Misericordia, in streaming su MYmovies un racconto scabro, nudo, toccante - MYmovies.it
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Misericordia, in streaming su MYmovies un racconto scabro, nudo, toccante

Le famiglie non hanno bisogno di un legame di sangue per essere vere famiglie. L'intervista a Emma Dante. GUARDA ORA IL FILM I SCOPRI MYMOVIESONE
di Giovanni Bogani

martedì 7 maggio 2024 - Incontri

Presentato all’ultima Festa del cinema di Roma, Misericordia ci offre un racconto scabro, nudo, toccante. In un villaggio sul mare, in un contesto di degrado, quasi di disperazione, vivono alcune prostitute che accudiscono Arturo, un ragazzo mentalmente fragile, figlio innocente della violenza. Una figura nuda, disarmata, un corpo che appena può danza, danza, come un derviscio, fino allo sfinimento. In quello spazio aperto, bellissimo e scenografico, che diventa però una sorta di prigione. E dove solo le prostitute che abitano in quel luogo ferito, di lamiere e di acqua, possono salvare Arturo con le loro attenzioni, con le loro carezze.

Tratto dallo spettacolo che Emma Dante aveva portato in scena con lo stesso titolo, affidato a un gruppo di attori straordinari, scritto insieme ad Elena Stancanelli e Giorgio Vasta, Misericordia si è rivelato una delle sorprese cinematografiche dell’anno con la sua poesia nuda, cruda, lacerata.

 


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In foto una scena del film Misericordia.

Emma Dante, nella prima scena del film assistiamo ad una violenza. La violenza di un uomo contro una donna. È una scena molto forte, ma necessaria.
“Sì: altrimenti, la figura di Arturo sarebbe stata incompleta. Lui ha un deficit mentale: questo deficit, nella mia immaginazione, è dovuto proprio ai calci e alle botte che ha preso quando era nel ventre della madre. Arturo è il figlio innocente della violenza. Non possiamo dimenticarcelo, e non bastava dirlo: bisognava mostrare quei calci e quei pugni, far sentire allo spettatore quella violenza”.

Una violenza contro le donne che non è stata ancora estirpata dalla nostra società.
“Esattamente: è un problema ancora molto grande, in tutti gli ambienti. Qui la violenza prende delle forme brutali, animalesche. In altri contesti prende forme più sottili; ma c’è sempre, come e più di prima”.


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In foto una scena del film Misericordia.

Il film racconta tre donne che divengono, in qualche modo, le “madri” di Arturo. Tre madri per scelta.
“O meglio ancora, tre madri per necessità: si ritrovano ad aiutare questa creatura. Non si sono ‘scelte’ un ruolo, ma hanno visto la necessità, l’urgenza di prendersi cura di questo ragazzo. La famiglia dovrebbe essere questo, per me, al di là dei legami di sangue: capire se ci sono delle urgenze, e andare incontro a queste urgenze. Le famiglie non hanno bisogno di legami di sangue per essere vere famiglie”.

Il protagonista, Arturo, interpretato da Simone Zambelli, sembra un Cristo fragile, accudito, deposto e lavato dalle donne.
“In qualche modo potrebbe esserlo; ma è anche un Cristo che assorbe la femminilità della sua ‘famiglia’, un Cristo che si offre inerme allo sguardo dello spettatore. È quasi un Cristo donna, cresciuto in un ambiente femminile”.

Simone è prima di tutto un danzatore. È nato da lì l’idea di questo protagonista che danza su se stesso?
“È nato, prima ancora, dall’aver visto un ragazzo autistico che girava su se stesso, guardando il soffitto. Poi ho visto Simone danzare, ho trovato delle consonanze, ho pensato che le due forme, le due forme di movimento potevano unirsi in un solo personaggio”.


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In foto una scena del film Misericordia.

Mi ha colpito molto il suo lavoro, da regista, sul degrado. Il mondo che mostra è desolato e desolante.
“Anche se lo abbiamo ricreato: non ci sono, nel luogo in cui abbiamo girato, comunità così povere. Ma altrove ci sono realtà così, questa miseria esiste; e anche nel più profondo buio del degrado si può trovare la gioia. Ci sono comunità che vivono nella miseria più nera e che sanno vivere la gioia. La misericordia del titolo è il sentimento di condivisione profonda di questo dolore, senza giudicarlo”.

Lei è una delle più importanti registe teatrali d’Italia e d’Europa. Il suo lavoro nel cinema è più recente: è al terzo film. Si è trovata a cercare punti di riferimento, maestri, punti di approdo?
“Ci sono maestri che non posso dimenticare, come spettatrice: certo, Pasolini; ma anche De Sica, Petri, Antonioni, ma anche Marco Bellocchio, Comencini e certo Pasolini. Mentre li nomino, mi rendo conto che sono tutti maschi, e questo mi dispiace un po’. Forse Lina Wertmuller ha saputo entrare nella desolazione e nell’orrore familiari, però in contesti un po’ più borghesi di quelli che ritraggo io. Nel presente, amo molto il cinema di Alice Rohrwacher, potente e scabro, nudo”.
 


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Che cosa le hanno insegnato i maestri?
“A raccontare le storie dei disperati. Non mi interessa un altro tipo di racconto, al momento”.

C’è anche molta bellezza. Umana, e naturale, nel film.
“Sì, ci sono molti elementi naturali: acqua, pietra, terra. Invece della periferia urbana, ho scelto questo contesto naturalistico meraviglioso, la riserva di Monte Cofano, una falesia a picco sul mare, nel quale fa il suo ingresso la bruttezza. Mi piaceva raccontare un posto ‘sbagliato’ dentro un contesto bellissimo”.

L’acqua torna spessissimo nel film: sembra salvare e insieme seppellire.
“L’acqua è liquido amniotico, è purificazioni, ma anche tomba, luogo dove si muore. È il ventre al quale torna Anna, dopo essere stata stuprata. È l’acqua che spinge, che scorre sotto la casa; è il ventre dove torna Arturo, a cercare una madre che non c’è più”.

E la baracca nella quale i protagonisti vivono? Che cosa è, per lei?
“È un grande ventre lacerato, che rimane lì, non riesce a partorire niente. Solo Arturo riesce, in qualche modo, a salvarsi, ad uscirne”.


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