"Non mi sono accorta del tempo che è passato" ride Lea Gavino alla fine dell'intervista, e la sua voce si scioglie in un tintinnare sincero e argentino. Romana, 25 anni, già apparsa in Vita da Carlo, Artemisia Gentileschi ne L'ombra di Caravaggio di Michele Placido accanto a Louis Garrel (tenetelo bene in mente, perché ci torneremo), e la volitiva e comprensiva Viola nella quinta stagione di Skam Italia, è al cinema dal 16 maggio con Una storia nera dove interpreta Rosa, figlia della protagonista Laetitia Casta e sorella di Andrea Carpenzano. Lea Gavino attrice e non solo, Lea Gavino è molto altro. Ritma le parole su un beat interno, scandito da una trama e ordito di questioni, dubbi, passioni, impegno sociale che si dipana in progetti personali e momenti intimi che hanno il privilegio della condivisione. Parlare con lei significa puntellare i gomiti e concentrarsi nel seguire la sua capacità di portarsi al di fuori del tema, qualunque tema per introdurne sempre altri, a cascata, individuando i fili che li collegano. Tra le esperienze col suo ultimo film al lavoro sul set, al tipo di professionista che vuole essere, fino all'indispensabile visione sulle donne nella società contemporanea (influenzata da sua nonna "il mio punto di riferimento, la mia maestra di vita" come la definisce), tra le parole di Lea Gavino emerge tutta la bellezza di intenti in evoluzione, parte integrante di chi ha l'intimo desiderio di continuare a ragionare più sulle domande che nella ricerca di risposte.

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Gioele vettraino

Partiamo dall'ultimo film con cui sei nelle sale, Una storia nera. Ci racconti il tuo personaggio e cosa ti ha colpito di questa storia?
Rosa è un personaggio che alla prima lettura ho trovato molto stimolante: quando ho letto la sceneggiatura per intero, la prima cosa che ho notato è stata la gioia di affrontare un personaggio complesso, tridimensionale, molto ambiguo anche nel modo di gestire le cose, come se dovessi rappresentare in parte anche lo spettatore. Rosa, all'interno di questo film, è il personaggio che si fa le domande che si farebbe lo spettatore, e se le fa riguardo la mamma, quindi i dubbi che ha sono più personali. È stato complesso non prendere posizione per presentare il dubbio. A livello di sceneggiatura, mi ha colpito una cosa. Mia nonna è un'appassionata e una grande esperta di casi di cronaca, una volta le ho chiesto perché e mi ha detto "perché la verità è la cosa più oggettiva che c'è, eppure è così difficile che si riveli". Mi colpì tantissimo: una cosa che è successa, accaduta, 100% di fatti, ma come si fa a ricostruire una cosa così... non opinionabile? È difficile anche da spettatore prendere una posizione. Rosa vive la frustrazione a un livello personale, pesante: rappresenta il dubbio costante, l'influenza degli altri.

Lo so che è una domanda filosofica di prima mattina, ma hai tirato fuori il concetto dei verità e mi è venuto da pensare. Molti sostengono che la verità non sia una sola, ma ce ne sono tante, interpretabili e relative. Tu che rapporto hai con la verità?
Diciamo che c'è una verità emotiva e una verità dei fatti, e secondo me sono due cose molto diverse. Cosa è successo, quella è la verità: ho fatto questo. Poi c'è "ho fatto questo perché", allora lì ci sono mille verità che si intersecano insieme, ed è difficile avere un parere oggettivo rispetto al movimento emotivo che uno compie. La verità dei fatti, nei rapporti di amicizia o famigliari in generale, la voglio sapere sempre. La verità emotiva, vorrei avvicinarmi e cercare di capirla, con il rispetto di alcuni punti non per forza dichiarati. Se dobbiamo dire la verità emotiva a tutti, si leva l'unicità e la personalità di una persona. Sto parlando male? Non so se mi faccio capire (sorride).

Sei stata chiarissima. L'altra cosa che volevo chiederti è la rappresentazione del dubbio: tu sei una persona che mette in dubbio le cose?
Anche troppo (ride). Ho anche un lato di paranoia, si può immaginare quante domande mi ponga e quante siano totalmente non-indispensabili, che mi portano totalmente fuori tema (continua a ridere). Anche al liceo mi dicevano spesso "Lea, sei andata fuori tema". Mi pongo veramente troppe domande, metto in dubbio anche quello che provo io, come se non avessi mai la certezza rispetto alla mia verità emotiva. Come se faticassi tanto a prendere una posizione a livello "come mi fa sentire questa cosa?". A volte verbalizzare un sentimento complesso non è una cosa che mi aiuta. Vado fuori tema al massimo: forse è il motivo per cui non mi piace esprimermi attraverso la verbalizzazione del sentimento, ma attraverso la creatività.

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Gioele vettraino
Make up and hair: Marta Ricci per Simone Belli Agency Styling: Alex Sinato Look: Sportmax

Non lo vedo come un fuori tema, anzi.. Io lo leggo come un assist sulla creatività. Vedi come cambiano le verità? In questo momento si parla tanto del non monetizzare necessariamente tutti i talenti, ma tornare ad avere gli hobby, avere valvole liberatorie. Oltre al lavoro di attrice, tu hai uno sfogo parallelo nella musica, e ti piace tenerlo un po' privato.
C'è chi dice "Se sai fare una cosa non la devi fare gratis" e sono assolutamente d'accordo. Soprattutto, più che monetizzare, per me è molto sano trovare delle parti di sé da far restare private, comunque per pochi. Noto che c'è tanto la necessità di mostrare quello che si sa fare, quasi di condivisione compulsiva, tra le persone che frequento. La mossa di non condivisione trovo che ti faccia entrare in contatto con una parte più intima di te: quando scrivi una canzone, o un film, se pensi a cosa funziona e cosa arriva al pubblico, diventi un po' disonesto. Sto scrivendo un film con due amiche bravissime lavoratrici e non ci poniamo mai la domanda di "cosa funziona". L'unica che ci poniamo è "come facciamo a farci capire?". È più costruttiva, più onesta. Questo poi mi piacerebbe condividerlo. La musica è un livello intimo, in parte la condivido, ma è il modo in cui esprimo l'amore: se mi innamoro mi piace cantare per qualcuno, con gli amici mi piace cantare, se sono con mio fratello (Damiano Gavino, attore in Un professore e in Nuovo Olimpo di Ferzan Ozpetek, ndr)cantiamo per dirci quanto ci assomigliamo... È quella parte che tengo per me.

Come sta andando con psicologia?
Resta dentro di me. È uno strumento. A me piace avere tanti linguaggi, tutte le cose cui mi sono avvicinata e che mi piacciono sono linguaggi: la musica, la sceneggiatura, la recitazione, anche lo yoga che è un altro mio hobby.

Credo di essere affascinata da altri modi di comunicare che non siano solo quelli verbali e macchinosi.

La psicologia è un linguaggio che torna, anche nel film che sto scrivendo c'è tanto. La visione che ho delle cose è molto influenzata dal mio percorso di studi.

Da donna, da attrice, da persona che ha studiato, che mondo vedi oggi? Hai interpretato personaggi forti, sei una giovane donna, anche per lavoro hai affrontato temi e ruoli importanti, come l'aborto e il ruolo della donna nella società. Come sono cambiati i ruoli, specialmente quello femminile? Vorresti cambiare qualcosa?
Mi piacerebbe tanto cambiare le cose, ma ultimamente percepisco dentro di me, e dentro le mie compagne, un senso di frustrazione enorme, come di impotenza. Non significa smettere di lottare:

Io credo che la lotta sia un dovere creativo.

Soprattutto se si fanno dei mestieri di comunicazione, è un dovere di scrittura, di interpretazione, di comunicazione. Però, nonostante questi temi siano centrali ultimamente, mi sembra che non cambi mai nulla, o cambi molto poco. Mi sembra assurdo che si debba discutere del diritto all'aborto, a volte mi ci soffermo e mi dico "Ma è veramente una cosa di cui parlare?". C'è una parte irrazionale, magari fanciulla in questo, ma me lo chiedo: è possibile che un uomo mi debba dire se posso gestire il mio utero da sola? Ho trovato geniale la cosa che ha fatto Geppi Cucciari con altre donne (uno sketch sull'impotenza maschile discussa solo dalle donne in risposta a un panel di soli uomini che parlavano di aborto), perché è comico per quanto è deprimente.

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Sembra tutto sempre eternamente difficile. Essere donna oggi è complicato.
Sì, vero. Sicuramente ci sono però delle possibilità. Mia nonna, che è la mia maestra di vita e un punto di riferimento, mi dice "Guarda che sei fortunata a vivere in questi tempi": è vero, in parte, lei avrebbe voluto vivere tutte le esperienze che faccio io, c'è anche una libertà sessuale diversa, che però viene giudicata. Noto la differenza, però: quando parlo con mia nonna di sesso, lei ha una specie di euforia nel poterne parlare, perché non l'ha potuto fare mai. Dicevamo prima delle doppie verità: è una conquista, quindi evviva, però non sono ancora soddisfatta (sorride). È un po' una soddisfazione a metà. Dai, sono andata ancora fuori tema!

È bello però pensare di essere fuori tema nella vita, mettersi un po' in una prospettiva storta rispetto al guardare solo avanti o laterale.
Io dico sempre che le cose non bisogna guardarle solo da punti di vista diversi ma girarci intorno, così diventano tridimensionali.

Volevo farti una domanda di alleggerimento, però cruciale, perché per noi è tipo santino: com'è lavorare con Louis Garrel?
Eh (ride), EH (continua a ridere). A prescindere dal dire "oh mamma Louis Garrel", è stata una scuola: è un professionista davvero generoso. Ho visto lui lavorare, ed era uno dei primi con cui mi sono interfacciata nel mondo del lavoro, e ho detto "da grande voglio essere così". La generosità... Mi ha preso per mano come maestro, e mi ha detto "facciamo questa cosa insieme, so che non è facile però ce la facciamo", e mi ha aiutato tantissimo, senza superiorità ma come compagno di squadra. È stato bello, stimolante. Negli anni dell'accademia, Laura Muccino ci chiedeva spesso che attore volevamo essere, e quando sono andata sul set ho capito.

Che tipo di attrice vuoi essere?
Supportiva. Aiutare sul set, essere compagni di squadra. L'ho ritrovato tantissimo su Skam, anche Francesco (Centorame, protagonista con lei della quinta stagione della serie) è un attore molto supportivo. Ho avuto la fortuna di lavorare col sostegno, che secondo me è la base del lavoro dell'attore, lavorare in squadra e essere uno la spalla dell'altro, darsi gli assist per non sbagliare e per fare meglio. Non pensare solo a me e a quello che devo fare io.

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Gioele vettraino
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