Ugo Tognazzi, l'istrione tragicomico che seppelliva la depressione con una risata - la Repubblica

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Ugo Tognazzi, l'istrione tragicomico che seppelliva la depressione con una risata

A cento anni dalla nascita del grande attore, venuto alla luce a Cremona il 23 marzo 1922, storia dell'uomo dietro la maschera: dai film cult 'Amici miei' e 'Il vizietto' ai capolavori come 'La grande abbuffata', celebrazione dell'indimenticata star che non voleva esserlo

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I titoli più citati della filmografia di Ugo Tognazzi - anche negli articoli e negli speciali televisivi per i cent'anni dalla nascita - sono sempre gli stessi. Sopra tutti Amici miei e Il vizietto: i più premiati dal pubblico, al punto da avere prodotto dei sequel per sfruttarne la popolarità. Però esiste un aspetto più interessante dell'attore cremonese; legato, questo, ai tratti malinconici della sua personalità. E, forse, a quella tendenza alla depressione che avrebbe segnato, triste compagna di strada, gli ultimi anni della sua vita.

I personaggi migliori di Tognazzi sono dei perdenti, antieroi che risalgono vuoi alla cultura ebraica dello schlemihl sia alle pagine di Nikolaj Gogol, in versione moderna e ricontestualizzata ma che ne conserva il tratti fondamentali: l'uomo sfortunato, beffato, destinato alla sconfitta. Proviamo a tratteggiarne un breve percorso, scegliendo i titoli più significativi.

Dopo una quarantina abbondante di film comici e farse, dove Ugo faceva gli occhi strabici a fianco di Totò, Tina Pica o il suo partner Raimondo Vianello, il film della svolta arriva con La voglia matta (1961) di Luciano Salce. Il protagonista è Antonio Berlinghieri, ingegnere sulla quarantina che incrocia per caso la strada di una compagnia di ragazzi, invaghendosi dell'adolescente Francesca (Catherine Spaak). Tutti i tentativi di conquistarla, mostrandosi macho e performante (una gara di nuoto, un'esibizione di culturismo...), nonché la dichiarazione d'amore alla ragazza, si risolveranno in una serie di umiliazioni, portandolo a un finale amaro e sconsolato.

Qualche affinità ritroviamo, sette anni dopo, nella Bambolona di Franco Giraldi, dove l'attore impersona un facoltoso avvocato che s'innamora di una giovanissima popolana, finendone beffato e sfruttato. Tognazzi è perfetto nel ruolo, originariamente pensato per Mastroianni; e non è difficile immaginare che, se Marcello lo avesse accettato, sarebbe stato tutto un altro film. Nel frattempo, Ugo aveva recitato nell'episodio Il pollo ruspante del collettivo Ro.Go.Pa.G. (1963), per la regia di Ugo Gregoretti, impersonando un piccolo borghese 'd'allevamento' convertito, negli anni del cosiddetto boom economico, alla mistica del consumismo fino alla frustrazione e all'infelicità.

E' morto Zaza del 'Vizietto'

Ancor più significativo era stato l'incontro con Marco Ferreri, del quale sarebbe diventato l'interprete preferito in ben otto film (più un episodio) a partire dal censuratissimo Una storia moderna - L'ape regina. Dove Tognazzi è, ancora una volta, vittima di una donna: la moglie Regina, che ne succhia le energie vitali usandolo come un fuco da riproduzione prima di disfarsene. Nell'agra parabola ferreriana La donna scimmia (1964), è un altro uomo senza qualità, Antonio Focaccia, ma questa volta abietto e spregevole, pronto a sfruttare una donna infelice per i suoi miserabili scopi. E se le parti, tra i sessi, qui s'invertono, la caratura da antieroe di Ugo raggiunge l'apice.

Tognazzi torna succube del femminile nell'Harem, del 1967; ma è con La grande abbuffata (1973) che Ferreri impone un geniale cortocircuito tra l'aspetto gaudente di Tognazzi - come si sa appassionato chef e cultore della buona tavola - e il suo cupio dissolvi (e non sarà un caso se anche il personaggio si chiama Ugo). Usando la cucina come strumento di suicidio per sé stesso e i suoi tre compagni.

Ai ruoli di star della commedia all'italiana, all'apice della carriera l'attore cremonese alternò personaggi 'seri' di alto profilo e ottimamente interpretati: e basti citare Il commissario Pepe (1969) di Ettore Scola o il giudice disilluso, alter-ego dell'amico e collega Vittorio Gassman, della commedia drammatica In nome del popolo italiano (1971) di Dino Risi. Però, nel repertorio di character antieroici di cui Ugo fu il massimo esponente negli anni d'oro del nostro cinema, sarebbe imperdonabile trascurarne due: il Primo Spaggiari della Tragedia di un uomo ridicolo (titolo che sintetizza in modo esemplare il carattere dei suoi personaggi più intensi) e il patetico Gigi Baggini di Io la conoscevo bene (1965), con la regia di Antonio Pietrangeli.

Diretto nel 1981 da Bernardo Bertolucci il primo film, che valse a Tognazzi il premio per la migliore interpretazione a Cannes, è la storia di un piccolo industriale caseario parmense sovrastato dagli eventi che, pur essendosi sempre ritenuto inadeguato, deve fronteggiare contemporaneamente il rapimento del figlio e la crisi della propria azienda. Il gogoliano Baggini, struggente capocomico di mezza età, partecipa a una festa di tipi umani mediocri dove il cinico attore Roberto lo induce a improvvisare un numero di claquette (imita con i piedi il rumore di un treno) per farne lo zimbello degli astanti; usandolo poi come paraninfo con Stefania Sandrelli. Stremato dalla fatica e deriso da tutti, infine insultato da Roberto, il pover'uomo non rinuncerà a considerarlo suo amico.