Pulcinella nella storia del teatro napoletano - Terronian Magazine

Pulcinella nella storia del teatro napoletano

di Francesco Bartiromo

 

Il personaggio di Pulcinella è di sicuro uno dei principali simboli della cultura napoletana, tra le maschere più rappresentate nelle antiche tradizioni carnevalesche: essendo un elemento fondamentale della cultura teatrale partenopea la sua fama trascende il Carnevale stesso.

Pulcinella incarna i tipici tratti della personalità popolare napoletana: furbizia, irriverenza, ironia, sarcasmo, generosità. È il simbolo del riscatto del popolo che si fa beffe dei potenti con l’arma della satira, riuscendo a mantenere il sorriso anche nelle situazioni più difficili, come da secoli è abituato a fare il popolo napoletano.

Le origini del personaggio di Pulcinella sono molto antiche. Sebbene la sua “creazione” venga ufficialmente attribuita al commediografo seicentesco Silvio Fiorillo, risalirebbero addirittura all’epoca romana precristiana. Infatti secondo alcuni studiosi Pulcinella potrebbe derivare dalla figura di Maccus, personaggio ghiottone, panciuto e dal lungo naso, perennemente affamato, appartenente alle Atellane, antiche forme teatrali dialettali recitate in dialetto “osco” (antica lingua autoctona dei popoli dell’entroterra campano), rappresentazioni molto apprezzate al tempo dell’impero romano.

Maccus assieme a Bucco, Kikirrus, Dossennus e Pappus, è una delle cinque maschere fisse delle Atellane. La tematica principale di questa antica forma teatrale osca era costituita da scenette di genere, briose e realistiche, basate sul contrasto fra tipi fissi, quali il padrone avaro e il servo geloso, il contadino sciocco e il passante intelligente, il vecchio innamorato e il giovane rivale, nelle quali i personaggi erano generalmente caratterizzati, oltre che da una precisa personalità, da una “maschera” dai tratti ben definiti.

Tra queste Maccus è senza dubbio la più nota, forse proprio per il suo frequente accostamento a Pulcinella. Come la famosa maschera partenopea, Maccus (la cui etimologia è da ricondurre secondo alcuni al greco maccoan che significa letteralmente “fare il buffone”), era anch’egli un personaggio balordo, irriverente, ghiottone, sempre innamorato, e per questo spesso beffeggiato e malmenato, caratteristiche queste che ritornano con ulteriori tipizzazioni nelle raffigurazioni di Pulcinella. Anche se altri studiosi lo accosterebbero invece alla figura di Kikirrus, per via del suo verso stridulo simile ad un gallo (difatti il nome Pulcinella potrebbe derivare anche da pulcino).

Pigro, vorace, perennemente affamato, opportunista, sfrontato, chiacchierone, bastonatore spesso bastonato, Pulcinella è la personificazione comica dell’abbandono popolaresco a tutti gli istinti. Ma col tempo la maschera subisce una significativa evoluzione trasformandosi nel simbolo universale della napoletanità, di cui incarna l’esuberanza, il virtuosismo mimico e canoro, lo spirito ironico, furbo, generoso coi poveri e sarcasticamente spietato coi potenti.

La creazione ufficiale della maschera di Pulcinella è comunque attribuita all’attore capuano Silvio Fiorillo (1560-1632), che si ispirò alla figura di Puccio d’Aniello, contadino di Acerra vissuto nel Cinquecento che decise di seguire una compagnia errante di guitti di passaggio nel suo paese unendosi come buffone. Pare che Fiorillo abbia visto l’attore cinquecentesco ritratto in un celebre quadro del pittore bolognese Ludovico Carracci (1555-1619) che ritrae il comico Puccio d’Aniello con la faccia scurita dal sole della campagna e dal naso ricurvo e pronunciato. Lo stesso nome non sarebbe altro che una sua abbreviazione: Puccio d’Aniello, Pulcinella, in napoletano Pullicenella.

Silvio Fiorillo rappresentò il personaggio di Pulcinella raffigurandolo con una maschera nera dal naso lungo e curvo, panciuto con largo camiciotto bianco da facchino, con lunghi baffi, barba incolta e un cappello bicorno, interamente vestito di bianco. Egli seppe infondere notorietà alla maschera di Pulcinella portandola in scena in numerosi teatri in quasi tutta la penisola, approdando fino in Nord Italia, ove divenne antagonista per eccellenza di Arlecchino, maschera bergamasca raffigurante lo stereotipo del servo sciocco e credulone, cui si contrapponeva il più astuto e irriverente Pulcinella.

La maschera di Pulcinella nei secoli successivi è stata poi rappresentata da numerosi attori, come Andrea Calcese (contemporaneo di Silvio Fiorillo) e Michelangelo Fracanzani, che nel 1685 portò la maschera di Pulcinella nei teatri parigini, e Pasquale Altavilla nell’Ottocento.

Ma il più celebre “pulcinella” della storia del teatro napoletano è di sicuro Antonio Petito (Napoli, 1822-1876). A lui si deve la “revisione” del personaggio, rappresentato col volto pulito (senza più barba e baffi), dal cappello a “pan di zucchero” al posto del berretto bicorno, e soprattutto dalla nuova caratterizzazione che vede un Pulcinella meno ingordo e più altruista, simbolo della ribellione del popolo napoletano che con la satira si fa beffe dei potenti.

Il nuovo Pulcinella incarna il tipico servo napoletano ironico e irriverente, il personaggio che, cosciente dei problemi in cui si dibatte, riesce sempre ad uscirne con un sorriso, prendendosi gioco dei potenti pubblicamente, svelando tutti i retroscena delle vicende. Difatti il tipico “segreto di Pulcinella” che si riferisce al “falso segreto”, all’ovvietà di un fatto, deriva proprio dalla sua capacità intrinseca di mettere in piazza la verità e i segreti più nascosti dei potenti che schernisce pubblicamente nelle sue satire.

Ma probabilmente il vero segreto di Pulcinella è la sua “maschera”: qualunque cittadino napoletano  con tale maschera diventa un pulcinella e si libera dei pregiudizi e pertanto approfittando della maschera può comportarsi come vuole secondo la propria convenienza. Libero di diventare da approfittatore ad eroe, da buffone a difensore della causa.

Al di fuori della commedia dell’arte la figura di Pulcinella ha avuto una sua evoluzione autonoma nel teatro dei burattini, ove le sue caratteristiche tipiche vengono ulteriormente estremizzate.

Infatti il Pulcinella burattino non è più servo e servitore, ma un vero e proprio simbolo di libertà, soprattutto di libertà intellettuale, un antieroe ribelle e irriverente, alle prese con le avversità del quotidiano e i nemici più improbabili, raffigurati nei burattini più bizzarri. Il Pulcinella delle guarattelle è un protagonista assoluto, che affronta e sconfigge tutti i suoi avversari a manganellate.

L’ultimo grande pulcinella del Novecento è stato Salvatore De Muto (1876-1970) che portò la maschera in scena fino all’inizio della Seconda Guerra mondiale, evento che lo spinse a smetterne i panni. In seguito Eduardo De Filippo lo convinse a indossare di nuovo la maschera di Pulcinella, volendolo accanto a sé all’inaugurazione del teatro San Ferdinando del 1954, ove De Muto impersonò Pulcinella per l’ultima volta.

De Muto con Eduardo
De Muto con Eduardo

Lo stesso Eduardo indossò più volte la maschera di Pulcinella in alcune sue rappresentazioni teatrali. Celebre è la sua interpretazione cinematografica nel film del 1959 Ferdinando I Re di Napoli diretto Gianni Franciolini, in cui recitano anche Peppino e Titina De Filippo.

Nella pellicola Eduardo impersona un Pulcinella che utilizza i suoi spettacoli teatrali per sbeffeggiare pubblicamente il re Ferdinando divenendo un idolo per i popolani che mal sopportano il sovrano. Una interpretazione in cui è evidente l’ispirazione al celebre Pulcinella di Antonio Petito, paladino dei napoletani nell’Ottocento.

mascheraPulcinella