Il cognome che si porta dietro era già noto prima di lei, visto che sua zia Sônia è praticamente l’attrice brasiliana più famosa al mondo negli ultimi trent’anni: la sensuale, misteriosa Donna ragno icona della femminilità che turbava i sogni del gay cinefilo William Hurt e del suo compagno di cella Raoul Julia, o l’orgogliosa Julia della proto-telenovela Dancing Days. Rapido check delle somiglianze. Sguardo caliente: c’è. Modi felini: pure. Cioè ha ereditato il necessario, la nipotina Alice Braga (compresa la voglia di scavalcare in fretta i confini e trasformarsi in una stella internazionale). Ma da qui in poi è il caso di concentrarsi sulle differenze.

Gli occhi? Sono molto meno malinconici e parecchio vivaci, il che la rende intrigante con brio. Il corpo: più minuto, ma perfetto. Ed è terribilmente precoce, visto che a soli 25 anni sta scalando i gradini di Hollywood con una velocità sorprendente: l’inverno scorso al fianco di Will Smith come unica presenza femminile che invadeva il suo apocalittico mondo solitario in Io sono leggenda, nei prossimi mesi la vedremo costantemente vicino a star come Jude Law, Sean Penn, Harrison Ford. Eppure l’espressione semplice e incantata di ogni cosa la circondi («per me è tutto nuovo, una continua scoperta») ce l’ha ancora. Quasi senza un filo di trucco, per ora non si scoccia neppure alla domanda di rito sulla discendenza famosa.

Meglio farla subito: «Mia zia Sônia? La ammiro moltissimo, ma se mi ha influenzato lo ha fatto a distanza», ribatte Alice. «In tutti questi anni il nostro rapporto si è svolto soprattutto per telefono o via email, perché era sempre lontana. Nell’83, quando sono nata, lei ha cominciato a lavorare negli Stati Uniti e si è trasferita a vivere lì; è tornata in Brasile soltanto di recente, ma adesso sono io quella che parte e non c’è quasi mai».

La responsabilità della sua passione per il cinema Alice la fa in realtà ricadere quasi tutta su Ana Maria, sorella minore di Sônia e anche lei attrice, montatrice, oggi passata alla regia in teatro: «È assolutamente tutta colpa di mia madre! Quando andavo a scuola spesso bigiavo e mi presentavo sui set dove lavorava, per spiarla: sono cresciuta in questo ambiente, l’ho respirato fin da bambina, me ne sono innamorata e ho sempre saputo che l’unica cosa che avrei voluto fare nella vita sarebbe stato il cinema». Quando si dice la determinazione. Persino la scelta di usare il cognome Braga la fa dipendere da lei piuttosto che dalla notorietà di Sônia: «È nato quasi per caso, io probabilmente avrei preferito usare il cognome di mio padre, Moraes (giornalista affermato, autore di programmi e docente universitario, ndr). Ma da bambina è capitato che accompagnassi mia madre mentre girava delle pubblicità: non stavo mai zitta, ero spigliata e subito mi hanno coinvolta nel lavoro. Ho girato il mio primo spot a 8 anni, per uno yogurt. Da allora hanno cominciato a dire “chiamiamo la figlia di Annina Braga, Lili”. Così sono diventata Lili Braga. Crescendo ho ripreso a usare Alice, perché il diminutivo Lili mi sembrava un po’ infantile, più banale». La prima chance al cinema è arrivata quando aveva 17 anni e stava ancora finendo il liceo: Fernando Meirelles l’ha scelta per la parte di Anjelica, l’oggetto d’amore di uno dei due protagonisti di Città di Dio, un film che ha avuto premi e candidature ai Golden Globe e all’Oscar ed è stato visto in tutto il mondo.

Catapultata all’improvviso nel ciclone di un successo internazionale, dopo più di un anno di vagabondaggi a festival e presentazioni nei vari paesi, Alice ha deciso di prendersi del tempo: «Avevo l’impressione che tutto fosse successo troppo in fretta, sentivo il bisogno di tornare a studiare, di accumulare conoscenza per poter sviluppare i personaggi». Così per due anni ha frequentato l’università della sua città, San Paolo, poi ha passato un po’ di mesi a New York, per seguire corsi di recitazione: «Mi ha spinta mia madre: sostiene che è il mezzo migliore per imparare a entrare in contatto con le vite degli altri e poi ritrarle. Non basta la pura osservazione, ci vuole la capacità di cogliere l’anima delle cose».

Quel periodo le è servito per farsi «moltissimi amici, giovani attori e registi con cui abbiamo messo in piedi progetti per dei corti». E soprattutto per migliorare il suo inglese, che oggi è quasi perfetto ed è una carta vincente nella sua corsa a Hollywood: «In realtà l’ho studiato fin da piccolissima. Devo ringraziare mio padre di avermi quasi forzata a continuare a fare lezione regolarmente, anche quando da adolescente ero troppo pigra e mi inventavo ogni tipo di scusa per smettere».

La famiglia spunta di continuo nei discorsi di Alice: «Siamo sempre stati legatissimi: non ero una teenager pazza o ribelle. Mi piaceva ballare, ma alle notti nei locali o nelle discoteche preferivo le feste in casa. Anche oggi i miei e mia sorella sono protettivi, mi coccolano, mi danno forza. Sono la base di tutto. Spiegano chi sono e da dove vengo».

A convincerla a tornare sul set nel 2005 è stato Sergio Machado, ex assistente di Walter Salles, che le ha offerto il ruolo da protagonista in Lower City, suo debutto nella regia(nelle sale italiane proprio in questi giorni, ed è un peccato che passi nel deserto della programmazione estiva). Un rovente triangolo amoroso, un Jules e Jim ambientato nel quartiere più povero di Bahia: lei è una giovane che per sopravvivere si prostituisce, ma è anche capace di amare appassionatamente due ragazzi, fra loro amici fraterni. Un ruolo complesso e scabroso, con cui ha stregato il critico più autorevole del New York Times, A. O. Scott, che l’ha definita «una delle presenze sensuali più forti del cinema mondiale». Scott forse non sa che quella sensualità non è stata tanto semplice da ottenere: Alice ci è arrivata dopo dure lezioni di danza «e un esercizio di Kundalini. Serve per aprire i tuoi chakra». Fatto sta che nonostante si dichiari «supertimida» non si è tirata indietro davanti a strip-tease o scene di nudo integrale: «Quando recito non ho paura di mostrare le tette, la pelle, le gambe. Difficile è stato trovare un modo per sedurre due uomini diversi contemporaneamente, essere sensuale ma non volgare». All’edizione brasiliana di Playboy, che voleva apparisse in un suo servizio, ha detto invece un no secco. «Anche se lo stereotipo vuole che tutte le brasiliane siano sexy, io non mi sento così. Agli abitini super aderenti preferisco comunque jeans e maglietta. Non mi crede?».

Da tre anni sta lavorando ininterrottamente, in patria e all’estero. Prima Solo Dios Sabe al fianco di Diego Luna, premiato al Sundance, poi A Journey to The End of The Night, con Brendan Fraser, infine il film con Will Smith: «Sento che oggi devo approfittare di ogni porta che si apre e mi muovo “a orecchio”. Vorrei fare tutto, e ogni esperienza è allettante. Quindi niente fidanzati. Oggi come oggi io non sono un buon affare, sentimentalmente parlando. Corro da una parte all’altra con la valigia, a chi può venir voglia di invitarmi o avere una storia seria con me?». Non è dato sapere se crede a ciò che dice.

In America anche David Mamet l’ha scelta per il suo ultimo film Redbelt (in Italia a settembre) ambientato nel mondo dei combattimenti jiu-jitsu. Chiwetel Ejiofor è un maestro purista e fedele agli alti principi morali che stanno alla base di quest’arte marziale, mentre Alice è la moglie che invece per soldi e carriera è disposta anche a venderlo. «Mamet per me era un mito, normale che mi sentissi terrorizzata quando mi ha chiamato: eppure, nonostante la sua fama di burbero, è stato dolcissimo, mi ha guidata prendendomi per mano e facendomi scoprire un modo nuovo di lavorare sul testo. La sua è quasi una partitura, nessuno osa improvvisare o cambiare una lettera di quel che ha deciso».

Subito dopo ha girato Crossing Over, che vedremo alla Mostra del Cinema di Venezia. Ambientato al confine tra Messico e Usa, sul tema dell’immigrazione clandestina, ha un cast stellare con, tra gli altri, Sean Penn e Harrison Ford: «Un mito della mia adolescenza! Continuavo a ripetermi incredula: sono sul set con Indiana Jones! Sono sul set con Indiana!». Poi, prima di buttarsi nelle braccia di Jude Law, suo partner nel cupo e futuribile Repossession Mambo del regista inglese Miguel Sapochnik (lo vedremo nel 2009), è tornata a casa, correndo al richiamo del suo scopritore, Fernando Meirelles. Con lui ha girato Blindness (Cecità) tratto dal romanzo di Saramago, al fianco di Julianne Moore, Mark Ruffalo e Gael Garcia Bernal, presentato a Cannes e presto nei cinema. Appassionata lettrice (García Márquez, Vargas Llosa e Philip Roth i suoi preferiti), conosceva già il libro ed era perfetta per fare la misteriosa ragazza dagli occhiali scuri, la call-girl che diventa cieca mentre lavora in una lussuosa stanza d’albergo. «Ha il carisma giusto - dice il regista, che la adora - qualcosa con cui nasci oppure no. Qualcosa che nessuno ti può insegnare».