GALILEI, Vincenzo in "Enciclopedia Italiana" - Treccani - Treccani

GALILEI, Vincenzo

Enciclopedia Italiana (1932)

GALILEI, Vincenzo

Gastone ROSSI-DORIA

Musicista, nato verso il 1533 da nobile famiglia a Firenze, e ivi morto alla fine di giugno del 1591. Nelle discipline musicali ebbe maestro, in Venezia, Gioseffo Zarlino da Chioggia, il maggior teorico del tempo, col quale doveva in seguito trovarsi in disputa su questioni di armonia. A tale scuola possiamo del resto connettere il vivo interessamento dimostrato dal G. in tutta la sua vita per i problemi della teoria. Il G. doveva gran parte della rinomanza da lui goduta nel suo tempo anche alla sua singolare valentia nel liuto e nella viola, e così anche egli era tenuto in grande considerazione come compositore di musiche per canto e per strumenti. Ora, non si può attribuire con sicurezza il merito dell'educazione del G. nell'arte del liuto e della viola allo stesso Zarlino mentre dobbiamo ricordare che il fiorentino G. si trovava, in Firenze, nel seno d'una secolare tradizione di "cantori al liuto" (quella stessa cui apparteneva il maestro di G. Caccini, Scipione della Palla). In Firenze, del resto, il G. rimase per tutta la sua vita, contribuendo al fervore di studî e d'arte che adunava alla corte dei Medici i più illustri umanisti, poeti e musici di Toscana. Nel 1562 il G. condusse in moglie Giulia Venturi degli Ammannati, dalla quale ebbe Galileo (v.).

Dei tre elementi che concorsero alla formazione della coscienza artistica di V. G.: avviamento zarliniano alla teoria, arte liutistica fiorentina e umanesimo, va tenuto egual conto per intendere l'orientamento dottrinario e artistico del teorizzatore e iniziatore della monodia.

Come i tempi esigevano, base della scrittura musicale del G. fu il contrappunto, né del resto il contrappunto fu mai completamente eseluso dalla pratica componistica dei maestri della Camerata fiorentina. Così anche il primo stile del G. si giovava della scrittura a parti, e ancora nel 1574 e poi nel 1587 ne vediamo pubblicare saggi significativi in due libri di madrigali a 4 e a 5 voci. Ma immediatamente dobbiamo avvertire che, presso i liutisti e i "cantori al liuto" del contrappunto non si osservavano sempre i valori suoi proprî, inerenti al vario movimento delle parti, mentre spesso (tanto per la natura dello strumento quanto per la vaghezza di canto, di melodia pura, che di anno in anno alla fine del '500 sempre più si faceva sentire) il tessuto contrappuntistico si sommetteva al risalto d'una sola parte. E liutista valente, anche se minore di quel ch'egli stesso abbia voluto dirsi, era il G. e cantore assai pregiato. Nel 1563 egli pubblicò, anzi, un volume d'intavolature di liuto, e nel 1568 (d'una prima edizione, 1563, non abbiamo documenti) un dialogo, intitolato Fronimo, sull'arte d'intavolare per i varî strumenti e specialmente per il liuto, con pagine sue e di altri maestri. Giunto al Galilei, il contrappunto perde, in ultima analisi, il suo carattere di necessità lirica, e in pratica (confermata dall'esecuzione al liuto) si risolve in una musica già prossima alla "monodia accompagnata" che a Firenze stava per determinarsi così nella teoria come nella composizione stessa. Sotto l'influsso dell'umanesimo, che solo nel maturo Cinquecento giunge alla musica, il G. giustifica la sua incomprensione del contrappunto appellandosi ai Greci, dei quali egli studia le teoriche (frammenti di Aristosseno, di Tolomeo, di Aristotele erano stati tradotti nel 1562) e cerca di seguire praticamente il modello. Nel 1581 egli pubblicò, dedicandolo a Giovanni de' Bardi (v.), un Dialogo della musica antica et della moderna, nel quale contrappone alla "barbarie" della polifonia la nobiltà della musica antica identificata con la monodia, e al dialogo unisce i tre inni di Mesomede (v.), da lui scoperti. A questo manifesto egli diede un concreto sussidio con alcuni saggi di musica monodica: dapprima su versi di Dante (Conte Ugolino), a una voce con accompagnamento di viola, poi su frammenti delle Lamentazioni di Geremia e su testi liturgici. Tali saggi di monodia valsero a chiarire gl'intendimenti espressi nel dialogo, sì che molti furono attratti a concorrere alla diffusione del movimento iniziato dal G.: tra di essi, oltre al Bardi che già aveva incoraggiato l'artista, erano il Corsi, il Peri e il Caccini ed E. del Cavaliere, il quale con le due pastorali del 1590 introduceva (secondo sicure testimonianze) la monodia nel teatro, in quello stile che ebbe poi il nome di "rappresentativo".

Così il rinnovamento appena iniziato dal G. viene a concretarsi in espressioni d'arte ben più forti e durature presso gli altri artisti del tempo, appartenenti o no alla Camerata fiorentina, e in breve giro d'anni si diffonde dappertutto quasi incontrastato.

Negli ultimi anni della sua vita il G. si trovò a disputare col vecchio suo maestro, G. Zarlino, circa i sistemi di Pitagora e di Tolomeo, e consegnò le sue ragioni in un Discorso intorno alle opere di Messer Gioseffo Zarlino da Chioggia, pubblicato prima nel 1589 e poi - postumo - nella 2ª edizione (1602) del Dialogo della musica antica et della moderna.

Bibl.: Oltre alla bibl. relativa alla monodia e allo stile rappresentativo (v. bardi; caccini; cavaliere; monodia; opera; ecc.), v. O. Chilesotti, Il primo libro di liuto di V. G., in Rivista mus. ital., 1908; id., Di N. Vicentino e dei generi greci secondo V. G., ibid., XIX; O. Fleissner, Die Madrigale V. G.s und sein Dial. della musica antica et della moderna, Monaco 1921-22 (diss. di laurea).

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