Don Winslow all’Arena Robinson Repubblica: “Il noir è come l’Iliade” - la Repubblica

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Don Winslow all’Arena Robinson Repubblica: “Il noir è come l’Iliade”

Don Winslow all’Arena Robinson Repubblica: “Il noir è come l’Iliade”

Sarà nostro ospite a Torino con Maurizio Crosetti venerdì 10 maggio alle 12, per l’incontro “Città in rovine: il commiato di un grande scrittore”. Ci trovate al Padiglione 3 (R102, S101)

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Don Winslow è il tragico greco della crime fiction moderna. Una delle ultime occasioni per ascoltarlo in pubblico sarà il Salone del Libro di Torino, come ospite nell’Arena Robinson Repubblica. Dopo questo breve tour italiano (che fa seguito a un altrettanto sobrio e recente giro nelle librerie americane) l’autore — come annunciato da tempo — poserà la penna per dedicarsi alla battaglia politica, allo scopo di contrastare la rielezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti.

«Non sarò Taylor Swift ma ho pur sempre due milioni di follower. Non posso rimanere sul divano a guardare, è in gioco la democrazia» ha recentemente dichiarato, fiducioso di poter gettare il suo peso sulla bilancia degli avvenimenti politici.

Don Winslow è uno scrittore che ha il fiato di chi pratica surf negli oceani, sua grande passione. Procede per trittici letterari, per ampie trilogie. È diventato famoso per un monumentale complesso di tre opere dedicate ai cartelli dei narcotrafficanti messicani (Il potere del cane, Il cartello, Il confine, tutti per Einaudi), definiti da James Ellroy “il Guerra e pace del nostro tempo”. E successivamente ha sfornato un secondo tris per HarperCollins: Città in fiamme, Città di sogni, Città in rovine, il cui ultimo atto, fresco di stampa italiana, verrà a presentare proprio al Salone di Torino.

Se la prima trilogia ha messo le ali nel mercato editoriale anche grazie al successo di serie tv di analogo argomento (Narcos su tutte), la seconda saga affonda le radici nella stessa infanzia dell’autore, cresciuto in un villaggio di pescatori nel Rhode Island, teatro della scalata delle mafie italiane, ebraiche e irlandesi in America, scenari cari al Martin Scorsese di Gangs of New York e all’epopea televisiva di culto dei Soprano.

Ma Don Winslow ha aggiunto alla materia una marcia in più. Diligente fino allo sfinimento (ha dettato su un recente Robinson la sua ricetta per ogni scrittore: almeno cinque pagine al giorno, sempre, immancabilmente, pure di notte, anche quando sei sfinito), per preparare il secondo trittico ha addirittura studiato il latino, si è immerso nello studio dei classici e si è iscritto a impegnativi corsi online su Virgilio e la tragedia greca. Ha maturato così il convincimento che il crime ha temi in comune con l’Iliade, l’Odissea, l’Eneide: il senso dell’onore, il fato, la vendetta. Alla fine, apertamente, si è rifatto alle opere di questi giganti (molte le citazioni) per raccontare la scalata e la successiva implosione del suo personaggio, l’antieroe Danny Ryan.

Il terreno battuto anche per questa epopea è rimasto quello di sempre. Don Winslow è costantemente sulle tracce di una costruzione realistica delle storie («la mia precedente trilogia messicana era quasi un documentario» ha affermato), cui concede una sola deroga: la necessità di rendere avvincente e non didascalica la narrazione.

Quattro decenni di opere: il primo romanzo lo ha scritto a diciannove anni. Autore mai domo, Winslow ha affiancato alle due trilogie un’altra messe di lavori, che non impallidiscono affatto, se paragonati ai libri “maggiori”: basti citare gli amatissimi L’inverno di Frankie Machine del 2008, Satori del 2011, il capolavoro Corruzione del 2017, e poi le altre “serie”: quella di Frank Decker (due libri), le avventure di Ben, Chon e Ophelia (Le belve del 2011 e I re del mondo dell’anno successivo), le indagini di Neal Carey (cinque uscite aperte con London Underground), le avventure del detective Boone Daniels (La pattuglia dell’alba del 2010, L’ora dei gentiluomini di sei anni dopo), la raccolta di racconti Broken.

Lo scrittore è talmente esasperato di modernità (nonostante il richiamo ai classici della letteratura di ogni tempo) che si rifiuta di distinguere tra fiction cinematografica e scrittura. Per lui, come ha sempre sostenuto, sono la stessa cosa e rivestono la medesima importanza. Ha già lavorato come sceneggiatore in tre pellicole tratte dai suoi lavori (Satori, Le belve, Bobby Z il signore della droga) mentre oggi sono imminenti una serie tv ispirata alla sua Cartel Trilogy e un film dedicato a Danny Ryan.

Crudo, sconvolgente, adrenalinico, a volte straziante fino a spezzare il cuore, Don Winslow è anche un abile alchimista della parola: una scena dalla violenza insopportabile sarà sempre compensata da dosi di umorismo e umanità. Un equilibrio che funziona tanto nella pagina scritta che in un racconto per immagini. In questo, più che avere il surrealismo del Quentin Tarantino di Pulp Fiction o Kill Bill come riferimento, l’autore resta dalle parti di quell’America che nel 1995 produsse, a firma del regista Bryan Singer, il film premiato agli Oscar I soliti sospetti, con la leggendaria figura shakespeariana del criminale Keyser Söze.

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