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Ode all’“altro” Venditti: non il cantautore, ma l’interprete

Come fa Antonellone a rendere vendittiana qualsiasi cosa, dai Crowded House a Christina Aguilera?
Ode all’“altro” Venditti: non il cantautore, ma l’interprete

Say something” diventa “Di’ una parola”. E già così viene voglia di chiudere tutto e dirgli: “Ok, Antonello, hai vinto tu”. Ma c’è di più. Prendiamo i versi del testo: “And I am feeling so small / it was over my head I know nothing at all / and I will stumble and fall / I’m still learning to love, just starting to crawl”, cantavano Ian Axel degli A Great Big World e Christina Aguilera nel 2013 nella strofa originale della loro hit. Riscritti in italiano da Venditti, i versi diventano un’altra cosa: “Lo so, la vita è così / lei ci mischia le carte, confonde le idee / e poi decide per noi / continuare ad amarsi non dipende da noi”.

C’è un’esistenzialismo, uno spessore, che nell’originale era del tutto assente: non è un semplice adattamento, .è un testo originale, nuovo. Che ambisce ad essere considerato un piccolo capolavoro di maestria.

Chi alla vigilia aveva storto il naso, bollando l’operazione sulla carta come poco convincente (ma perché uno che ha scritto alcune delle pagine più importanti del cantautorato pop italiano, da “Notte prima degli esami” a “Sotto il segno dei pesci”, arrivato a questo punto della sua carriera deve mettersi a ricantare in italiano un’americanata di dieci anni fa?, ci si chiedeva, anche lecitamente), dimenticava i due precedenti, entrambi straordinari, di Venditti. Da un lato “Alta marea”, sublime versione in italiano di “Don’t dream it’s over” dei Crowded House datata 1991, diventata forse la più grande hit della carriera del 75enne cantautore romano. Dall’altro “Prendilo tu questo frutto amaro”, geniale rivisitazione di “Bitter fruit” di Little Steven contenuta nell’omonimo album del 1995, dove “I was born lucky they always say, I work in these fields of plenty” diventò “È una questione politica, ‘na grande presa pe’ il culo” (a chiudere il cerchio del nuovo impegno politico negli anni dei grandi scandali che sfociarono in Tangentopoli che Antonellone aveva aperto nell’’88 con “In questo mondo di ladri”).

Ma c’è qualcosa che va oltre la scrittura, oltre il testo. È l’interpretazione di Antonello Venditti, in “Di’ una parola”, ad essere magica, speciale. Era stato lui stesso ad anticipare: “È una mia versione di ‘Say something’ del duo statunitense A Great Big World con Christina Aguilera, così vendittiana che capiterà quello che è già successo con ‘Don’t dream it’s over’. È dei Crowded House, ma anche un po’ mia da quando è diventata ‘Alta marea’”.

Venditti, che ha raccontato di aver scoperto la hit sui social durante il lockdown (“Stavo scrivendo un album di inediti, l’ho messo in pausa: uscirà a puntate”, ha detto), e di essersene innamorato a tal punto di prendere carta e penna e cominciare a scrivere il testo in italiano, è entrato dentro il pezzo, lo ha indossato come un abito cucito su misura. Sentendoselo addosso con convinzione. .Ha interpretato la canzone non come se fosse una cover, un adattamento, ma come se l’avesse scritta proprio lui. Riuscendo in un’impresa che ad altri cantautori della sua generazione sarebbe risultata impossibile. E se anche ci fossero riusciti, probabilmente il risultato finale non sarebbe stato tanto credibile quanto questo.

La verità è che c’è un Antonello Venditti che per tutti questi anni è stato ingiustamente poco considerato e poco raccontato, che ha vissuto all’ombra dell’autore di pietre miliari del cantautorato italiano come le stesse “Notte prima degli esami” e “Sotto il segno dei pesci”, e poi “Mio padre ha un buco in gola”, “Le cose della vita”, “Lilly”, “Bomba o non bomba”, “Modena”. È l’Antonello Venditti interprete, capace di rendere vendittiana qualsiasi cosa. Chi ha assistito ad almeno uno degli 86 show del tour congiunto con Francesco De Gregori, 400 mila biglietti venduti in due anni, lo sa: è stato sinceramente impressionante il modo in cui Cicalone - così come lo chiamavano gli amici ai tempi del Folkstudio, lo scantinato di via Garibaldi a Trastevere in cui quelli della sua generazione cominciarono a muovere i loro primi passi sui palchi, negli Anni ’60 -

ha interpretato e fatto sue alcune delle più celebri canzoni di De Gregori, da “Sempre e per sempre” a “Bufalo Bill”, passando pure per “La donna cannone”, riproposta piano e voce con tanto di solo di sax, come se fosse un qualunque pezzo del Venditti Anni ’80, il vero padre del dream pop. E no, non è solamente per il fatto di essere stati sempre, nonostante l’allontanamento dopo l’esordio congiunto con “Theorius campus”, due facce della stessa medaglia, i fratelli diversi della musica italiana, l’uno la prosecuzione dell’altro.

Non che le versioni di De Gregori di “Ricordati di me” o “Peppino” non fossero a loro modo speciali: ma sentire Venditti entrare così dentro “Sempre per sempre” fino al punto di emozionarsi, di farsi venire gli occhi stragonfi di lacrime mentre canta con ilsuo celebre vibrato “ricordati, dovunque sei, se mi cercherai, sempre e per sempre dalla stessa parte mi troverai”, e far scoppiare a piangere tutti, rimane qualcosa fuori dal comune per un cantautore. Nella serie “Falegnami & filosofi” che ha anticipato il tour De Gregori diceva: “Antonello è stato più pop di me, nelle intenzioni e anche nei risultati. Io ho sempre viaggiato un po’ schiscio, come dicono a Milano”.

E forse il segreto sta tutto qui, in questa .naturale predisposizione al pop che rende Venditti qualcosa di più complesso che un semplice cantautore, nonostante lui - giustamente - rivendichi di aver “scritto pezzi come ‘Sora Rosa’ e ‘Lilly’”, di aver “fatto battaglie in prima linea”. Tutto giusto e tutto vero, verissimo. Ma quanta poesia c’è nel passaggio di “Di’ una parola”, dopo il crescendo orchestrale, in cui la voce di Venditti rimane isolata e canta: “Lo so, la vita è così / è cadere, rialzarsi e non chiedersi più”?

Scheda artista:   
Antonello Venditti
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