Simone Inzaghi, l’allenatore dell’Inter che ha vinto lo scudetto - la Repubblica

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Simone Inzaghi, l’uomo tranquillo che ha trionfato sottovoce

Gli fu data la Lazio dopo il bidone di Bielsa. L’Inter dopo l’abbandono di Conte. Al terzo anno ha portato lo scudetto a Milano

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L’uomo delle (due) stelle splende in un firmamento a tempo. Simone Inzaghi visto dagli interisti è una luce intermittente: ha il buio alle spalle e davanti. Verrà l’autunno e avrà i suoi occhi, all’ingiù dopo un pareggio interno con il Monza o una sconfitta in Europa, i mille meme con “Spiaze!”, il fantasma di Conte (più o meno vicino) e quell’incapacità del suo stesso pubblico di abbandonarsi alla sua guida, benché i giocatori l’abbiano fatto e con buoni risultati. Per aver retto e per continuare a farlo deve avere un carattere solido, un bravo analista e Marotta.

Inzaghi studente di Ancelotti

Dicono di lui che non abbia un piano B, forse perché fin qui lo è stato. Gli fu data la Lazio dopo il bidone di Bielsa. L’Inter dopo l’abbandono di Conte. E’ l’alternativa a “pazzi”, “martelli”, uomini forti e titolati, che fanno il vuoto e lo lasciano. Inzaghi è uno studente di Ancelotti, piuttosto, un aziendalista (perfino se il proprietario è Lotito), un gestore tranquillo, che va d’accordo con i giocatori, usa quelli che gli mettono a disposizione e non recrimina per quelli che gli tolgono. Non ha mai declassato una rosa, come spesso Mourinho e Conte. Ha sempre cercato di trovarci qualcosa di buono, di migliorare quel che c’è, magari cucinandolo diversamente. Non è stato accolto con la fanfara, ha suonato il suo spartito all’apparenza invariabile.

Lo scudetto al terzo anno

Il primo anno, quello dello scudetto perso (anche) per un errore del portiere di riserva e consegnato al Milan lo hanno salvato la Coppa Italia, la Supercoppa (“due tituli”) e Marotta. Il secondo, quello del SuperNapoli, lo ha fatto la finale di Champions conquistata nella semifinale derby. Più un’altra Coppa Italia e un’altra Supercoppa. Al terzo anno gli hanno chiesto lo scudetto e l’ha portato. Per i miracoli si sta attrezzando. Probabilmente non gli riusciranno, forse gli sono già riusciti. Ha raggiunto 500 punti in serie A a una velocità inferiore soltanto a Sarri e Ancelotti. Ha ri-creato Calhanoglu, trovandogli una posizione dopo anni in cui vagava per il campo. Ha fatto rendere al meglio Lautaro (che Spalletti utilizzava poco e che ai Mondiali era finito in panchina). Ha vinto scommesse come Acerbi e Darmian, accolti con lazzi e scetticismo. Ha puntato (e vinto) su Dimarco.

Le sostituzioni indovinate

La sua specialità, anche in questa annata vincente, è azzeccare le sostituzioni. Non tanto in corso di partita, quanto (ed è più importante) nella preparazione della stagione. Se ne va Brozovic? Adatti Calhanoglu. Dà buca Lukaku? Avanti Thuram. Qualcuno ricorda ancora la petizione dei tifosi eccellenti per trattenere l’insostituibile portiere Onana? Non c’è la sua firma. Lui ha serenamente messo tra i pali Sommer: meno scena e più sicurezza.

Inzaghi e Guardiola
Inzaghi e Guardiola 

Eppure alla curva, anche a quella mediatica, la scena (meglio: la sceneggiata) piace. A volte quanto l’esito. A volte perfino di più, sennò come potrebbero esistere vedove di Mourinho a Roma? Il tifoso medio è un po’ come quella donna della canzone di Mina “Grande, grande, grande”. Le sue amiche son tranquille, non devono discutere ogni cosa, ricevono regali e rose rosse, ma lei ama l’uomo più egoista e prepotente che abbia conosciuto mai, per quell’attimo di esaltazione che sa farle vivere.

La missione non è conclusa

Che Inzaghi poi sia remissivo può essere una superficiale impressione. Ha la sua visione dei tempi e dei modi in cui inserire un giocatore. Forse qualcuno dei suoi danti causa si sarà chiesto perché un costoso acquisto come Frattesi voli in campo soltanto last minute. Forse qualcuno gliel’avrà anche fatto notare, ma nulla è cambiato. Magari giocherà l’anno prossimo, con tante partite (ma anche con Zielinski) in più. Perché l’anno prossimo Inzaghi sarà ancora all’Inter, non considererà compiuta la sua missione con la seconda stella, non reclamerà l’ingresso in un ristorante più costoso, non se ne andrà indicando capri espiatori nello spogliatoio.

Eppure ancor si dubita di lui. Anche chi lo elogia lascia trasparire qualche riserva. Dovrà alzare una coppa più prestigiosa, vincere lontano da casa, ma non è detto che gli basti per conquistare “i cuori e le menti”. Quelli come lui non “colpiscono e terrorizzano”. Allenano una squadra di calcio e più di qualche volta vincono.

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