L’arte di fare domande più intelligenti - Hbr Italia

COMPETENZE INTERPERSONALI

L’arte di fare domande più intelligenti

Cinque tecniche che possono mettervi in grado di guidare un grande processo decisionale strategico

Arnaud Chevallier, Frédéric Dalsace, Jean-Louis Barsoux

Maggio 2024

L’arte di fare domande più intelligenti

In quanto cofondatore e CEO della società statunitense di chip Nvidia, Jensen Huang opera in un settore ad alta velocità che richiede un pensiero agile e innovativo.

 

Riflettendo sull’evoluzione del suo stile di leadership, ha dichiarato al New York Times: “Probabilmente do poche risposte e faccio molte più domande. C’è la possibilità che affronti una giornata senza fare altro che porre domande”. E ha continuato: “Attraverso questo continuo sondaggio aiuto [il mio gruppo dirigente] a esplorare idee che non aveva capito che dovevano essere esplorate”.

L’urgenza e l’imprevedibilità che le aziende tecnologiche devono affrontare da tempo si sono estese a settori più maturi, elevando le capacità d’indagine a competenza essenziale. I progressi dell’intelligenza artificiale hanno provocato un cambiamento sismico, un passaggio da un mondo in cui le risposte erano l’elemento cruciale a uno in cui lo sono le domande. Il grande fattore di differenziazione non è più l’accesso alle informazioni, ma la capacità di creare e fornire suggerimenti intelligenti. “Come leader, non sei tu ad avere le risposte, ma i tuoi lavoratori, le tue persone”, ha dichiarato Jane Fraser, CEO di Citi, alla rivista Fortune. “Questo ha cambiato completamente il modo di guidare un’organizzazione. Bisogna liberare la creatività. L’innovazione non avviene perché c’è un genio ai vertici dell’azienda che ha le risposte per tutto”.

In effetti, i leader hanno compreso l’importanza dell’ascolto, della curiosità, dell’apprendimento e dell’umiltà, qualità fondamentali per fare bene le domande. Il “question-storming”, ovvero il brainstorming di domande piuttosto che di risposte, è oggi una tecnica di creatività. Ma a differenza di avvocati, medici e psicologi, i leader aziendali non sono formalmente addestrati su quali tipi di domande porre. Devono imparare man mano. (Si veda, tra gli altri, “Il sorprendente potere delle domande”, HBR, maggio 2018).

Non si tratta di fare molte domande nella speranza di trovare quelle giuste. Corinne Dauger, ex vicepresidente dello sviluppo creativo di Hermès, ci ha detto: “In una riunione di un’ora, si possono fare solo alcune domande.... Quindi in che modo si vuole usare il tempo a disposizione? Quando fai una domanda, non ne fai un’altra”. Se una linea di domande domina, inevitabilmente ne esclude altre. I leader devono anche fare attenzione a non crogiolarsi nell’autocompiacimento, a non provocare rendimenti decrescenti, a evitare argomenti delicati e a non intestardirsi.

Nelle nostre ricerche e consulenze degli ultimi dieci anni, abbiamo visto che alcuni tipi di domande hanno acquisito una certa risonanza nel mondo del business. In un progetto di tre anni abbiamo chiesto ai dirigenti di formulare domande sulle decisioni che hanno affrontato e sui tipi di indagine che hanno perseguito. In questo articolo condividiamo ciò che abbiamo imparato. Offriamo un quadro pratico per i tipi di domande da porre nel processo decisionale strategico e uno strumento per aiutarvi a valutare il vostro stile interrogativo.

 

Le grandi domande mai poste

Prima di esporre il nostro quadro di riferimento, vogliamo sottolineare soprattutto un punto: le domande che mettono nei guai leader e team sono spesso quelle che di norma non si fanno, che non nascono spontaneamente, ma che richiedono una sollecitazione e uno sforzo consapevole. Possono essere in contrasto con le abitudini, le preoccupazioni e i modelli di interazione individuali o collettivi vostri e del vostro gruppo.

Il compianto studioso e pensatore aziendale Sumantra Ghoshal ha detto che leadership significa far accadere ciò che altrimenti non accadrebbe. Nel regno delle indagini, il compito del leader è quello di far emergere informazioni, intuizioni e alternative, portando alla luce questioni critiche che il team ha trascurato. Non è necessario che siate voi stessi a proporre le domande mancanti, ma dovete attirare l’attenzione sugli ambiti d’indagine trascurati, in modo che gli altri possano sollevarle.

Tutto questo è più difficile di quanto possa sembrare, per due motivi. In primo luogo, potreste essere ostacolati dalla vostra esperienza. I vostri successi professionali e la vostra profonda esperienza possono aver influenzato il vostro approccio alla risoluzione dei problemi. Può essere difficile sfuggire all’attrazione gravitazionale di questo condizionamento, a meno che non si esamini con attenzione la propria abitudine a porre domande. In secondo luogo, il flusso e la diversificazione delle domande possono essere difficili da elaborare in tempo reale, soprattutto in caso di scambi accesi. Spesso ci si rende conto solo a posteriori che alcune preoccupazioni o opzioni non sono mai state sollevate.

La nostra ricerca rivela che le domande strategiche possono essere raggruppate in cinque settori: investigativo, speculativo, produttivo, interpretativo e soggettivo. Ognuno di essi svela un aspetto diverso del processo decisionale. Insieme, possono aiutarvi ad affrontare questioni chiave che è troppo facile ignorare.

 

INVESTIGATIVO

Cosa si sa?

Quando si trovano di fronte a un problema o a un’opportunità, i decisori più efficaci iniziano chiarendo a sé stessi il loro scopo: si chiedono cosa vogliono ottenere e cosa devono imparare per farlo. Il processo può essere alimentato dall’uso di domande successive “Perché?”, come nella sequenza dei “cinque perché” ideata dai manager della Toyota. Anche le domande successive del tipo “Come?” possono aiutare a superare le soluzioni generiche e a sviluppare alternative più sofisticate. Le domande investigative scavano sempre più in profondità per generare informazioni non ovvie. L’errore più comune, infatti, è quello di non scendere abbastanza a fondo.

Sembra un processo semplice, ma le lacune sono sorprendentemente comuni. Nel 2014 un errore di indagine ha portato un team dell’operatore ferroviario francese SNCF a trascurare un dato essenziale nell’acquisto di 1.860 treni regionali per 15 miliardi di euro. Nessuno ha pensato di chiedersi se le misure dei marciapiedi fossero universali. Non lo erano; i treni si sono rivelati troppo larghi per 1.300 stazioni più vecchie, un errore che è costato 50 milioni di euro. L’operatore ferroviario spagnolo Renfe ha scoperto una svista simile nel 2021: i 31 treni pendolari all’avanguardia che aveva ordinato erano troppo grandi per passare attraverso alcune gallerie nelle aree montuose che avrebbero dovuto servire. Il problema è stato individuato prima che i treni fossero costruiti, ma la consegna è stata notevolmente ritardata.

 

SPECULATIVO

E se?

Mentre le domande investigative aiutano a identificare e analizzare un problema in profondità, le domande speculative aiutano a considerarlo in modo più ampio. Per riformulare il problema o esplorare soluzioni più creative, i leader devono chiedere cose come “E se...?” e “Che altro...?”. L’azienda di design globale IDEO ha reso popolare questo approccio. Utilizza sistematicamente la domanda “Come potremmo...?” – ideata da Min Basadur quando era un giovane manager di P&G – per superare le ipotesi limitanti e avviare la soluzione creativa dei problemi.

Si pensi a come l’innovativo catamarano di Emirates Team New Zealand ha vinto nel 2017 il più antico trofeo sportivo internazionale, l’America’s Cup. I membri dell’equipaggio hanno pedalato su biciclette statiche per generare energia per i sistemi idraulici dell’imbarcazione, invece di girare le maniglie, come era consuetudine. Molti osservatori hanno ipotizzato che la domanda chiave fosse: “E se usassimo la forza delle gambe invece di quella delle braccia?”. Tuttavia, non si trattava di un suggerimento nuovo. Altri concorrenti avevano preso in considerazione e scartato l’idea, non volendo ostacolare la capacità dei membri dell’equipaggio di muoversi sulla barca. Una squadra ci aveva anche provato.

Il team neozelandese si è spinto oltre, chiedendosi: “Cos’altro potrebbe consentire un sistema a pedali?”. Il team ha capito che poteva liberare le mani dei membri dell’equipaggio e che i sistemi idraulici dell’imbarcazione potevano essere azionati con i comandi del manubrio. In questo modo, i ruoli dell’equipaggio erano distribuiti in modo più uniforme e le manovre multiple potevano essere eseguite rapidamente. La barca ha potuto navigare in modo più preciso e aggressivo, portando a una vittoria schiacciante su Oracle Team USA.

 

PRODUTTIVO

E adesso?

Le domande produttive aiutano a valutare la disponibilità di talenti, capacità, tempo e altre risorse. Influenzano la velocità del processo decisionale, l’introduzione di iniziative e il ritmo di crescita.

Negli anni ‘90 l’amministratore delegato di AlliedSignal, Larry Bossidy, ha notoriamente integrato nella cultura aziendale l’attenzione all’esecuzione. Insisteva sulla necessità di mettere rigorosamente in discussione e ripensare le varie modalità di esecuzione della strategia: “Come possiamo farlo?”, “Come sincronizzare le nostre azioni?”, “Come misureremo i progressi?” e così via. Queste domande possono aiutarvi a identificare le metriche e le tappe fondamentali, insieme ai possibili colli di bottiglia, per allineare le persone e i progetti e mantenere i piani in linea. Esse metteranno in luce i rischi, comprese le tensioni sulla capacità dell’organizzazione.

I vertici di Lego hanno trascurato le questioni produttive nel far fronte all’ascesa dei giocattoli digitali nei primi anni 2000. Il fabbricante di giocattoli ha cercato di diversificare la propria capacità di risposta ai problemi introducendo svariati prodotti in rapida successione. Le iniziative in sé non erano necessariamente sbagliate, ma ognuna significava un’estensione in un’area adiacente, come il software (LEGO Movie Maker), i concetti di apprendimento (LEGO Education) o l’abbigliamento (LEGO Wear). Nel complesso hanno superato di gran lunga la larghezza di banda dell’azienda e Lego ha subito perdite record nel 2003. L’anno successivo l’amministratore delegato entrante, Jørgen Vig Knudstorp, condivise la sua diagnosi del problema con il consiglio di amministrazione: “Invece di fare un’adiacenza ogni tre-cinque anni, abbiamo fatto tre-cinque adiacenze ogni anno”. In seguito, disse al professore del MIT David Robertson: “Improvvisamente ci siamo trovati a dover gestire una quantità di business che non capivamo. Non avevamo le capacità giuste e non riuscivamo a tenere il ritmo”.

 

 

INTERPRETATIVO

Quindi, cosa...?

Le domande interpretative – domande di sensibilizzazione – permettono di fare delle sintesi. Spingono a ridefinire continuamente il problema centrale, ad andare sotto la superficie e a chiedersi: “Che cosa riguarda veramente questo problema?”. Seguito naturale delle domande investigative, speculative e produttive, le domande interpretative mettono in luce le implicazioni di un’osservazione o di un’idea. Dopo una domanda investigativa, si potrebbe chiedere: “Allora, cosa succede se questa tendenza continua?”. Dopo una domanda speculativa, “Allora, quali opportunità apre questa idea?”. Dopo una domanda produttiva, “Allora, cosa implica questo per l’aumento di scala o per il sequenziamento?”.

Le domande interpretative si presentano anche in altre forme: “Cosa abbiamo imparato da questo?” “Come è utile?” “Sono queste le domande giuste da porre?”. In un’intervista al Tim Ferriss Show, Daniel Ek ha riflettuto su quello che considera il suo ruolo principale come CEO di Spotify: “Si torna quasi sempre allo scopo: perché stiamo facendo le cose? Perché è importante? Come si inserisce nella missione?”.

Un processo decisionale dovrebbe sempre tornare alle domande interpretative. Esse forniscono lo slancio per passare da una modalità d’indagine all’altra e convertono le informazioni in intuizioni attuabili. Anche le analisi più solide sono inefficaci se non si riesce a dar loro un senso. Dieci anni fa abbiamo lavorato con i vertici di una casa automobilistica europea di alto livello. Quando parlammo della recente berlina completamente elettrica di Tesla, alcuni ingegneri si misero a ridere. “C’è uno spazio di sette millimetri tra la porta e il telaio”, disse uno di loro. “Queste persone non sanno come si costruisce un’auto”.

Si trattava di un grave errore di sensibilità. Concentrandosi su un’imperfezione tecnica, la casa automobilistica non ha individuato il fascino rivoluzionario dell’auto e non ha colto le urgenti questioni competitive che avrebbe dovuto sollevare.

 

SOGGETTIVO

Cosa non è stato detto?

L’ultima categoria di domande è diversa da tutte le altre. Mentre quelle si occupano della sostanza di una sfida, le ultime riguardano le riserve personali, le frustrazioni, le tensioni e le agende nascoste che possono portare fuori strada il processo decisionale. Dirk Hoke, CEO di Volocopter, una volta ci ha detto: “Quando falliamo, spesso è perché non abbiamo considerato la parte emotiva”. La nozione di persone come vantaggio competitivo ha acquisito importanza nell’industria aeronautica all’inizio degli anni Ottanta. Herb Kelleher, allora amministratore delegato della Southwest Airlines, si rese conto che l’esperienza del cliente poteva essere notevolmente migliorata mettendo i dipendenti al primo posto e dando loro la possibilità di trattare bene le persone. L’amministratore delegato di SAS, Jan Carlzon, ha trasformato la compagnia aerea scandinava “invertendo la piramide” per sostenere il personale a contatto con i clienti nel “momento della verità”. In entrambi i casi, il ruolo dei manager è diventato quello di allenare e sostenere, non di monitorare e controllare il personale di prima linea. Hanno imparato a chiedere ai loro clienti interni: “Come posso aiutare?”.

Se si trascura questa modalità d’interrogazione o non si insiste abbastanza su di essa, la soluzione proposta potrebbe essere vanificata da reazioni soggettive, anche se l’analisi, le intuizioni e i piani sono validi. British Airways è un esempio che impone cautela. Nel 1997 era il primo vettore al mondo per numero di passeggeri internazionali, ma i sondaggi mostravano che era vista come un’azienda rigida e soffocante. L’amministratore delegato Robert Ayling e il suo team decisero quindi di migliorare l’immagine globale della compagnia sostituendo i colori britannici sulle pinne di coda degli aerei con disegni etnici di artisti di tutto il mondo.

I disegni erano di grande impatto visivo, ma il top team ha sbagliato a valutare le reazioni emotive dei dipendenti e dei clienti. Il personale era contrariato dal fatto che si fosse intrapreso un rebrand da 60 milioni di sterline in mezzo a misure di risparmio dei costi. I viaggiatori d’affari britannici, i clienti principali della compagnia aerea, erano fortemente legati al marchio nazionale e seccati per la sua rimozione. E, come a sottolineare l’errore, l’amministratore delegato della Virgin Richard Branson ha annunciato che i suoi aerei avrebbero orgogliosamente “sventolato la bandiera”. I nuovi progetti di BA furono ritirati due anni dopo e l’errore di valutazione contribuì all’estromissione di Ayling.

I membri del team possono essere riluttanti a esplorare le questioni emotive, a meno che il leader non fornisca un incoraggiamento e uno spazio sicuro per la discussione. Possono non condividere le perplessità semplicemente perché nessun altro lo fa, una dinamica sociale nota come ignoranza pluralistica. I leader devono incoraggiare i punti di vista dissenzienti e incoraggiare i dubbiosi a condividere le loro preoccupazioni.

 

Bilanciare il mix di domande

Abbiamo creato uno strumento per aiutare le persone a valutare il proprio stile di domanda e lo abbiamo somministrato a 1.200 dirigenti globali. Sebbene i risultati combinati abbiano mostrato una distribuzione uniforme tra i cinque stili che abbiamo descritto, le singole risposte hanno rivelato forti squilibri. Una categoria o l’altra erano a malapena presenti nel radar di più di un terzo dei dirigenti. Inoltre, le interviste di follow-up hanno mostrato che molti leader erano eccessivamente legati ai tipi di domande che avevano portato loro successo. Si affidavano a quelle a scapito di altri tipi.

Valutate il vostro attuale stile di fare domande. Avere autoconsapevolezza è un primo passo essenziale per correggere o compensare le debolezze. Per conoscere le vostre preferenze e abitudini in fatto di domande, potete fare una versione ridotta della nostra autovalutazione (vedi il box “Qual è il vostro mix di domande?”). Dopo aver identificato i vostri punti di forza e di debolezza, tre tattiche possono migliorare il vostro mix. Potete modificare il vostro repertorio di domande, cambiare la vostra enfasi per riflettere l’evoluzione delle esigenze e circondarvi di persone che compensino i vostri punti deboli.

Adattate il vostro repertorio. Dopo aver stabilito quali sono i tipi di domande che vi sentite più e meno a vostro agio a porre, dovete creare un migliore equilibrio. Un modo per iniziare è ricordare le cinque categorie prima della successiva riunione decisionale e assicurarvi di considerarle tutte. Il CHRO di una grande azienda tecnologica con cui abbiamo lavorato ci ha fatto vedere il quadro di riferimento durante un importante programma aziendale. Potete anche provare le domande delle categorie deboli o mancanti in alcune situazioni poco rischiose. Questo vi aiuterà a capire come le domande che non siete abituati a porre possono aprire una discussione.

Steven Baert, ex responsabile delle persone e dell’organizzazione di Novartis, ha descritto il proprio processo nel podcast The Curious Advantage. “Prima mi concentravo sull’ascolto dei problemi”, ha detto al conduttore. “Hai un problema. Ho bisogno di alcuni dati da te per poter risolverlo. Ma ora mi esercito ad ascoltare per imparare”. C’è un altro passo da fare per adattare il vostro repertorio: potreste dover scartare alcuni tipi di domande che vi sono state utili in passato. Questo punto è stato colto in un profilo del Financial Times di Erick Brimen, CEO del gruppo di investimento NeWay Capital, che si descrive come un micromanager testardo e orientato agli obiettivi. La lezione che ho imparato, ha detto, è di lasciar perdere il “come arrivare” per concentrarmi sul “dove stiamo andando”“.

Cambiate l’enfasi. Il vostro mix di domande è un obiettivo in movimento, soprattutto se siete in un nuovo ruolo, azienda o settore. Quando si assumono responsabilità maggiori, ad esempio, si affrontano sfide sempre più complesse, non solo perché hanno più componenti, ma anche perché si è autorizzati a fare salti più grandi. Riflettendo sulla propria traiettoria, Patricia Corsi, Chief Marketing, Digital and Information Officer di Bayer Consumer Health, ci ha detto: “Man mano che la vostra carriera avanza, vi vengono offerti spostamenti più rischiosi, in lavori che non avete mai fatto, in domini che non conoscete e con sfide che non avete mai sperimentato... Le persone scommettono sulla vostra capacità di fare le domande che vi aiutano a imparare”.

Ogni volta che si cambia lavoro, si affronta una sfida di adattamento. Il mix di domande che in precedenza ha funzionato e vi ha aiutato a ottenere il nuovo ruolo potrebbe ora portarvi fuori strada. Abbiamo parlato con Larry Dominique quando si stava adattando alla sua nuova posizione di nuovo SVP e responsabile di Alfa Romeo e Fiat Nord America. “Facendo leva sulla mia esperienza di ingegnere, approfondirò i costi, l’efficienza nella gestione delle risorse e la soddisfazione dei clienti”, ci ha detto. Ma ha riconosciuto il pericolo di giocare solo con i suoi punti di forza consolidati: “Devo ricordare a me stesso che il mio vero valore come leader è quello di fornire il quadro generale e di andare oltre le domande che sono comode per me”.

Trovate altri in grado di compensare.  Come già detto, non è necessario che siate voi a formulare tutte le domande: dovrebbe essere un lavoro di squadra. Jose Munoz, presidente globale e COO di Hyundai Motor Company, a volte delega il ruolo di chi fa le domande. “La persona che pone la domanda dovrebbe essere quella meglio attrezzata”, ci ha detto. “In qualità di capo, potrei invitare qualcuno del mio team a portare avanti una linea di domande”. Dopo aver completato la sua autovalutazione, Robert Jasinski, amministratore delegato di Danone in Romania, ha dichiarato: “Presterò maggiore attenzione a ciò che apprezzo di meno (la categoria speculativa). E se qualcuno del mio team è un buon pensatore creativo, ascolterò meglio ciò che ha da dire”.

Come leader, avete la responsabilità di notare le prospettive mancanti e di dare alle persone la possibilità di contribuire. Gilles Morel, presidente di Whirlpool Europa, Medio Oriente e Africa, ci ha detto: “Devo dare spazio alle persone che non sono come me, per fare le domande che io non sono bravo a fare”. Ma far sì che tutti contribuiscano può non essere facile. Il cambiamento dello stile di leadership verso un approccio più curioso può sembrare minaccioso, e la stessa domanda può suscitare input cruciali o difese, a seconda di come viene formulata. Uno specialista delle risorse umane ritiene che un semplice cambiamento in “Come mai...?” ottenga risultati migliori. David Loew, CEO dell’azienda biofarmaceutica Ipsen, ci ha detto: “Se si iniziano a fare domande chiuse o pesanti, come “Perché hai fatto così?”, può sembrare un interrogatorio di polizia. Questo crea uno spazio insicuro e il disagio si diffonde al resto del team”.

Almeno altrettanto importanti rispetto alle parole usate sono l’atteggiamento percepito e l’intenzione di chi pone le domande. La domanda “È tutto a posto? Tutti sono d’accordo?”, ad esempio, può essere percepita come un invito genuino a condividere le riserve o come un tentativo di chiudere la discussione. “Quando pongo delle domande di ricerca, dico chiaramente che non c’è problema se non si ha una risposta o se non la si ha subito”, ci ha detto Charles Bouaziz, CEO del gruppo di tecnologia medica MTD. “Il tono spesso conta più della domanda. A volte le persone pensano di venire messe alla prova”. I problemi di interpretazione si acuiscono nelle riunioni virtuali, dove l’intenzione è più difficile da valutare; non si può essere sicuri di come sia arrivata la domanda. “Senza il linguaggio corporeo che si osserva nelle riunioni di persona, i leader devono impegnarsi ancora di più a porre le domande giuste e ad ascoltare le incomprensioni o i punti di innesco”, ha scritto Lisa Curtis, fondatrice e CEO di Kuli Kuli Foods, sulla rivista Inc.

Dovrete istruire il vostro team sui vari tipi di domande e sull’importanza di prestarvi attenzione. Alcuni dei dirigenti di maggior successo che conosciamo iniziano sempre le conversazioni con nuove persone creando uno spazio sicuro e dimostrando apertura e vulnerabilità. Operano in quella che Marilee Adams, autrice di Change Your Questions, Change Your Life e fondatrice dell’Inquiry Institute, chiama “modalità discente”, in contrapposizione alla “modalità giudicante”. La prima è espansiva e si concentra su ipotesi, possibilità, soluzioni e azioni significative. La seconda è reattiva e miope e si concentra sulla scoperta di chi abbia la colpa.

Ma anche quando l’intero team contribuisce, non c’è garanzia che tutti e cinque i tipi di domande vengano affrontati, soprattutto in situazioni di forte stress. I membri del team potrebbero avere un punto cieco comune. In questo caso, provate ad assegnare un tipo di domanda a ciascun membro, almeno finché il repertorio collettivo del gruppo non sarà ragionevolmente equilibrato.

Per Gilles Morel, l’obiettivo finale è chiaro. “Voglio creare una forte capacità interrogativa all’interno del team”, ha dichiarato. “Devo creare le condizioni affinché la mia curiosità sia amplificata da quella degli altri. Le loro domande devono stimolare le mie”. Le sue osservazioni fanno eco alla convinzione di Jensen Huang che la leadership consiste nel “far sì che tutti facciano e rispondano alle domande”.

 

INDIVIDUANDO i punti di forza e di debolezza del vostro stile di porre domande, e considerando i cinque tipi che abbiamo delineato, voi e il vostro team potrete prendere decisioni strategiche più intelligenti. Avrete maggiori probabilità di coprire tutte le aree critiche che devono essere esplorate e farete emergere informazioni, intuizioni e opzioni che altrimenti vi sarebbero sfuggite.

 

ARNAUD CHEVALLIER è professore di Strategia alla IMD Business School, dove FRÉDÉRIC DALSACE è professore di Marketing e strategia e JEAN-LOUIS BARSOUX è professore temporaneo di ricerca.

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Hbr Italia

Caratteri rimanenti: 400

2 / 3

Free articles left

Abbonati!