La poesia ecfrastica bizantina. Da Paolo Silenziario a Costantino Rodio

Continua il terzo ciclo de “I lunedì del classico”, nel settimo incontro sono intervenuti Claudio De Stefani e Gioacchino Strano

Carlotta Fortuna (foto di Alfio Russo)

Ekphrasis, ovvero “descrizione”, è una parola greca apparentemente enigmatica intorno a cui ruota la definizione dei caratteri essenziali della poesia ecfrastica.

Un genere letterario che, come altri, affonda le radici nella Letteratura greca antica, a partire dai versi formulari omerici, fino a percorrere le tappe temporali che lo condurranno infine alla sua massima fioritura nell’età bizantina, a Costantinopoli sotto il dominio dell’imperatore Giustiniano.

Una poesia affascinante, descrittiva e fortemente sinestetica che ha l’obiettivo di trascinare chi legge o chi ascolta - nel caso delle letture pubbliche - in una dimensione totalmente immaginaria, ma frutto di una vivida figurazione, in cui l’oggetto sono le opere d’arte, le persone, i monumenti oppure anche gli accessori, i quali vengono “disegnati” dall’abile penna dell’autore, che, con attenzione, ne ripercorre le superfici e ciascun elemento ornamentale.

A completare il quadro incorrono riferimenti alle percezioni sensoriali e ad attimi di movimento intorno al caso esaminato, in modo da ricostruire un’atmosfera quanto più sensibile e dinamica possibile, quindi realistica.

Dunque, la ekphrasis è ciò che restituisce al pensiero di ciascuno quanto non si può toccare o vedere concretamente; e ne consegue l’utilizzo di uno stile di scrittura originale che è riscontrabile soprattutto all’interno di composizioni letterarie intorno ad edifici sacri. Esemplare in questo ambito è il caso della Basilica di Santa Sofia e della Basilica dei Santi Apostoli, cui dedicarono rispettivamente i propri versi i poeti Paolo Silenziario e Costantino Rodio.

Basilica di Santa Sofia

Basilica di Santa Sofia in Turchia

Ciò costituisce il tema che hanno presentato al pubblico e su cui hanno argomentato i docenti Claudio De Stefani dell’Università di Trieste e Gioacchino Strano dell’Università di Catania, nel corso del settimo appuntamento dal titolo La poesia ecfrastica bizantina. Da Paolo Silenziario a Costantino Rodio.

Un incontro organizzato nell’ambito del terzo ciclo de I lunedì del classico, promosso dai docenti Monica Centanni, Paolo B. Cipolla, Giovanna R. Giardina, Orazio Licandro e Daniele Malfitana.

Ad aprire i lavori nell’Aula A2 del Monastero dei Benedettini del Dipartimento di Scienze umanistiche è stato il docente Gioacchino Strano che ha elaborato una definizione di poesia ecfrastica, partendo dalle origini del genere letterario, inoltrandosi poi nel campo della retorica, sino all’elencazione dei suoi caratteri generali.

«Nel campo della retorica la poesia ecfrastica è un genere ampio e fa riferimento a persone, fatti, luoghi e periodi, come ad esempio le carestie, le pestilenze, le stagioni della natura e successivamente anche alla descrizione verbale di monumenti, soprattutto gli edifici sacri, definendo così la periegesi», ha spiegato il docente dell’ateneo catanese.

«È necessario immaginare un movimento che parte dall’esterno all’interno tramite una successione di quadri nello spazio e nel tempo – aggiunge -, da ciò si delinea la fictio, ovvero la finzione di testo, per cui il poeta promuove l’idea di trovarsi davanti e dentro l’edificio, evocando immagini, suoni, ma soprattutto colori, che serviranno a suscitare emozioni e sensazioni nel pubblico di ascoltatori e di lettori. Il poeta, facendo abile uso delle parole, assimilabili a pietre di costruzione diventa, dunque, un architetto».

Un momento dell'incontro

Un momento dell'incontro

«In questo incontro, degni di attenzione, abbiamo approfondito due esempi di ekphrasis monumentale, ovvero due composizioni poetiche (otto epigrammi e due poemetti) sulla Basilica di Santa Sofia, oggi divenuta Moschea, realizzate da Paolo Silenziario, autore di VI secolo d.C., e una sulla Chiesa dei Santi Apostoli, ad oggi non pervenutaci, di Costantino Rodio, del X secolo d.C., entrambe ubicate nella città turca di Istanbul», ha detto il prof. Gioacchino Strano in chiusura di intervento.

A seguire il prof. Claudio De Stefani ha precisato che «gli autori dei due testi esaminati sono separati tra loro non solo sul piano temporale, intercorrono, infatti, quattro secoli di differenza, ma soprattutto su quello stilistico».

«Il primo Paolo Silenziario adopera il verso dell’esametro e in parte il trimetro giambico, mentre, l’altro, Costantino Rodio, il dodecasillabo bizantino – ha aggiunto -. La singolarità di questi due casi, tuttavia, risiede nel fatto che l’autore del secondo poema è in realtà anche lo scriba del manoscritto che ci conserva il primo - conservato ad oggi nell’Antologia palatina, libro XV - per cui egli si rivela un imitatore dello stesso, nonostante quello stile non venisse più studiato nella scuola bizantina».

E sulla differenza tra i due autori nell’ambito dell’ekphrasis, il docente dell’ateneo di Trieste spiega che «per quanto concerne la descrizione della Basilica di Santa Sofia, scritta in lingua greca e tradotta in turco e in italiano, quella di cui disponiamo è la più curata che esista, in quanto comprende anche parti che non ci sono pervenute».

Un momento dell'intervento del prof. Gioacchino Strano

Un momento dell'intervento del prof. Gioacchino Strano

«La descrizione, purtroppo giuntaci incompleta, della Basilica dei Santi Apostoli, commissionata da Costantino Porfirogenito, è invece di difficile traduzione, a causa della pletora di espressioni nominali che sostituiscono quelle verbali, per cui non esistono epiteti ornanti, ma ognuno ha una funzione verbale – spiega -. È uno stile molto particolare che fa uso di un linguaggio ricercato e monotono e che descrive continuamente il colore, caratteristica della tarda antichità».

«Tuttavia – ha precisato il docente - il fulcro di interesse scaturito da questo testo risiede anche nello scandagliamento generale dei cosiddetti mirabilia, che abbellivano la piazza di Costantinopoli, ovvero l’antico opistodromo, come ad esempio la colonna serpentina, la colonna di Costantino VI e l’obelisco di Teodosio III».

E sulla storicità alla base dei testi il prof. Claudio De Stefani spiega che «per comprendere con maggior completezza il quadro espositivo è necessario delineare cronologicamente il percorso che conduce ad interessarci e a studiare queste due Chiese».

«La Basilica dei Santi Apostoli rappresentava il simbolo della città ed era stata fatta edificare per la prima volta dall’imperatore Costantino I – racconta – e, inoltre, era stata concepita in origine per ospitare le reliquie dei dodici apostoli, ma solo successivamente assunse la funzione di mausoleo per ospitarvi le sepolture di molti imperatori».

Un momento dell'intervento del prof. Claudio De Stefani

Un momento dell'intervento del prof. Claudio De Stefani

«Nei secoli avvenire subì numerose ristrutturazioni e talvolta ricostruzioni vere e proprie, come ad esempio quella operata dall’imperatore Giustiniano. Ciononostante, in seguito alla conquista ottomana, la meraviglia cristiana, venne abbattuta per dare spazio alla costruzione della moschea di Fatih», ha aggiunto.

«La Basilica di Santa Sofia è frutto di una serie di ricostruzioni effettuate sulle macerie di edifici sacri più antichi: si parte da un primo caso, dedicato al Logos, Gesù Cristo il Salvatore, di dubbia attribuzione, sino ad arrivare a quella commissionata dall’imperatore Teodosio II, incendiata poi a causa della rivolta di Nika del 532 – ha continuato -. Infine, è stata ricostruita prendendo il nome di Santa Sofia, ma anche quest’ultima subì ulteriori danni, significativo è il crollo della grande cupola, causato dai terremoti verificatisi tra il 553 e il 558».

«Proprio in occasione della sua riconsacrazione è stato convocato Paolo Silenziario, il quale nella sua opera stila un’accurata descrizione della processione, finchè non vi fu edificata sopra la Grande Moschea Benedetta della Santa Sofia», ha detto in chiusura di intervento.

Dunque, in conclusione, l’ekphrasis poetica rappresenta un portale d’accesso per gli storici dell’arte e della cultura bizantina, ma soprattutto per gli studenti, ad un variegato bagaglio di conoscenza figurativa e sensoriale, ponendo in relazione pubblico dell’epoca e attuale, attraverso la visione.