Si parte con il deepfake. Ovviamente. Dopo una quinta stagione discutibile, Black Mirror torna in forma smagliante con una sesta stagione e lo fa fin dal primo dei cinque nuovi episodi affrontando la nuova tecnologia più interessante, problematica e discussa di questi anni. E stavolta è molto chiaro come Charlie Brooker, che la serie l’ha ideata e che ne ha scritto tutti gli episodi, abbia cambiato di un po’ paradigma. Black Mirror ha sempre avuto come caratteristica centrale la creazione di storie e intrecci che mettano in risalto le contraddizioni di tecnologie futuristiche e oggi inesistenti che tuttavia molto spesso sono l’evoluzione di cose che vediamo già oggi, la versione estrema. Le tecnologie quindi sono estreme e fantascientifiche, i problemi che pongono solo un passo più in là di quelli che le loro versioni reali pongono oggi. Black Mirror ha sempre funzionato perché riusciva perfettamente a fare il lavoro della fantascienza: parlare di qualcosa di fantastico che ha un’eco molto concreta nel nostro mondo. E ora parla anche di presente. E di Netflix. Su Netflix.

Black Mirror 6: primo episodio

Le prime due puntate hanno al centro oppure solo di poco a lato Streamberry, una piattaforma di streaming le cui schermate e il cui design sono indistinguibili da quelli di Netflix. Nel primo episodio si parla della tecnologia che conosciamo, solo spinta un po’ più in là. Streamberry infatti, grazie a un computer quantico (nella puntata stessa ammettono “Non si sa come funzioni, non lo sa nessuno, è praticamente magia”), riesce a realizzare in tempo reale serie tv che sembrano vere e con attori veri ma in realtà sono generate dall’intelligenza artificiale, come i vari Dall-E e Midjourney uniti a ChatGPT, tutto apparentemente realistico eppure falso ma (qui arriva l’intreccio) tutto scritto per imitare la vita di una spettatrice tra molti. La serie Joan Is Awful racconta infatti cosa accada a Joan usando il volto di Salma Hayek grazie a un deepfake, lo scopre Joan stessa una sera, quando vede rappresentata la giornata che ha appena vissuto.

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Entrambe sono vittime degli accordi firmati. Joan ha cliccato su "Accetto senza leggere", finendo per aderire all’uso della sua vita (il telefono cellulare registra tutto e informa il computer quantico); Salma Hayek ha firmato un contratto per l’uso della sua immagine digitale senza badare alle clausole. Ora tutti i conoscenti di Joan vedono questo suo ritratto romanzato, in cui sono svelati i suoi segreti e in cui soprattutto lei ne esce come una persona orribile. Con la vera Salma Hayek andranno alla sede centrale di Streamberry in cui vedremo la profondità del cunicolo di paradossi e false realtà cui porta questa premessa.

Black Mirror: sesta stagione, secondo episodio

Nel secondo episodio invece, due ragazzi in cerca di un soggetto per un documentario si spingono nel paesino natale di uno dei due. Lì una vecchia storia di cronaca nera che coinvolge (come vittima) il padre di uno dei due sembra essere perfetta per un documentario da vendere a Streamberry. Un proprietario di pub locale è il primo ad aiutare, a patto che ci siano molte inquadrature con il drone perché questo aiuta il turismo macabro e quindi l’economia di quel piccolo centro. Scopriranno ovviamente cose agghiaccianti e parenti all’horror. Quel che conta ai fini di Black Mirror è quale sarà il ruolo della piattaforma in quel caso e cosa tutta la parabola ci dica sulla frenesia di creazione di contenuti e quindi come noi poi ne fruiamo.

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Netflix

Nel primo episodio di Black Mirror 6 c’è la classica evoluzione di vera tecnologia che serve a commentare gli incastri della tecnologia presente (i contratti firmati senza leggere, i problemi di identità e di “cosa è reale” posti dal deepfake), nel secondo episodio invece non c’è tecnologia futura, non c’è evoluzione né suggestione di scenari remoti, semmai la precisa illustrazione di uno scenario contemporaneo e una storia contemporanea di tecnologia, e come questa modifichi in peggio le vite delle persone. Una storia nemmeno tecnologica ma le cui domande e i cui problemi sono resi possibili da una rivoluzione tecnologica poi diventata di produzione e costume.

Insomma la sesta stagione di Black Mirror non solo è costellata di ottimi episodi, ma allarga (finalmente) un po’ l’orizzonte di cosa possa fare la serie e quali siano le sue storie, come cioè quella maniera ottima e obliqua di parlare di noi attraverso trame che finiscono malissimo e incastri magistrali di vite, tensioni e obiettivi diversi, possa essere applicata anche al racconto di un presente che per Brooker sembra non troppo diverso da un futuro distopico o che quantomeno ne ha le stesse problematiche estreme.

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Netflix

Black Mirror 6: terzo episodio

Così, arrivati al terzo episodio, quando vediamo che è ambientato negli anni Sessanta ma ha tecnologie modernissime, anzi futuristiche, non ci stupiamo più. Il tempo non è più quello avanzato e la spinta fantastica non è più solo in avanti, ma va in tutte le direzioni. La terza puntata è di nuovo una storia classica per Black Mirror, cioè ha a che fare con i modi in cui le tecnologie avanzate ingannano la percezione e quindi rendono difficile comprendere la realtà. Ciò che vediamo non è più esattamente quel che è. Due astronauti, mentre sono impegnati in una missione spaziale, possono a cadenza regolare entrare in un sonno e trasferire la propria mente e coscienza a un corpo robotico che ha le loro fattezze ed è rimasto sulla Terra con le loro famiglie. Così possono vivere sia nello spazio e che sulla Terra, come se finito il lavoro tornassero a casa. I problemi cominciano quando la vita di uno dei due è scossa e chiede all’altro di potere vivere un po’ nel suo, di corpo. Ancora una volta, in una puntata di Black Mirror un corpo non contiene quel che pensiamo, non rispecchia chi è dentro e in buona sostanza mente senza che sia per noi possibile capirlo.

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Gabriele Niola

Nasce a Roma nel 1981, fatica a vivere fino a che non inizia a fare il critico nell'epoca d'oro dei blog. Inizia a lavorare pagato sul finire degli anni '00 e alterna critica a giornalismo da freelance per diverse testate. Dal 2009 al 2012 è stato selezionatore della sezione Extra della Festa del cinema di Roma, poi programmatore e per un anno anche co-direttore del Festival di Taormina. Dal 2015 è corrispondente dall'Italia per la testata britannica Screen International.  È docente del master di critica giornalistica dell'Accademia d'arte drammatica Silvio D'Amico, ha pubblicato con UTET un libro intervista a Gabriele Muccino intitolato La vita addosso e con Bietti un pamphlet dal titolo "Odio il cinema italiano". Vanta innumerevoli minacce da alcuni dei più titolati registi italiani.     
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