IED, Caterina Avanza: "Direttiva importante, ma va rivista" - Carni Sostenibili
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IED, Caterina Avanza: “Direttiva importante, ma va rivista”

Mettere i piccoli allevamenti con le grandi industrie quando si parla di emissioni, come ha proposto di fare la Commissione europea, non ha senso. Né a livello ambientale, né economico. Ne parliamo con Caterina Avanza di Azione e Renew Europe.

Le emissioni degli allevamenti, anche più piccoli, equiparate a quelle delle grandi industrie. Uno dei tanti non-sensi di questi ultimi anni proposti in ambito europeo. Il 5 aprile 2022 la Commissione europea ha proposto una revisione della Direttiva sulle Emissioni Industriali (IED), inserendovi anche gli allevamenti fino a 150 UBA, Unità di Bestiame Adulto. Se ciò fosse approvato, verrebbe messa a repentaglio la sopravvivenza dei piccoli allevamenti. Abbiamo voluto approfondire la questione con Caterina Avanza, Responsabile per l’agricoltura di Azione e Consigliera politica al Parlamento europeo nel gruppo Renew Europe.

I limiti e le contraddizioni di questa direttiva saltano subito all’occhio. “Sull’allevamento bovino c’è una contraddizione sistemica”, spiega Avanza: “La IED è una direttiva importante, che vuole avere dei protocolli per quelle industrie che sono estremamente inquinanti. Quindi effettivamente è necessaria e interessa circa 50mila grandi impianti industriali. L’allargamento all’agricoltura già esisteva per suini e avicoli, mentre i bovini ne erano esclusi. Con la revision, la Commissione include i bovini e abbassa le soglie in modo drastico:150 UBA rappresentano 150 bovini adulti o 375 vitelli, 10.714 galline ovaiole o 5.000 polli da carne, 300 scrofe da riproduzione o 500 suini da ingrasso, quindi di fatto aziende medio-piccole. Le soglie previste fino ad oggi erano 2000 posti o 750 scrofe e 40.000 unità per gli avicoli.”

Questo, secondo Caterina Avanza, “è un errore molto grave da parte della Commissione, perché vuol dire far entrare aziende agricole anche di medio-piccole dimensioni in un protocollo previsto per delle acciaierie, quindi un protocollo molto complesso e molto costoso, che non ha assolutamente senso economico e soprattutto dà un messaggio secondo me errato: quello del ‘piccolo è bello’. Questo ha un senso forse in certi contesti di agricoltura in montagna, che vanno valorizzati e incentivati proprio per il loro ruolo ambientale, ma in un’agricoltura di economia non ha nessun senso.”

La #CommissioneEuropea ha proposto con la #IED di mettere sullo stesso piano piccoli #allevamenti e grandi #industrie quando si parla di #emissioni, ma questo non ha senso. Condividi il Tweet

Chi vuole fare il salto e riuscire nella transizione ecologica, sottolinea l’esperta di Renew Europe, “deve avere una certa taglia critica per poter avere la possibilità di fare gli investimenti sul benessere animale, sul biometano, sull’agricoltura rigenerativa ecc. Se non hai una taglia critica, come nel caso di molte aziende zootecniche in Italia, non puoi ambire ad essere a impatto quasi zero”.

Secondo Avanza, la direttiva spinge gli agricoltori a rimanere piccoli, se non altro per non entrare in un incubo amministrativo fatto di costi e complessi protocolli. La Commissione ha stimato infatti in ben 323 milioni di euro la messa in opera delle regole, quasi tutti a carico degli allevatori. “Già siamo in una situazione di costi di produzione molto alti; se in più ne creiamo di nuovi, è chiaro che si va a incidere sul margine delle nostre aziende e sulla loro capacità di investire. Se il messaggio è quello di dire che ‘piccolo è bello’, chi finanzia la transizione ecologica?”, chiosa Avanza: “È chiaro che in parte la finanziano l’Unione europea e le Regioni, ma sappiamo che senza un investimento privato non si riuscirà a fare il salto. Per questo noi come Azione abbiamo proposto di ripristinare Industria 4.0 e di estenderla agli investimenti per la transizione ecologica”.

Un altro punto importante secondo Caterina Avanza è il rischio per il settore zootecnico di perdere la battaglia con l’opinione pubblica. “Provi a chiedere a un cittadino di Brescia, la mia città di origine, da cosa sono provocate le polveri sottili, e le risponderà dall’allevamento intensivo. Non importa se l’Arpat in Lombardia ci mostri i dati reali, con le polveri sottili in provincia di Brescia che dipendono dall’agricoltura solamente per il 15% e non il 90% come la percezione del cittadino. Il problema è che viviamo in un mondo dove la percezione è più importante della realtà scientifica.”

La #tecnologia per ridurre drasticamente le #emissioni di #azoto, #CO2, #ammoniaca sono mature. Servono #investimenti importanti, e accompagnare #aziende e #filiere in tutto ciò. Condividi il Tweet

La Commissione, ormai è chiaro, è politicamente molto influenzata da queste opinioni, così come da certe decisioni prese dai governi. Quindi “c’è effettivamente la necessità di comunicare i dati scientifici e spiegare quello che è oggi la realtà delle nostre aziende”, puntualizza Avanza: “La bella notizia è che oggi abbiamo la tecnologia a nostra disposizione per ridurre drasticamente ad esempio le emissioni di azoto, di CO2, di ammoniaca, perché abbiamo la scienza e la tecnologia digitale che ci permette tutto ciò. Questo chiaramente implica un investimento importante e quindi le aziende e le filiere vanno a mio avviso più accompagnate. Molti agricoltori e molte imprese zootecniche sono pronte a fare un salto di qualità in questo senso, ma c’è una fetta di questa filiera che non può permetterselo, perché appunto non ha una taglia critica o la capacità di farlo. Non è possibile lasciare delle aziende che ancora inquinano, proprio perché vanno ad intaccare l’immagine di tutta una filiera. Lì ci vuole il coraggio politico, a mio avviso, di creare dei fondi di riconversione quando è necessario e riconvertire queste imprese”.

Lo chiedono gli stessi agricoltori: “Un agricoltore che ha investito, che è virtuoso, quando vede un collega che spande liquami in modo illegale, sa che quello è un danno all’immagine molto importante per la filiera e quando si perde la battaglia con l’opinione pubblica poi ci troviamo con delle scelte politiche scellerate”, continua Avanza: “Come quella che ha fatto l’Olanda, per esempio, di diminuire del 30% i capi in tutti gli allevamenti, a prescindere da quali allevamenti e da quanto un’azienda avesse fatto per azzerare le sue emissioni. Sono tipicamente delle scelte ideologiche che poi, nella pratica, non portano al risultato sperato. Perché se si tagliano i capi in un’azienda virtuosa tanto quanto in un’azienda inquinante non si diminuiscono né si azzerano le emissioni. Dobbiamo avere il coraggio di dire che intensivo non è una parolaccia, quando è associato alla sostenibilità. Oggi possiamo produrre di più per ettaro, con meno fertilizzanti, meno pesticidi, meno acqua e soprattutto possiamo integrare gli scarti agricoli quando siamo in economia circolare. Le scelte sulla direttiva emissioni vanno in una direzione sbagliata, sia come messaggio, che come applicazione reale sul territorio”.

Per il momento, la IED è una proposta della Commissione con applicazione al 2027, arrivata al Parlamento europeo e oggetto di discussione. “Effettivamente il tempo per imparare come funziona questa direttiva ci sarà, però rimane il fatto che 150 UBA non hanno alcun senso”, spiega la Consigliera politica di Renew Europe: “Speriamo che il Parlamento e il Consiglio riescano a rialzare queste soglie. Il relatore ha già fatto sapere che vorrebbe aumentare la soglia a 600 UBA, che sembra già un livello più logico. Ci sarà poi tutto un lavoro di preparazione delle filiere, per le aziende che superano quella soglia, per potersi mettere a norma senza metterne in pericolo la sopravvivenza.”

La #SovranitàAlimentare può avvenire solo a livello europeo, perché non abbiamo una sola #agricoltura, ma abbiamo #SistemiAgricoli e agricolture diverse. Condividi il Tweet

Infine, c’è la questione sovranità alimentare, da non sottovalutare soprattutto in questo periodo storico. Anche su questo, Caterina Avanza ha le idee molto chiare: “Può avvenire solo a livello europeo, perché non abbiamo una sola agricoltura, ma abbiamo dei sistemi agricoli e delle agricolture, che se integrate con una politica agricola comune o degli interessi comuni e con una strategia a lungo termine comune, possono riportare l’Europa alla sovranità alimentare. Non potremmo mangiare solo con le agricolture del nord, perché il clima non permette di produrre meloni in Irlanda, mentre lo permette in Italia e Spagna. Non esistono i dogmi del nord Europa verso quelli del sud Europa, ma esistono tanti sistemi agricoli integrati che consentono agli europei di avere un’alimentazione sana, e un’agricoltura che, di fatto, è la più sostenibile al mondo”.

Giornalista specializzato in sostenibilità, cambiamento climatico e temi ambientali, scrive per diversi giornali, riviste e siti Web. Da una decina di anni è molto attivo sia come relatore che come moderatore presso eventi sempre legati alla sostenibilità ed alla green economy. Laureato in sociologia, fra i temi su cui focalizza il suo lavoro spiccano gli impatti delle produzioni alimentari, a partire da quelli legati alla zootecnia ed ai cibi animali. A fine 2018 ha pubblicato il libro “In difesa della carne”, edito da Lindau.