tanto che legge Rossini come fa ora la musicologia da alcuni (non molti) decenni: la musica, lo spartito instaura un dialogo talora straniante con il libretto per irriderne la lettera attraverso ritmo e antitesi. Un gioco umoristico che si situa tra la dimensione verbale dell'opera (il significato della lettera del libretto) e quella musicale dell'Opera buffa nel suo svolgimento: ad esempio quando il Conte d'Almaviva, Rosina e Figaro, nel Barbiere di Siviglia, cantano insieme Zitti, zitti, piano, piano, non facciamo confusione finiscono in realtà con il farla… Un gioco comico che attingeva anche alla Commedia dell'arte. Nella Cenerentola di Rossini c'è una parodia dell'inizio delle fiabe come nel Pinocchio. Nelle opere buffe di Rossini c'è una ricchezza di rimandi culturali fortemente riconoscibile per chi praticava il giornalismo comico-umoristico: meglio sarebbe dire la letteratura comico-umoristica pubblicata sui giornali bisettimanali o settimanali venduti su sottoscrizione. Era un genere imperniato sulla divagazione, digressivo, pubblicato sui fogli del tempo, con il corredo di caricature: in questo senso si tratta di giornalismo; ma in realtà era una letteratura adattata ai nuovi spazi multimediali creati dal giornale. E in un tale dialogo, modernissima. Gli autori che la praticavano avevano ben chiaro quello che tanto giornalismo di oggi talvolta dimentica: che il giornalismo è un genere letterario. I giornali comico-umoristici erano giornali su abbonamento, dove la caricatura artistica interagiva con la caricatura letteraria in una serie di mutui scambi. Collodi è appunto riconosciuto dai contemporanei il maestro del genere comico umoristico, «maestro emulato da molti mai eguagliato da nessuno», come si legge a un dipresso in un necrologio alla sua morte. È poi chiaro un fatto di notevole importanza formale: che Collodi sta costruendo il genere della caricatura letteraria: qualcosa di diverso rispetto alle Physiologies di Balzac, del giovane Baudelaire. Non a caso Lorenzini viene presto tradotto anche in francese.

La sua passione personale per Collodi ha anche un aspetto legato all'entusiasmo per la lettura di Pinocchio nell'infanzia?

Pinocchio, illustrazione di Attilio Mussino
Pinocchio, illustrazione di Attilio Mussino

Non si tratta di una passione totalizzante: mi affascina però la possibilità, attraverso gli studi collodiani, di riappropriarmi di un secolo, l'Ottocento, a mio parere vittima di pregiudizi un po' duri a morire.  Pinocchio – l'edizione con le illustrazioni di Attilio Mussino – è il primo libro che ho ricevuto in regalo per Natale. Avevo compiuto sei anni da pochi giorni e mi ricordo la copertina colorata, la carta di quel libro, le illustrazioni dai vividi colori, in giallo, verde, rosso.
Quello che ne ricordo soprattutto, però, è la paura. A me Pinocchio ha fatto una grande paura perché i bambini leggono immedesimandosi nel personaggio, nella storia: l'impiccagione, gli assassini, la notte buia e tempestosa…
Anche la lingua non era sempre semplice da capire, nonostante io sia toscana. Chiedevo a mia nonna i significati di alcune parole: lei era nata nel 1902, l'aveva perciò letto nel 1908, perché anche a lei era stato regalato in prima elementare un Pinocchio con le illustrazioni di Carlo Chiostri. A volte mi sapeva rispondere… Ma pure lei ignorava il significato preciso di alcune parole, anche se questo non era però un ostacolo alla lettura, perché anche “l'incirca” fa parte della magia della lettura infantile. Certo Pinocchio è stato nella mia famiglia un riferimento abituale, un riferimento anche educativo: ad esempio per la bugia o la disubbidienza.
L'attrazione è però scattata quando l'ho letto da grande: mi sono divertita enormemente a osservare tutta la trama dei rimandi allusivi, dei giochi verbali: «Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete d'oro: pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione». Oppure la rappresentazione dei due vecchi – Geppetto e Mastro Ciliegia – che portavano la parrucca… Ho capito che Collodi ripensava con ironia alla propria infanzia: nella Toscana marginale e campagnola – ancora negli anni ‘30 dell'Ottocento – i vecchi portavano le parrucche, perpetuando un'abitudine addirittura pre-rivoluzionaria. Eppure, Napoleone aveva sovvertito pure la moda nel vestire e nel portare i capelli.
In Pinocchio ci sono termini o forme o modi e giochi di parole che appartengono all'area della Toscana occidentale, come ho scritto anche nelle note del Meridiano Mondadori delle Opere di Collodi (1995). E questa è un'ulteriore dimostrazione che Collodi/Lorenzini sta ripensando alla propria infanzia, quando il paese di Collodi era parte della provincia di Lucca (lo sarà fino al 1927). Questo spiega anche perché, a lungo, gli studiosi non trovassero a Firenze molti documenti relativi a Collodi, alla sua infanzia, alla sua storia familiare: non si era cercato nell'archivio giusto. Ho scoperto questa cosa per caso, commentando un fatto di cronaca con mio padre, il quale disse ad un certo punto: «Quando Collodi era in provincia di Lucca…». Così, il giorno dopo sono andata all'Archivio di Stato di Lucca e ho trovato un faldone di documenti dettagliati su Collodi, la sua famiglia, lo zio Giuseppe Orzali, pittore di qualità, che era amico dello scultore Bartolini e di tante altre personalità della cultura della Toscana.

A Pinocchio è stata applicata tutta una serie di interpretazioni, le più disparate, da quelle psicanalitiche a quelle religiose. Ricordo un libro dell'allora cardinale di Bologna – Giacomo Biffi – che propose, ad esempio, un commento teologico di Pinocchio [4]. Che ne pensa di questo tipo di letture?

Geppetto e Pinocchio, illustrazione di Carlo Chiostri
Geppetto e Pinocchio, illustrazione di Carlo Chiostri

Le opere collodiane hanno bisogno di molta filologia, di essere lette nella prospettiva della geografia e della storia in cui sono nate. Se noi non facciamo questa operazione rigorosa, c'è il rischio di utilizzare un testo in modo talora arbitrario. La lettura del cardinale Biffi, rigorosa nel suo metodo specifico, può trovare una giustificazione nella ricchezza di sedimentazioni culturali reperibili nel Pinocchio e nella poetica della tradizione comico-umoristica che viveva molto di strizzate d'occhio complici al lettore, di satira, di parodia (anche quella della Bibbia) e simili.  È vero poi che Lorenzini aveva studiato per alcuni anni in seminario a Colle Valdelsa (uno dei migliori in assoluto); ma tutte le testimonianze e la stessa poetica comico-umoristica ci inducono a considerare la fragilità di una unica interpretazione a chiave. La parodia, il comico, l'ironia, aprono alla molteplicità, non alla univocità! Ma si tratta di un problema che potremmo dire generale: Collodi e il suo Pinocchio vengono spesso analizzati come se la storia, i suoi dati, la filologia, lo stile fossero una loro appendice “di colore”. Penso ad esempio alle interpretazioni psicanalitiche senza che vi possa essere un dialogo effettivo con l'autore. Ma è nel dialogo e nell'interlocuzione che risiedono molte chiavi della psicanalisi… Applicarla tout court a un testo letterario, che è stato realizzato attraverso innumerevoli mediazioni formali, storiche, di larga gittata, e per giunta scritto più di un secolo fa, mi sembra un po' azzardato. Nella celebre corrispondenza di Freud con Breton, è proprio questo che lo psicanalista rimprovera ai surrealisti: l'arte – e anche la letteratura – non è equiparabile a una seduta analitica, quindi c'è bisogno di estrema cautela per parlarne. Ciò premesso, da tanti metodi di lettura possono emergere delle cose interessanti: ad esempio, Emilio Garroni ha notato un aspetto che la filologia risolve in un altro modo: ovvero che Pinocchio è “uno e bino” per usare un noto titolo garroniano. Si pensi al finale del libro: essendo Collodi il maestro della tradizione umoristica, egli segue ovviamente un'altra estetica rispetto a quella romantica e decadente. La sua estetica è quella di pensare, come scrittore, che ci si debba porre in attrito con il mondo e, da autore comico-umoristico, anche in attrito con il proprio testo: Rossini docet. Quindi, chi è davvero il bambino Pinocchio del finale del libro collodiano? Quello che è soddisfatto di sentir tintinnare i denari in tasca, che si pavoneggia guardandosi nello specchio ed è lieto di essere ben vestito, che vede il babbo divenuto un vecchietto decoroso, che ha una bella una casa, cioè ha raggiunto lo status borghese e che esclama: «Com'ero buffo quando ero un burattino! E come ora son contento di essere diventato un ragazzino per bene!…»? Certo un ragazzino che nega la validità della sua esperienza di marionetta tesa alla ricerca della propria strada nel mondo. Quel Pinocchio in carne ed ossa è espressione di una classe borghese che sta tradendo il Risorgimento. Del resto, noi abbiamo un'idea dell'Ottocento edulcorata, mentre il Risorgimento italiano offre delle risorse non solo di idealità, di grandi valori, ma anche dei fermenti e delle proposte – ad esempio – per l'emancipazione femminile. Basti ricordare Anna Maria Mozzoni, che chiedeva il voto per le donne già nel 1877 e, prima ancora, a cosa scriveva John Stuart Mill, molto letto, in merito alla condizione della donna. Collodi recepì tutti questi stimoli, perché di certe richieste era lui stesso portatore da tempo: nella commedia Antonietta Buontalenti ad esempio, scritta intorno ai primi anni Settanta dell'Ottocento. Collodi era convinto che la donna dovesse essere indipendente dall'uomo e avere un ruolo paritario nella vita, nel matrimonio. In Pinocchio la Fatina ha un ruolo quasi maschile, perché Collodi riteneva che anche la donna può distribuire premi e castighi ed educare alla vita morale. E che l'uomo può per parte sua educare agli affetti: Geppetto è un babbo che sbuccia le pere, che veste il burattino-bambino, che ne ha una cura amorosa. La Fatina invece è quasi più simile al padre di Enrico nel Cuore di Edmondo De Amicis, che dispensa lodi e punizioni. Con tale alternanza di ruoli l'istituzione del matrimonio avrebbe potuto riprendere linfa, mentre in quel momento a Collodi appariva un patto di ordine economico che subordinava la donna e le impediva di dare un contributo alla vita civile. Collodi combatté a suo modo la battaglia per il rinnovamento delle istituzioni e della vita sociale. In tal senso, Pinocchio è un modo per dire ai bambini e ai grandi (perché siamo nel caso della cosiddetta dual audience): – Attenti, anche la madre può avere un ruolo eticamente forte (quello che la pedagogia del tempo riconosceva al padre).
Quindi, ritengo che la filologia, la storia, il testo debbano essere rigorosamente seguiti e analizzati. Ci sono state delle interpretazioni deludenti anche di recente, perché filologicamente poco fondate e poco informate. Si danno come scoperte delle acquisizioni che la filologia collodiana ha stabilito da cinquanta o settanta anni: vedi il caso dei libri di Giorgio Agamben; ma anche quelli di Tiziano Scarpa e di Aurelio Picca appaiono poco centrati. Rimpiango la grandezza di Gianni Rodari, che non solo aveva capito l'importanza di analizzare in toto l'uomo Collodi per costruire un commento degno del nome del Pinocchio, ma che ha scritto anche un saggio di notevole bellezza [5] pur non avendo ancora sentore del fatto che Pinocchio è il capolavoro di un'altra estetica: l'estetica comico-umoristica. E quindi non può esser letto in chiave realistica o, meglio, naturalistica. Aveva ragione Fernando Tempesti ad asserire che nella seconda parte del romanzo prevale un «camicione pedagogico» [6], però non è neanche del tutto produttivo ridurre il Pinocchio a questo. In realtà, Collodi prende in giro il bambino Pinocchio, lo irride. L'uso del punto esclamativo seguito dai tre puntini di sospensione, che troviamo pure nel finale [!…], in Collodi è sempre ironico (lo usa in migliaia di articoli). Quindi, in chiusura del libro, Collodi sta in realtà interloquendo con il suo personaggio, ma per canzonarlo, come a dirgli: – Ah, bravo a sentirti per bene! Complimenti, sei diventato proprio un citrullo. Vale a dire uno di quei borghesi ben pasciuti e paghi di sé di cui era piena l'Italia. A mio avviso è un messaggio altamente educativo e dirompente. In questo, Collodi è rimasto fino alla fine critico nei confronti della società; e ai bambini e agli adulti, in Pinocchio, dà un messaggio forte: non appagarsi mai di quello che si raggiunge e non negare l'esperienza fatta, non rinnegare mai la libertà e non adattarsi mai agli pseudo-valori della società.

È stato teorizzato che il finale di Pinocchio sia una conclusione che in qualche modo Collodi ha accettato o deciso per motivi editoriali e che però non corrisponde in realtà ad una scelta pienamente condivisa.

Carlo Collodi
Carlo Collodi, da L'illustrazione italiana, 2 novembre 1980

Collodi doveva far finire bene la storia, raccontata in un libro destinato ai bambini e ad essere incluso nella biblioteca di amena lettura della casa editrice Paggi. Libro per bambini e famiglie.
Che Collodi abbia scritto di malavoglia è un'altra leggenda: era lo scrittore meglio pagato del Giornale per i bambini, come si legge nel carteggio con Guido Biagi… È lo scrittore, in scienza e coscienza, a riprendere quindi la stesura della storia di Pinocchio, che finiva nel 1881 al capitolo XV, cioè quando il burattino è impiccato alla Quercia grande. Il libro I misteri di Firenze non ha avuto il seguito del secondo volume promesso da Lorenzini, ad esempio, ma vi si denunciavano le storture della classe dirigente del Granducato… Un tema per lui importante, che aveva affrontato anche nelle sue opere teatrali. Ma non tale da garantirgli il successo nel conformismo generale. Ripeto, Collodi era uno degli scrittori meglio pagati d'Italia: sia come autore di manuali, sia come giornalista. Anche per il Pinocchio è pagato bene, per la pubblicazione sia sul Giornale per i bambini sia in libro. Era la penna più ricercata, la penna satirica del Fanfulla che sarà rimpianta anche decenni più tardi da Vilfredo Pareto. Pinocchio è molto coerente: il Pinocchio che muore impiccato è trasgressione pura; il Pinocchio ragazzino è messo alla berlina da Collodi perché guarda a quella trasgressione con sufficienza. Quella trasgressione era anche slancio e avventura di libertà, ingenuità e sogni: l'esperienza da burattino che vuole conoscere le cose senza intermediazioni; dunque quella spocchia del ragazzino felice di essere “per bene” («come ero buffo quando ero burattino») è da irridere. In realtà, il messaggio è che la maturità consiste nel prendere atto dell'esperienza e nel non tradire la propria infanzia, quindi non tradire quel bisogno di ideali antico per sostituirlo con l'appagamento borghese, che impedisce ogni autentico progresso.
Collodi è uno che le cose non le ha mai mandate a dire. Basti pensare alla polemica sulla pittura. I Macchiaioli si affermano in grazia di un articolo di Collodi che denuncia il sistema dell'arte del suo tempo, i rapporti fra l'Accademia di Belle Arti – quindi il potere artistico – e il potere politico. Ma così fa saltare quel vincolo che imbrigliava l'arte del suo tempo: dà un contributo alla pittura nuova, moderna, quella en plein air, con nuovi committenti, nuove mostre… Collodi contribuisce a cambiare il sistema dell'arte del suo tempo. Fra i pittori Collodi ha elogiato Stefano Ussi, è vero, ma ha valorizzato anche Silvestro Lega e Adriano Cecioni. Alcune critiche (firmate con pseudonimi) a questi artisti gli sono state attribuite erroneamente, non si è pensato che certi pseudonimi fossero di uso condiviso.
Era del resto uomo e intellettuale alieno a qualsiasi resa nichilista. Per questo fu ostile al naturalismo di Zola. La sua scelta fu quella della satira e delle caricature letterarie: terribili nel loro suscitare il riso. Mentre in Francia si definisce la scrittura più ironicamente “leggera” delle Physiologies, Collodi crea la caricatura letteraria più incisiva nei suoi affondi satirici: basti pensare alle figure del Codino e di Scampolino, l'impiegato misero che salta i pasti, che vive nelle angustie. La cultura italiana – attraverso Collodi – ha dato molto alla cultura europea e a quella mondiale: si pensi alla produzione del brasiliano Monteiro Lobato.

Si tratta della visione tracciata in questo convegno recente dedicato alle nuove prospettive di ricerca su Collodi… [7]
Convegno Fondazione Collodi 2024Gli studi dell'Edizione Nazionale delle Opere di Carlo Lorenzini [8] – la cui Commissione ho l'onore di presiedere – hanno portato alla scoperta di tanti documenti, di immagini pittoriche e fotografiche, di lettere… Sappiamo che furono distrutte tante lettere sue, dopo la morte, perché Collodi era uomo dalle molte relazioni amorose e il fratello, insieme con Giuseppe Rigutini, giudicò che non fosse il caso di compromettere queste signore. Conosciamo però ora l'identità di alcune donne da lui amate. C'è anche un episodio particolare che lo riguarda: Collodi aveva avuto una figlia da una relazione clandestina: il suo cruccio sarà di non poterla riconoscere, visto che la donna con cui l'aveva concepita era sposata e all'ultimo momento non aveva lasciato il marito per lui, probabilmente non volendo rinunciare al suo agiato status.
Ancora, l'Edizione Nazionale propone delle edizioni critiche, quindi finalmente possiamo leggere i testi di Collodi senza gli errori che sono stati talvolta riprodotti nelle numerose ristampe delle sue opere. Durante il convegno sono stati poi sottolineati i suoi rapporti e le pubblicazioni in Francia, l'attenzione che la cultura francese ha avuto nei suoi confronti e quella che lui ha avuto nei confronti della cultura di Francia. Collodi legge Baudelaire, legge e apprezza il giovane Baudelaire caricaturale; ma è anche convinto che si possa intrecciare una sinestesia tra musica e letteratura a un livello che riguardi le strutture dei significati, più profondo di quello che concerne unicamente il significante. E infatti il Pinocchio è il trionfo della sinestesia fra varie arti, e i commenti lo stanno evidenziando sempre di più.
L'Edizione Nazionale sta portando ulteriormente in superficie la ricchezza dei riferimenti intertestuali ma anche le tracce di opere e problematiche di un Ottocento che noi conosciamo meno, a cui non si presta talora attenzione. Proprio la molteplice cultura collodiana contribuisce a metterlo in evidenza, a mettere in risalto la coerenza di tutto un lavoro letterario da rimeditare. È Collodi stesso che seleziona i suoi articoli suddividendoli ad hoc in articoli di costume e di satira politica e, una volta costituito un gruppo di tematiche esemplari, li fa confluire in libri come Macchiette od Occhi e nasi. Addirittura, ci sono degli articoli di costume, dalla forte impronta paradossale – degli anni ‘50 dell'Ottocento –, che finiscono nel Pinocchio trent'anni dopo. È un autore che ha un'idea molto chiara, intelligente, dei rapporti fra letteratura e giornalismo: fra la letteratura del genere giornalistico e il giornalismo che diventa letteratura.
Per tornare al convegno recente, ci sono state delle relazioni stimolanti. Elvio Guagnini ha parlato di come Collodi non solo veda l'Italia e la rappresenti, ma anche come lui interpreti il viaggio e come soprattutto guardi all'Italia e la racconti. È emersa l'attenzione di Collodi a tutto quello che riguarda la cultura popolare, la lingua, i dialetti, i cibi… Un'attenzione che potremmo definire anche giornalistica oltre che di grande valore “antropologico” e folclorico.
Cosimo Ceccuti, invece, come storico del Risorgimento, ha notato il significato e l'originalità della posizione di Collodi anche nel valorizzare alcune figure care agli uomini del Risorgimento. Ha proposto anche una lettura della relazione di Collodi col pensiero di Giuseppe Mazzini che trascende l'immagine datane da Ferdinando Martini (esponente di una classe sociale elevata capace di servire i vari governi, restando sempre a galla). Ceccuti ha messo in evidenza sia l'assimilazione del pensiero mazziniano sia la stima collodiana per Francesco Guerrazzi, delle cui opere Lorenzini fu ammiratore.
Franco Cambi invece, nel suo intervento, ha affermato che l'Edizione Nazionale costringe a mutare lo sguardo verso Collodi e a leggerlo come uno dei grandi educatori dell'Italia dell'Ottocento. Ne ha valorizzato il ruolo intellettuale di pedagogista sottolineando il notevole significato dei suoi manuali destinati alle scuole.
E infine, Roberto Chiesi, con la sua affascinante lettura di Pinocchio nel cinema e l'approfondimento del grande valore di Luigi Comencini. Con la sua versione del capolavoro collodiano Comencini sembra avere compreso in maniera assai originale la dimensione insieme realistica e stilizzata del paesaggio ed anche la dimensione comico grottesca, magica del romanzo…

Collodi si sentirebbe sminuito essere ricordato solo per Pinocchio?

La quercia di Dante
La quercia di Dante

Io penso di sì, perché Collodi è stato anche molto altro, come abbiamo ricordato in precedenza. La sua vera, grande, ambizione era il teatro. Desiderava diventare uno degli artefici del “risorgimento” del teatro italiano. Non gli riuscì. Fu giornalista satirico famoso e temuto, fu autore di manuali scolastici di successo, ma talora anche osteggiati dal Ministero. Certo, Pinocchio è il suo capolavoro, scritto divertendosi, perché è anche un viaggio nella propria infanzia, come dicevo: ci sono dei luoghi che si individuano molto bene, nonostante la stilizzazione letteraria. La casa dei nonni di Collodi, dove lo scrittore ha trascorso tanto tempo, esiste ancora ed è a pochi passi dal fiume Pescia. C'è ancora la strada lunga e diritta – la via vecchia Pesciatina – che va dritta fino al mare. E, poi, bastano 20 minuti a piedi, passando per campi e sentieri ancora facilmente percorribili, per trovare la grande quercia cosiddetta di Dante, uno dei grandi monumenti arborei d'Italia, dove in tanti vanno tuttora per le scampagnate.

In compenso, in qualche modo, Collodi è stato infine una buona occasione di progresso per il piccolo paese dal quale Lorenzini ha preso il cognome…
I miei studi su di lui li devo alla frequentazione di Felice Del Beccaro e Rolando Anzilotti, due degli intellettuali e degli studiosi – Anzilotti fu anche un uomo politico – che più hanno pensato alla cultura come modo per risanare le condizioni, un tempo di estrema povertà, del paese Collodi, da cui l'autore derivò il suo celebre pseudonimo nel 1856. Un gran numero, la maggioranza, di abitanti di Collodi è fuori d'Italia, principalmente negli Stati Uniti. Tra Del Beccaro e Anzilotti correvano pochi anni di differenza: il primo fu professore dell'altro al Real Collegio di Lucca. Ne nacque un'amicizia che durò tutta la vita, una grande simbiosi anche di idee; e l'apparente follia – che poi è risultata vincente – di costruire un monumento, il Parco di Pinocchio, per ridare così energia economica al paesino. Gliel'hanno data con successo questa energia, se si pensa al numero dei visitatori del parco ogni anno.

A proposito degli studi: ho visto – proprio dai suoi studi e dalla sua biografia – che lei si è occupata a lungo di Giuseppe Pontiggia, un incontro importante.

Giuseppe Pontiggia
Giuseppe Pontiggia – licenza Wikimedia commons

Ho conosciuto Giuseppe Pontiggia da giovane, durante il mio periodo di docenza in Svezia, a Uppsala. La lettura delle sue opere e l'incontro che ne è seguito mi hanno convinta di essere di fronte ad un grande scrittore, anche se allora era considerato di nicchia e non era tanto sconosciuto.
Ho creduto molto nel suo lavoro, diventato un punto di riferimento per me. Vite di uomini non illustri, Nati due volte, sono dei capolavori della letteratura. L'ultimo è stato letto da persone le più disparate, sia semplici sia colte, per il modo pieno di verità con cui si raccontano gli esseri umani e la disabilità. Con Pontiggia abbiamo lavorato a stretto contatto di gomito per anni: mi leggeva i testi o mi chiedeva di leggerli da sola e poi era interessato a sapere cosa ne pensassi: soprattutto degli Album mensili sul Domenicale abbiamo parlato per ore e ore ogni volta. È stato un grande privilegio e ho imparato tanto; c'è stato uno scambio continuo. Sto curando l'edizione dei suoi giudizi di lettura, quelli destinati a Mondadori e Adelphi nei 30 anni che lavorò come loro consulente. Ne emerge la statura di grande critico e grande scrittore. Il libro si intitola proprio Pareri di lettura e sarà pubblicato da Palingenia, una nuova casa editrice. Uscirà all'inizio di giugno. Pontiggia dà al parere di lettura una dignità letteraria non comune. Sarà poi interessante riflettere su come ognuno dei grandi lettori editoriali del Novecento abbia formalizzato il parere di lettura. Le opinioni di Pontiggia sono espresse sempre liberamente, senza timori reverenziali: in modo costruttivo. Ritengo Giuseppe Pontiggia uno dei vertici della letteratura del Novecento.

Ha cominciato ad Uppsala, in Svezia, ed ora la sua ultima collocazione geografica e accademica è in Portogallo: un'Europa di molta prossimità eppure assai diversificata, a quanto posso capire.
Ho studiato e insegnato anche fuori dell'Europa. Mi è sempre piaciuto viaggiare e conoscere realtà nuove, apprendere lingue nuove. Il Portogallo è uno stato piccolo, ma i suoi governanti sembrano aver capito almeno in parte che, se si uccide l'alta cultura, se si disprezza l'alta cultura, si rischia un grave impoverimento del Paese. Il Portogallo fin dal passato coloniale ha saputo adottare soluzioni diverse, ad esempio ha tollerato le integrazioni razziali. Tant'è che uno scrittore come Giuseppe Baretti [9] che visita il paese nel ‘700, e che era stato pronto a denunciare la miseria delle plebi inglesi, la piaga della prostituzione minorile ecc., è molto colpito e quasi scandalizzato dal fatto che esista una grande mescolanza razziale. E dichiara che in Portogallo si vedono dei «mostri»; mentre il contralto fiorentino Vittoria Tesi – detta la Moretta, figlia di uno schiavo moro – era già diventata una delle più famose cantanti dell'epoca, contesa in Italia, in Spagna, a Dresda.

Che impressioni trae – da persona abituata a frequentazioni e mobilità a vasto raggio – dal confronto col nostro Paese?
Essendo un'intellettuale europea di lingua e cultura italiana, provo soprattutto dispiacere per l'abbandono dell'alta cultura nel nostro Paese, anche in luoghi dove si dovrebbe invece preservarla. Ho come l'impressione di un Paese impoverito nelle idee oltre che impoverito economicamente. Questo non vale per tutti i Paesi europei, sebbene un impoverimento generale sia evidente.
Anche il livello delle pubblicazioni mi sembra in generale sceso, ma questo non accade solo in Italia; però quello che accade da noi è che la buona letteratura viene come “punita” quasi sistematicamente da una certa disattenzione, dal clientelismo, in alcuni casi, che punta i riflettori altrove. Anche il pensiero nutrito di solidi studi sembra quasi essere “punito” in questo stesso modo. Per esempio, ho letto da poco un libro di Riccardo Campa, L'epoca dell'incertezza: che è utile per capire meglio la cultura europea in cui viviamo, le sue aporie che rischiano di condurci in vicoli ciechi. Vedo anche tanti giovani in Italia e all'estero che sembrano abbandonati a loro stessi e con gli occhi rivolti solo al cellulare. Quello che noto è che l'Europa in generale sembra non avere più idee forti del proprio destino, anche perché la sua classe politica non è sempre adeguata.

Paolo Sassi

[1] Cfr. https://www.fondazionecollodi.it/it/edizione-nazionale-delle-opere-di-carlo-lorenzini.
[2] Cfr. https://www.youtube.com/watch?v=MRXy1BFUOrc.
[3] La riproduzione di quella prima edizione e delle sue eloquenti illustrazioni è ora disponibile gratuitamente con accesso da diverse piattaforme; cfr. ad esempio https://books.google.com/books.
[4] Giacomo Biffi, Contro Mastro Ciliegia: commento teologico a ‘Le avventure di Pinocchio', Milano, Jaka Book, 1977; nuova edizione 2020.
[5] Gianni Rodari, «Pinocchio nella letteratura per l'infanzia», in Studi collodiani. Atti del 1° convegno internazionale. Pescia, 5-7 ottobre 1974, pp. 37-57.
[6] Fernando Tempesti, «Chi era il Collodi. Com'è fatto Pinocchio», in Carlo Collodi, Pinocchio, Milano, Feltrinelli, 1980, p. 77.
[7] Le relazioni sono tutte disponibili su https://www.youtube.com/watch?v=MRXy1BFUOrc.
[8] https://www.fondazionecollodi.it/it/edizione-nazionale-delle-opere-di-carlo-lorenzini.
[9] https://www.edizioniets.com/scheda.asp?n=9788846762900&from=&fk_s=.

Il brano che stai ascoltando si intitola Storia di Pinocchio, di Fiorenzo Carpi De Resmini / Saturnino (Nino) Manfredi / Massimo Patrizi, 1972. La versione qui proposta è quella di Francesco De Gregori e Checco Zalone, dall'album Pastiche, 2024.

 

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