Ungaretti poeta e soldato a Gorizia, il Carso anima del mondo con Goldin • Il Goriziano
Ungaretti poeta e soldato a Gorizia, il Carso anima del mondo con Goldin

Ungaretti poeta e soldato a Gorizia, il Carso anima del mondo con Goldin

il debutto

Ungaretti poeta e soldato a Gorizia, il Carso anima del mondo con Goldin

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 11 Apr 2024
Copertina per Ungaretti poeta e soldato a Gorizia, il Carso anima del mondo con Goldin

Andata in scena ieri sera la prima rappresentazione dello spettacolo ideato da Marco Goldin, sullo sfondo le immagini sullo schermo 6 metri per 3.

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Da qualche parte, lassù sul Carso, resta un «brandello di muro». Del cuore non resta materia disseccata, ma vivida linfa che tuttora pulsa nei versi di un poeta visionario. È stato rappresentato ieri sera – presso un Teatro Verdi di Gorizia sold out – lo spettacolo di Marco Goldin “Ungaretti poeta e soldato-Il Carso e l’anima del mondo”. Gratuiti i posti messi a disposizione della cittadinanza, per un’opera il cui prologo e la chiusura sono state affidate alla limpida voce di Antonella Ruggiero. «È stato per me un onore, essere qui in questa serata – ha ringraziato la cantante – Una magnifica storia di poesia, bellezza e guerra, che ci riconduce alle guerre di oggi».

Leggendo immaginarie lettere del figlio al fronte, l’artista ha riproposto al termine “Quando tornerai” dedicandola a quanti sono impegnati in guerra. «Tutto nasce con “Gli ultimi giorni di Van Gogh”», spiega l’assessore alla cultura Fabrizio Oreti. Che portando i saluti del sindaco Ziberna di ritorno da Bruxelles ha sottolineato la «responsabilità di unire il territorio» in vista della Capitale della cultura. Uno spettacolo che anticipa e saldamente si lega con la mostra pittorica prevista al museo di Santa Chiara dal 26 ottobre prossimo. Presente in sala anche l’assessore Luca Fasan di Monfalcone, dove verrà ospitata la seconda parte dell'esposizione.

Patrizia Artico – assessore al Go!2025 – ha voluto rimarcare come nei versi del poeta natio di Alessandria d’Egitto tenda sempre a trionfare «un anelito di vita sopra la morte». «Dobbiamo essere orgogliosi di questo confine – ha sottolineato – perché qui ha vinto la pace. Le centinaia di genti sul monte Sabotino non sono morte invano. Qui è prevalso il dialogo, e di questo dobbiamo essere orgogliosi». Un trionfo della vita che offra «giustizia alle centinaia di migliaia di morti». Dal canto suo il consigliere regionale Diego Bernardis ha ricordato come la regione abbia deciso di «sposare e sponsorizzare il progetto», definendo Ungaretti «l’anima di questo territorio e incarnazione di quanto ha sofferto. Chi di noi non conosce i versi “Si sta come/ d’autunno/sugli alberi/le foglie”?».

Ed eccole, le foglie tremolanti sullo schermo. Quelle portate dal vento lontano del passato. La rappresentazione ha inizio con la voce narrante di Ungaretti – registrata dallo stesso poeta a commento del “Porto sepolto” – Il quale di sé ricorda «l’aver partecipato più che alla mia vita, alla vita degli altri». Una voce passionale, aspra e bruciante, che rammenta come il florilegio sia «nato in trincea» senza la volontà di farsi libro di guerra, ma fiore sbocciato da quel «sentimento di solidarietà verso gli altri uomini».

Rime di uno spettacolo scritte dallo stesso Goldin e messe in musica da un superbo Remo Anzovino al pianoforte. Versi che gradatamente toccano le corde più intime, travolgendo il pubblico fino a trascinarlo nell’immane tragedia delle battaglie carsiche. Sarà Goldin a narrare le vicende del soldato Ungaretti al fronte, mentre l’attore Gilberto Colla interpreta con commovente somiglianza le vibranti rime della raccolta. «La storia che vi sto per raccontare comincia più di un secolo fa», avverte Goldin. È domenica mattina, quando una donna prende il sentiero che conduce al mare, vestita di nero nonostante fosse inizio primavera. Il suo sguardo si posa sul mare di Calabria, dal quale era partito il figlio per il fronte.

Passando attraverso il pubblico seduto in platea, Diego Cal innesta il suono nostalgico della sua tromba nelle vicende narrate, mentre sullo sfondo scorrono le immagini di quel mare infinito disteso in schiuma d’onda. Uno spettacolo che intende essere commistione di poesia, musica e arte visiva. Sapiente intreccio che avviluppa lo spettatore portandolo dalle distese d’acqua innanzi al dolore e alla sofferenza delle trincee. Sei metri per tre di schermo si stagliano sul palcoscenico ricreando lo stesso effetto immersivo del precedente spettacolo su Van Gogh.

Sono panoramiche mozzafiato e riprese a volo d’uccello realizzate mediante droni, a filmare il corso dell’Isonzo o le acque sotterranee del Timavo che straborda e riempie il lago di Doberdò. E ancora, lo scotano fiammeggiante in mezzo alle rocce carsiche, dipinto in pennellate di sangue nelle tele che sarà possibile gustare dal vivo nella mostra di Santa Chiara. La pioggia cade sui campi fioriti, mentre Ruggiero canta tutto il suo struggimento per il figlio, lontano quanto quelle navi minuscole nel cuore del mare. Si dà voce alla vastità degli orizzonti, all’infinito viaggiare cui accenna Magris.

«Ungaretti è un uomo sofferente e di salute cagionevole», racconta Goldin, portandoci agli anni durante i quali era stato giudicato inabile al combattimento e inviato all’ospedale di Biella. Finché la guerra lo chiama a sé, precipitandolo nella voragine disumana della trincea. Il poeta viene assegnato alla Brigata Brescia, che aveva da poco subito pesanti perdite. Il Carso lo avviluppa nelle sue nudità, territorio aspro «scuoiato, fatto solo di forre che inghiottono gli uomini». Dalle ferite del suo cuore sgorgano i versi di “Veglia”, in cui ammette: «Non sono mai stato tanto attaccato alla vita».

Fra Chiopris e Versa ritrova un respiro di tregua, per poi far ancora ritorno alla prima linea nel mese di marzo. È il 7 aprile del 1916 quando - nuovamente a Versa – inizia a riflettere sul Capitano Nazareno Cremona. Passeggiando sui ciottoli assolati lo possiamo intravedere là, Ungaretti, in un fienile della casa Godina dove scrive e annota le poesie, fra cui quella dedicata a Nazareno: “Il capitano”. Nello stesso fienile incontrerà Ettore Serra, che a Udine avrà cura di pubblicare le prime ottanta copie del “Porto sepolto”. La parola del poeta diviene magma incandescente, lo stesso dal quale scaturisce l’infinita malinconia della «balaustra di brezza».

Si salverà per miracolo, due giorni prima dell’attacco con il gas. In una notte di pioggia torrenziale potrà tornare nelle retrovie, cantando a squarciagola. Ad attenderlo, la salvezza e quell’immensa poesia di luce giunta fino a noi.

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