«Noi con il Fuori Orario volevamo cambiare il mondo» Gazzetta di Reggio

Gazzetta di Reggio

L’intervista

«Noi con il Fuori Orario volevamo cambiare il mondo»

Chiara Cabassa
«Noi con il Fuori Orario volevamo cambiare il mondo»

Viaggio nella storia del circolo Arci che sabato festeggia i suoi primi 30 anni. Il fondatore Franco Bassi, nonché memoria storica: «Mai traditi i nostri valori di gioventù»

09 ottobre 2023
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Al “suo” circolo ha dedicato due libri: “Fuori Orario dentro l’anima” nel decennale e ancora “Vent’anni Fuori Orario”. Quando nel 2014 decise di fare un passo indietro, lo annunciò laconicamente con le parole di Forrest Gump: «Sono un po’ stanchino, credo che tornerò a casa ora». E ora che il circolo Arci più grande d’Italia si appresta a spegnere trenta candeline, sabato prossimo con una festa che si annuncia storica, è un potente intreccio di emozioni a misurare il countdown di Franco Bassi, tra i fondatori nonché colonna portante del circolo di Taneto di Gattatico. Accanto a lui, già dalla prim’ora, Gabriele Bassi, Carluigi Bassi, Corrado Magnani, Daniele Magnani, Lorena Calegari, Ettore Castagnetti, Marco Scolari».

Innanzitutto Franco, come ci si appresta a festeggiare i primi 30 anni della propria creatura?

«Il Fuori Orario è nato e proseguito sempre come un’opera collettiva, ognuno di coloro che ha contribuito è stato una colonna portante del circolo. Anche coloro che magari hanno avuto un ruolo con meno visibilità del mio, sono stati fondamentali nel reggere il peso di una attività così complessa, tanto che se è durata trent’anni, di cui nove senza il mio apporto, credo significhi che si sia retta su buone fondamenta. Naturalmente ogni volta che ci rimetto piede l’etimologia della parola nostalgia, dal greco “nostos” ritorno a casa e “algos” dolore del ritorno, riassume perfettamente i sentimenti che provo. Quel luogo è stato per tanti anni la mia casa nel vero senso della parola. Il tempo trascorso lì dentro supera ampiamente quello trascorso con la famiglia, e questo provoca già un primo dolore, ma il voltarsi indietro imposto ogni volta nel rivedere gli spazi nei quali si sono vissuti momenti esaltanti, procura un dolore paragonabile a quello che si prova davanti alla propria vecchia carta di identità scaduta».

Cosa ricorda di quello storico 17 ottobre 1993? E qual era l’idea iniziale, quali gli obiettivi, e a che pubblico pensavate?

«Di quel giorno inaugurale io ricordo solo il senso di inadeguatezza che permeava noi, abituati a stare dall’altra parte del bancone e tentati nell’assaggiare ogni bevanda che servivamo. Cosa che si era costretti a fare quando gli avventori si lamentavano dei cocktail venuti male. Per questo finimmo ben presto a gambe all’aria dimenticando tutto ciò che accadde dopo la prima ora… Il nucleo fondatore all’epoca faceva parte tutto del direttivo del Pds di Taneto, negli anni successivi alla tragica decisione di cambiare nome al Partito Comunista. Già da un anno noi, mossi dalla voglia di creare un luogo di aggregazione per i ragazzi del paese, avevamo trasformato la sezione della “Casa del Popolo al sabato sera” (cit. Ottavo Padiglione) in una sala da ballo con musica dal vivo, sostituendo temporaneamente i libri di Lenin, Mao, Togliatti, Longo e Berlinguer con bottiglie di liquore di ogni tipo».

E quanto durò?

«Durammo poco perché il rumore che disturbava i vicini di casa così come i giocatori di briscola al piano di sotto, ci impose di cercare un luogo fuori dai coglioni e, per fortuna, riuscimmo a trovarlo all’interno di una vecchia area industriale abbandonata nei pressi della ferrovia Milano-Bologna. Lì si sarebbe potuto fare musica e ballare anche fuori orario. L’idea di costruire un luogo che potesse accogliere i giovani del paese evitando loro tutte le liste, le prescrizioni di “abito consono”, ormai divenute prassi comune nelle discoteche del tempo, rimase l’idea portante di questa nuova impresa. Un luogo che potesse fare del divertimento la giusta risposta ad un reale bisogno e non il pretesto per la speculazione, l’esclusione e il facile profitto. Scegliemmo subito di aggregarci all’Arci di Reggio Emilia, che è stato un supporto fondamentale per la nostra partenza e per il suo prosieguo».

Il Fuori Orario ha ospitato concerti di ogni genere, grandissimi nomi, cover band, gruppi emergenti, ma anche cabaret, e ancora cene con personaggi che hanno fatto la storia del circolo. Insomma, non è mai stato un locale convenzionale.

«I primi anni Novanta muovevano i primi passi gruppi come i Marlene Kuntz, Modena City Ramblers, Ritmo tribale, Casinò Royale, Csi, Mau Mau, Bandabardò, Bluvertigo, Yo Yo Mundi, 99 Posse, Bisca e tanti cantautori e cantantesse, Niccolò Fabi, Daniele Silvestri, Max Gazzè, Carmen Consoli e, naturalmente Vinicio Capossela. Il rapporto con questi artisti, che dura tutt’ora, si è consolidato nel tempo non solo per i rapporti professionali che intercorrevano tra circolo e musicisti, ma soprattutto per la condivisione ideale che spingeva noi, come loro, a voler “cambiare il mondo” con ciò che si faceva».

Impegno politico, antifascismo e solidarietà sono stati da subito i punti di riferimento del circolo. Che voi avete anche concretizzato attraverso infiniti progetti.

«Noi non abbiamo mai negato la nostra provenienza e il nostro modo di pensare. Sin dal primo giorno abbiamo voluto dedicare lo spazio del circolo a tutte le vittime delle stragi fasciste sui treni Italicus, Rapido 104 e 2 Agosto a Bologna. Era un modo anche per dire “noi stiamo da questa parte qui, vogliamo essere chiari nel dirvelo”. Questo non ci ha mai indotto comunque ad esclude qualcuno dall'accesso al circolo per una diversità di pensiero o di vedute. L'inclusione è sempre stata una delle nostre priorità con chi ci frequentava, figuriamoci se non lo fosse nei confronti dei “discriminati” o dei “diversi” che tendenzialmente si è indotti ad escludere e ad emarginare nel nostro paese. Affrontare temi sociali e politici nella quotidianità del nostro lavoro è stata la cosa più naturale e normale che potessimo fare. Per questo, insieme alla musica dal vivo, che ha sempre rappresentato l’elemento trainante dell’attività del Fuori Orario, abbiamo implementato l’attività con iniziative che, fondamentalmente, interpretavano i nostri gusti e le nostre necessità».

Indimenticabili le cene del mercoledì sera. Come nacque l’idea?

«Fu la voglia di ascoltare voci fuori dal coro a suggerirci l’idea di iniziare le cene del mercoledì sera, dove ospiti che trovavano pochissimo spazio nei normali circuiti di informazione, avevano da noi l’occasione di portare la loro versione dei fatti e il loro pensiero. Se penso a Teresa e Gino Strada, Don Gallo, Gianni Minà, Gianni Mura, Giulietto Chiesa, Maria Cervi, Rita Borsellino… ecco, di fronte a queste persone che purtroppo ci hanno lasciato, la componente del dolore diventa intensa. Sono stati loro a spingerci verso una progettualità solidale che continua nei confronti di coloro che, nel mondo, subivano le peggiori conseguenze delle disuguaglianze e dell’avidità del “mondo occidentale”. Questi valori, che in fondo abbiamo sempre avuto, non avevano mai trovato una concreta realizzazione. Con il Fuori Orario riuscimmo a dargli questa concretezza e a veder nascere e crescere progetti che ancora oggi possono testimoniare, in Nicaragua, il Cambogia, in Bielorussia, Nel Sarhawi, in Sudan, a Cuba, l’aiuto dato a chi è molto meno fortunato di noi».

In vent’anni di Fuori Orario quali sono state le più grandi soddisfazioni dal punto di vista professionale e quali invece gli incontri più toccanti?

«Probabilmente la più grande soddisfazione è stata quella di non aver mai tradito, con l’attività del circolo, come ci ha insegnato Berlinguer “i nostri valori di gioventù”, facendo, come ho detto prima, del divertimento uno strumento di aiuto alla crescita, all’aggregazione e alla solidarietà, e non trasformando in una professione quello che stavamo facendo. Ognuno dei soci fondatori ha sempre vissuto l’attività del circolo in contemporanea alla propria attività lavorativa, che è rimasta la stessa dall’inizio. L’essere riusciti nel tempo a diventare il circolo Arci con più soci in Italia, premiato come miglior locale come musica dal vivo, sono certamente enormi soddisfazioni, ma nulla è paragonabile al piacere di aver incontrato persone che con il loro esempio di vita hanno contribuito a cambiare radicalmente la nostra e il nostro modo di vedere le cose. I nomi li ho citati sopra, ma ne potrei aggiungere moltissimi altri tra gli artisti, gli scrittori e i giornalisti che abbiamo incontrato e che ci hanno dato una mano fondamentale per lo sviluppo dell’attività del circolo e del nostro cervello».

Non saranno mancati i momenti difficili.

«Momenti difficilissimi. La prematura scomparsa del “Lupo”, socio fondatore del circolo, ci ha segnato profondamente, ma è proprio di fronte a questi accadimenti che le delusioni per aver sbagliato un concerto o aver compiuto qualche scelta di cui ci siamo pentiti, assumono un valore decisamente secondario e di poco conto. La delusione maggiore la riservo per me stesso, ovviamente. L’aver causato l’ incidente nel quale ha perso la vita Simone, ragazzo del mio paese di appena vent’anni, accompagnerà per sempre lo strazio della mia esperienza personale».

Qual è il valore aggiunto che ha permesso al Fuori Orario di arrivare al trentesimo compleanno senza mostrare i segni dell’età?

«Io credo che il valore aggiunto sia sempre stato quello di non voler fare del bisogno di divertirsi e stare insieme dei ragazzi uno strumento di speculazione ma una possibilità di crescita sociale e culturale. Posso parlare naturalmente solo del periodo in cui ho fatto parte del nucleo direttivo, ma mi pare di poter dire che è una rarità, nel mondo dello spettacolo, trovare un luogo che sopravvive, ma sarebbe meglio dire, “supervive” (alla Vasco) nelle crisi, nel tempo che trascorre, nell’interpretare e cogliere i nuovi bisogni dei giovani».

Nessun pentimento per avere lasciato il circolo dieci anni fa?

«Allora ci feci un mezzo esaurimento. Ma dopo l’incidente io non ero più lo stesso e non avevo più la forza e la credibilità per proporre una linea di condotta al circolo. La grande crisi degli anni 2012-2013 imponeva scelte. Crisi, in greco (me l’ha insegnato Vinicio) significa “scelta”, necessità di scegliere. Io avrei fatto scelte diverse rispetto a quelle desiderate dalla maggioranza dei soci, per cui, sommando lo sconforto, la stanchezza e la mancanza di motivazioni, decisi che era giunto il momento di tornare a casa».

Come vede il presente e il futuro del Fuori Orario in un mondo che sta repentinamente cambiando?

«Per fortuna non è una cosa della quale mi devo occupare, perché non credo proprio di essere più in grado di poter gestire una attività come quella del Fuori Orario oggi. Certamente chi lo sta facendo è molto più capace di me e sa interpretare meglio la tipologia di pubblico che il circolo ha deciso di privilegiare. Per quanto il mondo dei giovani possa mutare, nelle abitudini e nei gusti, io credo che senta sempre prioritario il bisogno di incontrarsi, conoscersi e frequentarsi. Su questi tre elementi credo debbano essere giocati i valori che si intende proporre con la propria attività».

E a proposito di cose che cambiano, il suo impegno politico e civile come si è trasformato in questi decenni?

«Dopo la mia uscita dal circolo, Vinicio, vedendomi distrutto, ha pensato bene di affidarmi la direzione organizzativa dello Sponz Fest, una festa che si svolge in alta Irpinia dal 2013 e che lui dirige artisticamente. In questa manifestazione io ho trovato tutta l’idealità che ritrovavo nel Fuori Orario, esponenzialmente amplificata dall’immaginazione e la capacità di interpretare la realtà che ha un artista come lui. È nella costruzione di questo evento in cui diventa costante la ricerca, lo studio e l’impegno nell’affrontare tematiche politico sociali, che oggi ritrovo le ineludibili questioni che necessitano di una nostra decisa presa di posizione. Tornare ad essere partigiani, prendere parte, è oggi una assoluta priorità. Ognuno faccia la sua parte, prendendo parte. Io cerco di fare questo». 

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