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Migranti, «gestione disordinata»: ecco i punti deboli dell’accoglienza

Nel mirino del Dossier statistico dell’immigrazione la scommessa sui Cpr e l’abuso dei Cas. Il monito sul decreto flussi: «Mera emersione del nero»

di Manuela Perrone

Migranti, Tajani: "La priorità è impedire gli ingressi irregolari"

4' di lettura

Dovrebbero essere i centri «straordinari», riservati alle situazioni emergenziali e affidati dalle prefetture a enti del privato sociale, ma alla fine del 2022 i Cas ospitavano i due terzi dei 108mila migranti accolti in Italia. La riduzione nel tempo di queste strutture non è peraltro coincisa con un aumento dei posti nella rete Sai, in capo ai Comuni. «Una gestione disordinata e da razionalizzare», è il giudizio del Dossier statistico immigrazione presentato a Roma il 26 ottobre e curato dal Centro studi e ricerche Idos, in collaborazione con il Centro studi Confronti e l’Istituto di studi politici “S. Pio V”.

Pollice verso per l’Europa

Giunto alla sua 33esima edizione, il rapporto raccoglie i contributi di oltre cento studiosi e ricercatori e prova a scattare una fotografia “ragionata” del fenomeno migratorio in Europa e in Italia. Ricordando l’eccezionale flusso registrato quest’anno (circa 115mila sbarchi tra gennaio e agosto, a fronte dei 105mila del 2022 e dei 67mila del 2021) e il sorpasso della Tunisia sulla Libia come primo Paese di partenza, il dossier non risparmia critiche innanzitutto all’Europa, schiacciata - sostiene il report - sulla strategia della «esternalizzazione delle frontiere» associata alla pratica «delle espulsioni e dei respingimenti illegali». Nel 2022 si sono registrati però oltre 331mila ingressi irregolari a fronte di circa 3 milioni di permessi di soggiorno rilasciati dagli Stati membri. Segno, per Idos, che il sistema è ben lontano dall’essere «realistico e funzionale».

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Milano, ll Municipio 6 ricorda le vittime del naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013 (laPresse/Rossella Papetti)

Un milione (+52,7%) le domande di asilo nell’Ue nel 2022

Un sistema di asilo efficiente, secondo uno studio recente del Parlamento europeo, farebbe risparmiare 18,5 miliardi di euro l’anno, mentre l’accesso al mercato del lavoro per rifugiati e richiedenti asilo comporterebbe un aumento del Pil dell’1,1%, ossia 15,3 miliardi di euro annui. Nel corso del 2022 nell’Unione europea - che conta 7,5 milioni di rifugiati e richiedenti asilo (l’1,7% della popolazione totale) - sono state presentate 965.665 domande di asilo, cresciute del 52,7% rispetto al 2021. Un quarto ha riguardato minorenni e quasi 40mila minori non accompagnati. In primo grado, ha ricevuto una risposta positiva soltanto il 49,1% delle 632mila domande esaminate. Quanto alle decisioni definitive, sono state 217.480, di cui il 33,6% con esito positivo. Lo scorso anno, dunque, i Paesi Ue hanno concesso protezione a circa 383mila richiedenti. Le richieste di trasferimento della domanda allo Stato di primo ingresso sono state ben 174mila, di cui 14.500 eseguite) e l’elevata quota di persone che aveva già fatto istanza in passato.

Stabili intorno ai 5 milioni gli stranieri in Italia

I numeri italiani, secondo il rapporto, smentiscono la retorica dell’invasione, perché gli stranieri residenti sono stabili intorno ai 5 milioni, l’8,6% della popolazione. Sono invece saliti quasi a 6 milioni gli italiani residenti all’estero, contro i 4 milioni del 2010. I titolari di un permesso a termine erano 1,48 milioni alla fine del 2022, +267mila annui: sono il 39,9% di tutti i soggiornanti. Nel 2022 i nuovi permessi rilasciati sono stati 449mila, quasi raddoppiati rispetto ai 241mila del 2021, soprattutto per effetto dell’arrivo dei profughi ucraini dopo lo scoppio della guerra (148.644, il 33% del totale). I permessi per protezione sono cresciuti molto.

Domande di protezione a quota 77.200, l’8,7% del totale Ue

Le domande di protezione presentate per la prima volta in Italia sono cresciute, passando dalle 54mila del 2021 alle 77.200 del 2022, ma non eccezionalmente, visto che nel 2016 e nel 2017 avevano superato le 100mila unità. Però le criticità registrate per lo svolgimento delle procedure, negli hotspot e nelle questure, hanno raggiunti livelli mai toccati prima. I canali di accesso alla protezione sono peraltro stati ristretti dal decreto Cutro, con l’avvio dei nuovi centri per le procedure accelerate alla frontiera riservati ai migranti provenienti dai Paesi cosiddetti “sicuri”, come quello aperto a Pozzallo (dove è nato il caso della giudice Apostolico), e l’introduzione di una garanzia finanziaria di 4.983 euro per evitare il trattenimento.

Le carenze nella programmazione

Sull’accoglienza il rapporto registra «una prolungata carenza di programmazione», testimoniata proprio dal fatto che alla fine del 2022 i due terzi dei 108mila migranti inseriti negli appositi centri erano concentrati nei Cas, pensati come strutture “straordinarie”. Dal 2018 al 2021, con la netta contrazione degli arrivi, il sistema è stato ridimensionato del 40% e «nonostante il continuo allarme di “collasso” oltre il 20% dei posti disponibili è rimasto libero». Nel 2022 i dati sul rapporto posti-presenze mostra invece segni di saturazione dei Cas a seguito della ripresa degli arrivi. «Carente» è considerata l’accoglienza per i minori non accompagnati: su 20mila presenti in Italia nel 2022, 11.910 risultavano inseriti in centri Sai. Spesso i nuovi arrivati vengono collocati d’urgenza in «luoghi inadeguati», talvolta assieme agli adulti. Il decreto Cutro è tornato inoltre a escludere, con poche eccezioni, i richiedenti asilo dal sistema Sai e a prevedere tagli ai servizi erogati nei Cas e nei centri di prima accoglienza, «riducendoli a meri “contenitori” di richiedenti asilo in attesa». Impietosa la diagnosi: la strada della «detenzione indefinita», anche nei Cpr, si sostituisce al modello dell’accoglienza diffusa.

Decreto flussi? Mera emersione del nero

L’ampliamento delle quote di ingresso dei lavoratori stranieri (452mila nel triennio 2023-2025, il primo dei click day in programma si terrà il 2 dicembre), per il dossier Idos, «finirà anch’esso per tradursi, come avvenuto largamente nel passato, in mancanza di una riforma strutturale dei restrittivi meccanismi di ingresso e permanenza per lavoro - nell’emersione di lavoratori in nero già irregolarmente presenti». Nel mirino, «l’irrealistica procedura della chiamata “al buio” dall’estero» e «la sclerotizzata dicotomia tra lavoratori da selezionare e rifugiati da respingere». Rette parallele che impediscono un raccordo più funzionale tra mercato del lavoro e asilo.

La segregazione per cittadinanza e genere

Gli stranieri incidono per il 10,3% sul totale degli occupati e per il 16% sui disoccupati. La rigida divisione del lavoro per cittadinanza e genere è rimasta immutata: più di un terzo delle lavoratrici (34%) è impiegato nei servizi domestici e di cura, il 42,2% degli uomini nell’industria e nelle costruzioni. «L’Italia - conclude il dossier - continua a occupare massivamente gli stranieri in attività manuali e a bassa qualifica, da cui derivano retribuzioni inferiori». Gli stranieri extra Ue dipendenti da aziende del settore privato percepiscono il 31,2% in meno della media nella stessa categoria. Eppure il contributo all’economia continua a essere positivo: il saldo tra spese e introiti legati all’immigrazione nel 2021 è stato positivo per 6,5 miliardi, un miliardo in più rispetto all’annus horribilis della pandemia. E le imprese gestite da immigrati sono cresciute del 41,5% dal 2011 al 2021, a fronte di un calo del 4,1% di quelle in capo a italiani. Le aziende “immigrate” operanti in Italia sono ormai vicine a quota 650mila, il 10,8% del totale.

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