Lights Out - Terrore nel buio Recensione

Lights Out: la recensione dell'horror nato da un corto di 2 minuti e mezzo

26 luglio 2016
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Nell'opera prima dello svedese David F. Sandberg, prodotta da James Wan e nata da un film evento su Youtube, ottimi attori e buone idee nonostante il basso budget.

Lights Out: la recensione dell'horror nato da un corto di 2 minuti e mezzo

C'è qualcosa di sinistro nel buio della casa dove vive Sophie, una donna con disturbi mentali. Qualcosa che spinge la figlia Rebecca, che si è allontanata anni prima dalla famiglia per sfuggire ai suoi incubi, a tornarci per difendere la madre e il fratellino da questa malevole presenza che non vuole dividerli con nessuno.

David F. Sandberg è un giovane regista svedese che assieme alla moglie attrice e produttrice Lotta Losten - protagonista del corto Lights Out e presente anche nella versione lunga in un cammeo iniziale - ha sfornato diversi cortometraggi, anche d'animazione, fino a che nel 2013 questo suo piccolo horror fatto letteralmente in casa, ha vinto nella categoria al festival di Bilbao e gli ha valso il premio di miglior regista in una competizione web intitolata “Who's There?”. Pubblicato su youtube, il film è diventato subito un vero e proprio fenomeno e a oggi conta oltre 12 milioni e mezzo di visualizzazioni.

Come Badadook, anche Lights Out è dunque un'opera prima che nasce da un cortometraggio brevissimo e folgorante (lo potete vedere in calce a questa recensione). È sempre un rischio cercare di allungare il brodo o inventarsi una storia intorno a una brillante intuizione già egregiamente sfruttata in tempi brevi, ma a volte – specie se si è adeguatamente supportati – si riesce a produrre un film a basso budget di un certo interesse. Agli esempi in questione aggiungeremmo anche Clown di Jon Watts, nato dal trailer di un film inesistente e allo stesso modo riuscito. Per la sceneggiatura del lungometraggio Wan ha affiancato a Sandberg Eric Hesserer, che all'attivo crediti non sempre entusiasmanti come il remake di Nightmare e Final Destination 5, ma è comunque un esperto del genere. Il risultato di questa collaborazione è più che confortante, specialmente in vista di Annabelle 2, che Sandberg sta al momento dirigendo.

Anche se il mostro del corto alla fine faceva più paura (nel film lo si vede “bene” un paio di volte ma è molto più efficace quando è in silhouette), l'idea di una creatura che vive negli angoli bui e che è in grado di controllare la luce fa appello a terrori ancestrali ancora presenti nel nostro DNA. Non dubitiamo che i teenager più sensibili e nervosi dopo aver visto Lights Out controlleranno sotto il letto o nello sgabuzzino e accenderanno d'improvviso la lampada per scoprire che la strana ombra che sembrava guardarli malevola dalla semioscurità era quella di una giacca appesa all'attaccapanni. Fare riferimento a paure irrazionali e condivisibili è la forza di un film realizzato in modo totalmente artigianale, come si faceva un tempo, e capace di non far rimpiangere mostri e creature in CGI.

Diana (o Dana, come ama firmarsi, incidendo il suo nome nei luoghi di cui rivendica il possesso) è una creatura parassita, che reclama un amore che non le appartiene, rendendo succube il suo ospite. Sono interessanti e non banali le dinamiche che si creano tra i protagonisti, nonché i temi impliciti nella storia, come l'influenza di una malattia o di una dipendenza sul nucleo famigliare. E la "risoluzione" dell'infestazione è svolta in modo coraggioso. Ovviamente parliamo di un piccolo film dove non mancano i buchi di sceneggiatura, ma nei suoi 80 minuti di durata, molto ben gestiti, Sandberg non ci dà il tempo di soffermarci sulle incongruenze e ci predispone ad aspettare la prossima apparizione di Diana, che si muove nel tempo del buio, rendendo frenetica la ricerca della luce che può tenerla a bada, e che, nera e sinuosa come un ragno, sembra pronta a ghermirci con i suoi artigli.

All'ottima prova di Sandberg nel dosare la tensione, si affianca il buon lavoro di Mark Spicer, che fotografa in modo chiaro e suggestivo sia la luce che il buio. Non mancano i necessari momenti di leggerezza e di ironia, resi al meglio da interpreti che sono tutti di ottimo livello: è un piacere ritrovare un'attrice non sufficientemente utilizzata come Maria Bello, che è molto intensa e credibile nel ruolo della madre, soprattutto nella parte finale, mentre si conferma come una delle interpreti più interessanti della sua generazione l'australiana Teresa Palmer - che ci piace fin dai tempi di Warm Bodies - dando vita a un bel personaggio femminile che sembra ispirarsi alle eroine di Wes Craven. Quanto all'undicenne Gabriel Bateman, non possiamo che prospettare una lunga e felice carriera a un ragazzino che ha già l'esperienza di un veterano ed è capace di passare con grande disinvoltura e credibilità dal ruolo di bambino terrorizzato in questo film, a piccolo indemoniato in Outcast e a psicopatico in erba di American Gothic, dove è l'elemento migliore.

Aspettiamo Sandberg alla sua prossima prova col sequel di Annabelle per capire se è nata davvero una nuova stella dell'horror e nel frattempo teniamo gli occhi bene aperti ai cortometraggi che appaiono sul web: visti i precedenti, il prossimo regista diretto a Hollywood potrebbe venire proprio da lì.



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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