Emilia Perez Recensione

Emilia Pérez: la recensione del film di Jacques Audiard in concorso al Festival di Cannes

18 maggio 2024
2.5 di 5

Una storia decisamente originale nata come mélo lirico viene portata al cinema, sprecando però tante occasioni e senza che diventi coinvolgente e trascinante. La recensione di Emilia Pérez di Federico Gironi.

Emilia Pérez: la recensione del film di Jacques Audiard in concorso al Festival di Cannes

Il nuovo film di Jacques Audiard è un musical. Un musical ambientato in Messico. Un musical ambientato in Messico con Zoe Saldana e Selena Gomez. E, attenzione, un musical ambientato in Messico con Zoe Saldana e Selena Gomez che parla del più feroce e ricco narcotrafficante del paese che decide di cambiare sesso e diventare donna, e dell’avvocata che l’aiuta nel gestire la cosa, prima e dopo, nella più totale segretezza.
Ora, se questa stringatissima trama vi pare vagamente parodistica, o invece geniale, non sarò certo io a darvi torto. Questo, d’altro canto, non significa affatto che Emilia Pérez (che poi è il nome assunto dal narco dopo la transizione) sia un film ridicolo, né d'altronde un capolavoro. I problemi o i meriti del film, peraltro non privo di ironia, non hanno niente a che vedere con la sua trama, che pure cavalca con una certa qual furbizia alcune questioni di grande attualità nel dibattito pubblico mondiale.

La storia di questa transizione, e delle sue conseguenze, viene declinata da Audiard da un lato con un certo schematismo un po’ facilone (il maschio violento e criminale, la donna gentile che decide di fare ammenda per il suo passato mettendo in piedi una ONG che aiuta le famiglie delle tante persone scomparse in Messico a trovare i loro familiari, vivi o meno che siano) e privo di sfumature; dall’altro questa stessa dialettica, nel riemergere nel presente della protagonista alcuni fugaci istinti e ricordi dell’uomo che è stata, apriva nel film orizzonti di possibilità e riflessione a cui Audiard sembra quasi voler poco più che accennare, senza mai approfondire.
La spagnola Karla Sofía Gascón è Emilia. Saldana appare nel ruolo dell’avvocata che accetta l’offerta del narcotrafficante, un personaggio in qualche modo sempre sacrificato nelle sue potenzialità, asservito a una figura che torna nella sua vita anche dopo la transizione per chiederle di aiutarla a riprendere possesso dei suoi figli, rimandendo poi al suo fianco come braccio destro. Gomez è la moglie del narco, ignara di tutto, che dopo un esilio in Svizzera, torna in Messico a vivere con quella che si presenta come la cugina del marito che crede morto, e che riallaccerà una relazione con un vecchio amante, suscitanto gelosia in Emilia, che pure ha iniziato una relazione con una donna conosciuta tramite la sua ONG.

A giustificare i (non troppi, ma nemmeno troppo pochi) numeri musicali, così come certe caratterizzazioni dei personaggi, e un finale ovviamente tragico, ma che spreca tantissime potenzialità narrative, il fatto che nella mente di Jacques Audiard, alla sua prima sceneggiatura in solitaria, la storia di Emilia Perez sia nata prima di tutto come un’opera lirica in quattro atti.
Ma, al contrario di quanto accade nella lirica, Emilia Pérez non ha potenza emotiva, non riesce a far provare passioni e emozioni nei confronti dei personaggi che mette sulla scena, a partire dalla sua protagonista e dai suoi patimenti.
C’è, a tratti, della tensione, che però a Audiard interessa poco, e che dissipa immediatamente per seguire le vicende quotidiane, melodrammatiche o quasi comiche, dei suoi personaggi. Nemmeno i momenti di canto o le coreografie, pure ben eseguite da un regista che il cinema lo sa mettere sullo schermo, non sono trascinanti. E Emilia Pérez appare ai miei occhi come una grande occasione sprecata, come un film in cui non si è osato fino in fondo, qualunque fosse davvero la strada che Audiard voleva percorrere.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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