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L’attimo fuggente | Walt Whitman e quando Robin Williams diventò il nostro capitano

La sceneggiatura, Peter Weir, il libero pensiero: viaggio nella storia di un cult senza tempo

Robin Williams e la classe de L'attimo fuggente sul set. Era il 1989.

MILANO – «O Capitano! Mio Capitano!». Per il sommo poeta Walt Whitman fu l’inizio del poetico elogio funebre in quattro parti: «O Captain! My Captain!, When Lilacs Last in the Dooryard Bloom’d, Hush’d Be the Camps To-Day, This Dust was Once the Man». Queste le sua parole con cui salutare Abraham Lincoln all’indomani di quella nefasta sera dell’aprile 1865 al Ford’s Theatre. Più di un secolo dopo – e in maniera tragicamente inconsapevole – O Capitano! Mio Capitano! divenne invece la frase con cui condensare talento e affetto nell’unirsi in un saluto di commiato a Robin Williams. La scelta è presto detta. Dal 1989 in poi, infatti, il whitmaniano verso O Capitano! Mio Capitano!, diventerà proprietà intellettuale del cinema legandosi indissolubilmente a L’attimo fuggente di Peter Weir.

Peter Weir con Robin Williams sul set de L’attimo fuggente.

Ma andiamo con ordine: non è un caso che lo stesso Robin Williams ritenesse L’attimo fuggente il film preferito tra quelli a cui prese parte, conquistato immediatamente dalla sceneggiatura firmata da Tom Schulman. Ciò che più lo colpì, e che lo convinse a prendere parte al progetto, fu l’aura valoriale di un John Keating sostenitore del libero pensiero critico e dell’oraziano carpe diem ontologico. Agente scenico di cui Schulman delineò i lineamenti caratteriali sulla figura di Samuel F. Pickering – professore di letteratura inglese della Montgomery Bell Academy dai metodi bizzarri – e a cui Williams si approcciò basando la propria interpretazione su John C. Campbell, che altri non era se non il suo professore di storia alla Country Day School di Detroit.

La prima pagina dello script e una rielaborazione grafica di Deanfredrex.

La tradizione voleva che il primo giorno di lezione il professor Campbell prendesse il libro di testo per poi gettarlo nell’immondizia inaugurando il corso con una lezione a braccio. Al pari di Keating, in un formidabile gioco di mimesi tra finzione e realtà, dopo ventotto anni di onorato servizio, nell’estate del 1991 Campbell fu licenziato dalla Country Day School perché incapace di adeguarsi agli standard accademici. Nonostante sia impossibile immaginare un altro attore nei panni di Keating – tanto che, sul set, Weir si riferiva al protagonista come Robin Keating – non fu affatto la prima scelta. Schulman scrisse il ruolo pensando a Dustin Hoffman che era anche in lizza per la regia. Furono presi in considerazione Alec Baldwin, Mickey Rourke (!), Tom Hanks, Bill Murray, e perfino Liam Neeson che durante il provino recitò la scena del carpe diem agli studenti.

Sul set: Peter Weir con Robin Williams prima di una scena.

A detta di Williams il valore filmico – e di riflesso la ragione dell’immortalità artistica – de L’attimo fuggente va ricercato nella sua straripante umanità, o per dirla con le sue parole: «Questo è un film che ti tocca dentro. Parla della passione, della creatività, di tutte quelle cose alle quali la gente aspira ma che raramente riesce a realizzare». Attraverso le tragiche ma vitali vicende del collegio Welton e dei suoi giovani frequentatori, Weir dà vita a un solido e multistrato coming-of-age che tra atmosfere esoteriche alla maniera di Picnic ad Hanging Rock e dinamiche relazionali teen dal tipico sapore (John) hughesiano, porta in scena prime e ultime volte di una continua scoperta di sé tra giocosità e criticità.

John Keating e i suoi studenti in uno scatto dal set de L’attimo fuggente.

Rivisto oggi è evidente come L’attimo fuggente sia un mosaico di vita. Un didattico inno al saper cogliere il momento legittimato dai taumaturgici innesti letterari dei vari Whitman, Thoreau, Tennyson, e perfino di Orazio, che nello sprigionare la propria ratio filmica finisce con l’essere – oltre che uno sferzante e ironico atto di accusa delle rigide tradizioni degli istituti scolastici privati – un balsamo necessario contro le castranti autorità patriarcali. Componenti narrative, in tal senso, che se nel gesto ultimo di Neil (Robert Sean Leonard) sotto gli occhi del padre (Kurtwood Smith), e il susseguente urlo primordiale di Todd (Ethan Hawke), trovano sublimazione seppur, forse, esageratamente violenta, è il suggestivo climax a dare emozioni benevole a L’attimo fuggente portando in trionfo un Keating sconfitto, sì, forse dal sistema, ma sicuramente vittorioso nella vita e nella lezione impartita ai suoi ragazzi.

Robin Williams in posa sul set de L’attimo fuggente.

Per la crescita di Robin Williams come attore L’attimo fuggente ha rappresentato tanto, divenendo senza dubbio uno dei punti nevralgici del suo percorso artistico. Nel caso di Weir invece si può perfino azzardare che sia l’opera che vale da sola l’intera carriera anche se parliamo di un autore – è bene ricordarlo – che ha realizzato opere come Picnic a Hanging Rock, Un anno vissuto pericolosamente, Witness – Il testimone, Mosquito Coast, The Truman Show e il dimenticato Fearless. Eppure c’è qualcosa di magico e dickensiano tra le fila del racconto de L’attimo fuggente, o per usare le parole dello stesso Weir: «Mi ha completamente coinvolto, come un romanzo di Dickens. Pieno di personaggi e di situazioni. Ho sentito quanta potenzialità avesse. E mi ha ricordato un po’ un altro mio film, Gli anni spezzati, di nuovo la gioventù, con tutte quelle speranze ed energie».

Il punto di vista: la scena della cattedra.

Nonostante il ruolo della letteratura inglese (e non) sia così preminente nei delicati equilibri narrativi del racconto, non sembrava però essere questa la prima vita de L’attimo fuggente, almeno secondo le prime note sulla sceneggiatura della Touchstone Pictures. I responsabili di produzione suggerivano, infatti, di incentrare il racconto sul valore taumaturgico del ballo e della musica piuttosto che sulla poesia. Un po’ alla maniera del leggendario Saranno famosi di Alan Parker di cui L’attimo fuggente sarebbe stato, per certi versi, un suo clone liberamente ispirato. Il titolo suggerito di questa versione sarebbe stato Sultans of Swing, rimando alla canzone dei Dire Straits del 1978. Insomma, sarebbe davvero stato un altro film (e forse questo articolo del nostro Longform non esisterebbe nemmeno).

L’ultima pagina della sceneggiatura de L’attimo fuggente.

Fortunatamente sappiamo tutti molto bene com’è andata poi. Miglior film ai BAFTA 1989. Miglior film straniero ai César 1990. Oscar 1990 alla sceneggiatura originale per Tom Schulman, e – almeno a detta di molti critici e cinefili – l’impareggiabile aura di vincitore morale del miglior film dove, in realtà, a spuntarla fu quell’adorabile gioiello di A spasso con Daisy, nonostante le quattro nomination ricevute da L’attimo fuggente compresa quella al buon Robin che venne però sconfitto da Daniel Day-Lewis per Il mio piede sinistro. Fortuna ha voluto per Weir, Williams, Schulman, tutti i giovani attori emergenti che vi presero parte, e per i John Keating di tutto il mondo, che nessuno abbia poi preso quelle note di produzione della Touchstone minimamente sul serio. E oggi, trentacinque anni dopo, L’attimo fuggente è moderno come non mai.

  • LONGFORM | The Truman Show, Peter Weir e le profezie di un classico
  • REVISIONI | Un anno vissuto pericolosamente, le memorie di un cult
  • VIDEO | Qui per il trailer del film 

 

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