ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùBilancio dopo due anni di guerra

Anche se dovesse vincere la guerra, Putin ha già perso l’Ucraina

Sotto il profilo politico gli esiti dell’«operazione militare speciale» sono tutt’altro che positivi

di Costantino De Blasi*

GettyImages

3' di lettura

Dal punto di vista geografico-militare, se uno degli obiettivi di Putin era l’annessione delle oblast ribelli di Donec’k e Luhans’k, si può dire che quell’obiettivo è stato raggiunto sebbene a carissimo prezzo in termini di uomini e mezzi. La difesa strenua e coraggiosa del popolo ucraino ha tuttavia impedito che a quei territori se ne aggiungessero altri e ha reso plasticamente evidente, a oltre due anni dall’inizio dell’invasione su vasta scala, quanto l’ipotesi di una capitolazione dell’intero territorio fosse velleitaria.

Sotto il profilo politico, però, gli esiti dell’”operazione militare speciale” portano a tutt’altra analisi. A partire dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, la Russia aveva faticosamente cercato di costruire relazioni stabili con il mondo occidentale. In un clima di ricerca della distensione dopo mezzo secolo di guerra fredda, l’Occidente aveva sostenuto Mosca durante il default del 1998 con un pacchetto di aiuti, stanziato da World Bank e IMF, per 22,6 miliardi di dollari. La rapida crescita dei prezzi del petrolio avvenuta nel periodo 1999-2000 consentì un’uscita morbida dalla crisi finanziaria ma ebbe conseguenze di lungo periodo per il sistema politico. Putin, l’uomo nuovo e misconosciuto, forte di una crescente domanda di materie prime a buon mercato, potè così godere di una colpevole miopia occidentale mentre chiudeva accordi commerciali e contemporaneamente “liquidava” la questione cecena, invadeva la Georgia, annetteva la Crimea.

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Il 24 febbraio 2022 si quel tacito accordo si è però spezzato, l’Unione Europea si è svegliata dal torpore: la violazione del diritto internazionale, il mancato rispetto degli accordi di Budapest, l’ingiustificata aggressione ad uno Stato che otto anni prima aveva scelto di guardare alle democrazie e non a un ricostituendo impero fatto di sfere d’influenza e stati fantoccio, non potevano restare senza risposta.

Dal giorno dell’invasione, l’Unione Europea ha deciso 12 pacchetti di sanzioni secondo una logica incrementale “goccia a goccia”. L’efficacia di questa strategia andrà valutata nel lungo periodo, in particolare quando il conflitto si sarà esaurito. I numeri tuttavia già dicono qualcosa.

Le sanzioni hanno ridotto le importazioni di beni russi per 91 miliardi e l’esportazione di beni europei per 44 miliardi (fonte: Commissione europea sulla base di ENTSOG e di Refinitiv).

Nel 2020 l’import della UE a 27 di Gas naturale dalla Russia aveva raggiunto i 155 milioni di metri cubi (fonte: Eurostat). Oggi, le triangolazioni con Paesi dell’ex URSS, messe in piedi per aggirare il dispositivo sanzionatorio, riescono a coprire circa un terzo di quei volumi e sebbene abbiano consentito di attenuare l’impatto economico per il Cremlino, sul lungo periodo i volumi e i prezzi del gas russo che prende altre vie non compensano la perdita di un mercato come quello europeo.

Val la pena ricordare che una delle ragioni del default del 1998 fu il costo dello sforzo bellico in Cecenia. Ma mentre quell’avventura e le sue conseguenze economiche furono riassorbite da un quadro geopolitico favorevole, al termine della campagna di Ucraina la Russia resterà isolata. Certo a sostenerla potrà esserci la Cina ma un suo sostegno economico è da valutare in base a due fattori: conviene al Cremlino dipendere interamente da Pechino e diventarne di fatto Stato vassallo? E quanto interesse ha la Cina, nel medio periodo, ad inasprire ulteriormente la contrapposizione con l’Unione Europea e gli Stati Uniti?  

Oggi la Russia è circondata da Paesi che vogliono prenderne le distanze. I legami storici e familiari con l’Ucraina sono recisi forse per sempre, la Georgia e la Moldova hanno ottenuto lo status di Paesi candidati all’ingresso nell’Unione europea, Finlandia e Svezia sono entrate nella NATO, i Paesi baltici destinano agli aiuti all’Ucraina dal 2 al 5% del loro Prodotto Interno Lordo (Fonte: Kiel Institute). In altre parole l’isolamento politico di Putin è un fatto; con quali conseguenze vedremo. Per queste ragioni l’avventura intrapresa contro Kyiv è già oggi un disastro.

Qualunque sarà la consistenza territoriale dell’Ucraina alla fine del conflitto, la strada verso l’integrazione con le democrazie europee è tracciata. Il 28 febbraio 2022 l’Ucraina ha fatto formale domanda di adesione alla UE. Nel giugno successivo la Commissione ha dato parere favorevole e pochi giorni dopo, il 23 giugno, il Consiglio ha concesso lo status di Paese candidato.

Per effetto dell’accordo raggiunto il 12 dicembre 2023 con il quale il Consiglio si esprime sull’ingresso in UE di Ucraina Georgia e Moldova, l’Ucraina viene fatta rientrare nel QFP del bilancio europeo 2024-2027 per 50 miliardi, di cui 33 sotto forma di prestiti e 17 sotto forma di grants le cui risorse, si legge,  sono “derivanti direttamente dai beni bloccati della Banca centrale di Russia”. Per Putin l’Ucraina è perduta, anche se dovesse vincere la guerra che ha voluto.

* Analista economico e fondatore dell’associazione Liberi Oltre le illusioni

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