Le macerie delle discoteche abbandonate: 2.100 chiuse negli ultimi 14 anni. “Le più grandi e belle in Europa”. Metà sono banche, McDonald’s, grattacieli e chiese - la Repubblica

Cronaca

Le macerie delle discoteche abbandonate: 2.100 chiuse negli ultimi 14 anni. “Le più grandi e belle in Europa”. Metà sono banche, McDonald’s, grattacieli e chiese

L'interno della discoteca Metropolis di Marina di Cecina (Livorno): inaugurata nel 2007, è stata chiusa nel 2009. Dal sito Dustydancing.com, fotografie di Elsa Mancini e Simone Nanetti
L'interno della discoteca Metropolis di Marina di Cecina (Livorno): inaugurata nel 2007, è stata chiusa nel 2009. Dal sito Dustydancing.com, fotografie di Elsa Mancini e Simone Nanetti 

Il racconto. Ecco che fine hanno fatto il Bandiera gialla di Rimini, il Marabù di Reggio Emilia, il Genux nel Bresciano, L’ultimo Impero in provincia di Torino. Parlano Johnson Righeira, Umberto Smaila e Marcella Bella. “E’ finita un’era e i giovani oggi hanno meno voglia di conoscersi”

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ROMA – Non sventola più bandiera gialla, neppure quella. E anche se la gioventù è ancora bella, come cantava Gianni Pettenati nel 1966, non saprai più che qui – la Rimini di Fellini e della festa che doveva essere per sempre –, si balla. Cinquantotto stagioni e molte generazioni dopo, è Max Pezzali a ricordarcelo: “Ma poi che fretta c'era di chiudere un locale che, alla fine, per noi, è stato una bandiera?”. Un’altra bandiera.

Pezzali, 56 anni, che del pop nostalgico e a presa rapida è icona, parla, però, del tramonto di un’epoca intera: “Discoteche abbandonate”, si chiama, infatti, l’album che ha appena pubblicato.

Lo ha ispirato un libro fotografico, “Disco Mute”, a cura di Davide Calloni e Alessandro Tesei, di cui qui riproduciamo una serie di scatti di Elsa Mancini e Simone Nanetti. Raccontano, il libro, le sue foto e pure la canzone derivata, che quel fine settimana cresciuto nel 1977 sull’abbrivio della “Febbre del sabato sera” e diventato onda travolgente per due decenni con Giorgio Moroder, i Righeira e poi la techno sincopata in sala, oggi faccia soltanto luce su un cumulo di macerie. Macerie proprio, divanetti squarciati, palle a specchio spezzate, ortiche a custodirli. In tutta Italia, in particolare nella sua provincia. “E poi non è più sabato e poi le insegne cadono”, questo è sempre Pezzali.

Nei Novanta c’erano 7.000 dancing hall

Già, le discoteche abbandonate. Dall’1 gennaio 2010 al 31 dicembre 2023 sono state 2.698 le imprese che, iscritte come attività di discoteca, sala da ballo e night club, si sono cancellate dalla Camera di commercio provinciale. Nello stesso periodo ne sono nate solo 630 e il saldo dice che in quattordici anni il Paese ha perduto 2.068 locali da ballo. Non è noto il dato pregresso, ma una ricostruzione realizzata da Repubblica su quello che è disponibile sui siti delle associazioni riunite, del turismo locale, delle singole sale da ballo, sui social che ricordano nuove celebrazioni delle disco perdute e, infine, sulle piattaforme del crescente foto-giornalismo e dei documentari che vanno a perlustrare gli edifici dismessi, ha contato altri 6-800 locali da ballo resi inattivi tra il 1980 e il 2010.

Il primo piano della discoteca Ultimo Impero di Airasca, provincia di Torino, 1992-1998: tra le più grandi in Europa. Dal sito Dustydancing.com, fotografie di Elsa Mancini e Simone Nanetti
Il primo piano della discoteca Ultimo Impero di Airasca, provincia di Torino, 1992-1998: tra le più grandi in Europa. Dal sito Dustydancing.com, fotografie di Elsa Mancini e Simone Nanetti 

Oggi le disco in vita, e in una vita comunque non paragonabile per qualità a quella del ventennio ‘80-’99, sono 3.346. Si può ipotizzare, quindi, che a fine Anni Novanta fossero intorno a 7.000 i i dancing hall regolarmente esercitanti. ll 52 per cento, abbiamo visto, non c’è più. Non hanno cambiato nome. Non hanno variato genere musicale o affiancato al ballo la ristorazione, la consumazione di un aperitivo. Questo, certo, negli anni è accaduto: il Moxie di Valecchiara, a Riccione, ha mutato logo sei volte, ma quel “52 per cento” di locali da ballo in quasi mezzo secolo semplicemente è uscito di scena. “Che effetto fa passare da lì, ora che sembra un supermercato”.

Quarant’anni dopo i nati sono la metà

Si potrebbe liquidare il contro-fenomeno “addio alle discoteche” con la crisi delle nascite. Se si prendono i nati nel 1965, l’anno più prolifico del dopoguerra, quello che ha sfornato i “boomer” più “boomer” del Paese, si osserva come abbiano visto la luce 1.018.000 bambini. Significa che, potenzialmente, quel numero di diciottenni nel 1983 ha invaso le piste regalando pienoni. Nel 2006 (gli attuali diciottenni) sono nati, invece, 556.805 infanti: il 54 per cento, poco più della metà. Il dato demografico, straziante e irrisolto in Italia, è certo una ragione fondante per definire il tramonto delle danze, ma, intanto, il saldo negativo delle disco (-52 per cento) è superiore a quello della decrescita (-46 per cento). E poi, come fa notare Riccardo Giannini detto “Il barone”, storico “pr”, ovvero uomo di pubbliche relazioni, e poi gestore e proprietario di diversi e importanti locali del Nord Italia, “le discoteche di oggi sono più piccole di quelle dei Novanta, più vuote e lavorano la metà del tempo”.

Sì, in quella decade aprirono edifici per il ballo di impressionante dimensione e ospitarono giovani clienti, in alcuni casi sette giorni su sette. La maggior parte partiva, comunque, con la programmazione il mercoledì sera e chiudeva gli incassi la domenica pomeriggio. Per dire, ad Airasca, 24 chilometri a sud di Torino, il 18 dicembre 1992 fu inaugurato Ultimo Impero, stile neoclassico, tre anni di lavori: stava su quattro piani e aveva sette piste, nove bar. All’esterno, colonne e statue, sette fontane e un laghetto. Venivano in pullman da Brescia, Pavia e da Genova, spesso guarniti di alcol e pasticche, per ascoltare la martellante techno (house e progressive) proposta. Sborsavano anche 30.000 lire per entrare nel Disco Tempio. Oggi, diciassette anni di abbandono, diverse statue e non poche fontane si mostrano vandalizzate mentre una coltre di alberi è cresciuta sul prospetto d’ingresso: Ultimo Impero ha chiuso nel 1998 per una querelle legale tra i soci e, dopo aver cambiato tre nomi, definitivamente nel 2007.

La cantante Grace Jones con Sandro Gasparini, fondatore del Maribù, maxi discoteca di Celle di Reggio Emilia in attività tra il 1977 e il 2000.
La cantante Grace Jones con Sandro Gasparini, fondatore del Maribù, maxi discoteca di Celle di Reggio Emilia in attività tra il 1977 e il 2000. 

Se ci spostiamo sull’asse emiliano Reggio-Modena-Parma, nella prima fase di quest’epoca il vero centro del divertimento italiano, inverno ed estate, troviamo il Marabù, precisamente a Cella di Reggio Emilia. Nato, su suggerimento di Marcella Bella, nel 1977, quando si ballava ancora con le orchestre, dalla cantante è stato battezzato con il nome di un uccello africano avvistabile in Sicilia. “Funzioneranno solo le strutture grandi”, predisse a Sandro Gasparini, piccolo imprenditore del divertimento locale. E così fu: palco da 130 metri quadrati, pista da 300, 2.000 posti a sedere, parcheggio per 1.500 auto. La cassa arrivò a staccare 15.000 biglietti, in epoche in cui i controlli per la sicurezza erano meno serrati. Il Marabù fu ampliato nell’86 e dotato di un impianto di luce stellare. Tanto, troppo. Soprattutto troppo costoso. Con la decrescita infelice dei clienti, si trasformò in un oggetto ingestibile e alla fine, nel 2000, passò di mano a una cooperativa per 7 miliardi di lire (erano debiti). Nel 2007 conobbe una prima demolizione. Oggi l’attuale proprietario, c’è stato un secondo passaggio delle quote, infatti, sfrutta il grande parcheggio esterno per organizzare lezioni di scuola guida.

“Il barone” Giannini, che ne fu giovane “pr” e poi anche gestore, racconta: “Si iniziava il lunedì sera con il liscio, si proseguiva il mercoledì con un concerto, Fabrizio De Andrè, Claudio Baglioni, Alberto Camerini. Giovedì serata rock, venerdì e sabato sera gli adulti, paganti. Domenica pomeriggio i ragazzi, gratis”. Marco Ferreri ci girò “Il futuro è donna”, con Ornella Muti e Hanna Schygulla. Il capodanno al Maribù prevedeva facce da RaiUno: Pippo Franco, Sandra Mondaini. “In quegli anni le discoteche, semplicemente, ottenevano quello che chiedevano”.

La locandina del film "Il futuro è donna" (1984) con Ornella Muti e Hanna Schygulla
La locandina del film "Il futuro è donna" (1984) con Ornella Muti e Hanna Schygulla 

L’iperlocale di Reggio Emilia è durato ventitré anni. Andrea Gasparini, figlio del fondatore Sandro, deceduto nel 2016, ricorda: “La costruzione della discoteca più grande d’Europa doveva costare 550 milioni di lire, ma papà, Ivo Callegari, manager di Caterina Caselli, e alcuni soci di peso alla fine spesero 3 miliardi. Nei primi Anni ‘80 Reggio, città di dimensioni contenute, fece crescere dieci locali e poi esportò imprenditori e disc jockey sulla Riviera romagnola. Credo che questo movimento sia finito quando il divertimento iniziò a costare troppo, prima per i clienti e poi per gli esercenti”.

Marcella Bella aggiunge: “Io amavo le discoteche, come luogo dove mi esibivo e come luogo dove andare a ballare. Non mi stufavano mai. Sono state, su un piano artistico, una gavetta fondamentale, una palestra che i giovani cantanti e compositori di oggi non conoscono. E si vede. I miei cinquant’anni di carriera sono figli di quella gavetta”.

Pink Floyd, nani e ballerine

Il Gheodrome di Cesena ospitò, per spiegare la centralità delle discoteche del Nord Italia nel tessuto nazionale degli Anni Ottanta, i Genesis oltreché Domenico Modugno. Al Piper di Roma approdarono giovanissimi Pink Floyd. Il “dancing” diventò l’ombelico del nostro mondo, muovendo denaro e creando affiliazione. Il Psi, a cui si era arruolato il conduttore radiofonico Gerry Scotti (uno dei destinatari dell’invettiva “nani e ballerine nel partito” di Rino Formica), in campagna elettorale frequentava le disco. Scotti, non era un caso, firmò la prefazione al libro “Dove andiamo a ballare questa sera? Guida a 250 discoteche italiane” del socialista Gianni De Michelis, allora vicepresidente del Consiglio.

Se al Muretto di Jesolo si potevano ascoltare giganti come Ray Charles e James Brown, questo in verità già nei Sessanta, nel 1977 al Picchio Rosso di Formigine (Modena) fu ambientato un episodio de “I nuovi mostri”: si vede Orietta Berti cantare all’esterno del locale. Nelle stesse inquadrature, oggi, si evidenziano appartamenti. Nel Lanternone di Palinuro, siamo scesi nella Campania affacciata sul Mar Tirreno dove, alla consolle, si è formato Jovanotti, nel 1985 furono allestite scene di “Vacanze d’estate”, regia di Ninì Grassia. Nell’area di sosta a ridosso ora ci pascolano mucche e cavalli. L’Exodus di Portomaggiore, Ferrara, fu lo sfondo per la sigla di “E’ Fantastico” (Discobambina), con Heather Parisi. Il Kiwi di Avellino ospitò le ragazze di “Non è la Rai” e un’Ambra Angiolini maliziosamente adolescente: non è bastato a entrambi per garantirsi una vita futura. Marco Tardelli, già commentatore, elesse la seconda casa allo Tsunami di Pula, nel Cagliaritano. Si è impolverata e arrugginita.

Serata in ricordo del Picchio Rosso di Formigine (Modena), nato nel 1976 e demolito nel 2003
Serata in ricordo del Picchio Rosso di Formigine (Modena), nato nel 1976 e demolito nel 2003 

Il Cosmic di Lazise, nel Veronese, durò solo cinque anni: dal 1979 al 1984 e, come in un libro scritto male, fu abbattuto per Natale. Era un’astronave gigante pronta al decollo, con la postazione del dj, inizialmente pensata come un casco, poi sostituita da una navicella spaziale. Il Pick Pack di Crespellano (Bologna) è stato il primo in Europa a usare i laser in sala ed è stato location del video di “Come mai”, qui Pezzali è con gli 883, un duo.

A forma di piramide, di nave, di Colosseo. C’è stata una stagione in cui alla nascita della disco d’area contribuivano i migliori architetti del Paese. ll riminese Demo Ciavatti ha disegnato il Cocoricò di Riccione, sopravvissuto a cento chiusure di polizia peraltro, e poi l’East Side e il Miss entrambi di Avellino. Il pluripremiato designer Denis Santachiara si dedicò al settore. Così l’ingegner Silvestro Lolli, che progettò, appunto, il Marabù. “Era fondamentale la posizione del bar, che garantiva incassi”, spiega “Il barone” Giannini. Lo Stellario di Chieti era a forma di anfiteatro, il Babaloo di Porta Potenza Picena, Macerata, fu elevato sopra un lago artificiale.

Echoes, Kiwi, Oasis: tutti demoliti

Sono stati spianati l’Echoes di Misano Adriatico e il Kiwi di Piumazzo, Modena. Hanno demolito per consegnarlo a un’immobiliare l’Oasis di Sassuolo. Nel 2008 è stato ipotecato Il Gufo di Brisighella, provincia di Mantova. La vita più breve, e fuori tempo massimo, l’ha conosciuta il Metropolis di Marina di Cecina (Livorno): inaugurato nel 2007, è stato chiuso due anni dopo e venduto solo nel 2021, alla quindicesima asta pubblica.

Con il passaggio del nuovo secolo, la stagione delle disco è diventata un’agonia. Al posto del Naxos di Torino, che scaricava all’ingresso, con i bus 4 e 63, frotte di aspiranti al biglietto gratis, ora c’è un supermercato Basco. Al posto del Vanilla di Genova, una Coop. Lo Studio Zeta di Caravaggio, Bergamo, ha lasciato spazio a un polo commerciale. ll Ca’ Franca di Lipomo è una pizzeria. Il Palace di Serravalle Scrivia (Alessandria) un Palabingo più outlet: le grandi dimensioni di partenza offrivano spazi per successive attività di volume.

ll Par Hasard di Abano Terme, a Padova, non è riuscito a convivere con i residenti, e soprattutto con i monaci del monastero così vicino. La Capannina di Alassio ha chiuso nel 2010, dopo oltre sessant’anni di baldoria. L‘Embassy di Rimini, sorto nel 1934, ha serrato nel 2009 e nel 2011 è stato raso al suolo: aveva ospitato Miss Italia ed esibizioni di Fred Buscaglione. Una disco intoccabile, allora, nei vent’anni dorati, fu l’Insomnia di Ponsacco (Pisa): oggi è una palestra. Il XX Secolo di Seriate, pari fama, allocato alla periferia di Bergamo, è un parcheggio. Al Glamour di Preganziol, in provincia di Treviso, dopo aver cambiato per tre volte il nome, ci si è dedicati con maggiori speranze alla lap dance. Nell’edificio del Ciak di Bologna c’è un’azienda di abbigliamento. Sull’area del Rolling Stone di Milano, ispirato allo Studio 54 di New York, un condominio di tredici piani. Il Palladium Disco di Torri di Quartesolo, fuori Vicenza, due anni fa è diventato una chiesa ortodossa serba. E dentro il mastodontico Genux di Lonato, in provincia di Brescia, si contemplano, piuttosto, riti con croci rovesciate e scritte 666.

Nel dicembre 2021 è stato messo in vendita persino il Melamara di Castiglion delle Stiviere, era sopravvissuto all’efferato tentativo di incendio (con quattrocento ragazzi, mascherati per carnevale, che stavano ballando all’interno) da parte di “Ludwig”, gli assassini seriali Abel e Furlan: la moquette ignifuga rallentò le fiamme e i neonazisti Wolfgang Abel e Marco Furlan la sera del 4 marzo 1984 chiusero, rischiando il linciaggio, la loro carriera di stragisti.

Il Genux di Lonato (Brescia): ha accolto fino a 8.000 persone al giorno dal 1989 al 2011. Dal sito Dustydancing.com (fotografie di Elsa Mancini e Simone Nanetti)
Il Genux di Lonato (Brescia): ha accolto fino a 8.000 persone al giorno dal 1989 al 2011. Dal sito Dustydancing.com (fotografie di Elsa Mancini e Simone Nanetti) 

Camere d’hotel, spazi per un McDonald’s, bar musicali, birrerie, banche, residence invernali ed estivi, location per matrimoni, capannoni industriali. Sono queste le “disco inferno” del terzo millennio, in alcuni casi svendute per 300.000 euro. Spesso, peggio, sono macerie inamovibili per cambi di destinazione d’uso che non arrivano a causa delle vertenze ancora in corso.

C’è chi ha chiuso per un incendio partito dal frigo del bar: il Sugar Reef di Piombino Dese, nel Padovano. Il Meccanò di Firenze, invece, è stato dato alle fiamme dalla concorrenza (due condanne). il Seven Up di Formia, dove è cresciuto il deejay più amato di tutti, Claudio Coccoluto, appena scomparso, l’hanno fatto saltare in aria i casalesi. ll Cucaracha di Sibari, qui siamo a Cosenza, la ‘ndrangheta. Il Genesi di Portorosa, a Messina, è stato sequestrato nel 2015 perché aveva aggiunto due piste abusivamente e aveva svariati problemi di sicurezza, a partire dall’impianto elettrico. ll Sole Blu di Cassano delle Murge è finito sotto sequestro per l’abbandono di rifiuti pericolosi. Poi c’è il Nautilus di Varese, dove ai tempi d’oro si faceva il Capodanno con Mike Bongiorno: non ha retto alla fama meritata dopo il duplice omicidio dei buttafuori alla porta. Un padre volle vendicare il figlio picchiato e respinto all’ingresso, nel 2015 cessò ogni attività.

Il gatto dei miracoli: “Inizio ‘90 erano morte”

C’è chi, pur immerso fino al collo nell’altro mondo delle discoteche, capì un attimo prima che l’incanto era finito. E’ Umberto Smaila, 74 anni, il paroliere e musicista dei Gatti di Vicolo Miracoli, poi imprenditore in franchising dei locali Smaila’s, dove si fa musica pianoforte e voce. Parla con Repubblica dall’auto mentre sta raggiungendo Abano Terme, l’ultimo medley. Con i Gatti veronesi, usciti tra gli applausi del Derby di Milano, a metà dei Settanta iniziò a viaggiare per locali da ballo che in quella stagione si stavano trasformando nelle disco del ventennio successivo: “Picchio Rosso a Formigine, Picchio Verde a Carpi, Lugo di Romagna, Mantova, il Piteco, l’Argiolo. All’inizio erano capannoni senza arredamenti, con divanetti scomodi da cui cercavi di staccare la ragazza che ti piaceva: ‘Balli?’. La prima ragione del successo delle discoteche è stato il mixage, la musica senza interruzione tra un disco e l’altro. Il pubblico si era stancato delle pause dei musicisti dell’era precedente, la sigaretta di Fred Buscaglione, il relax dell’orchestra di Renato Carosone. La nascita del disc jockey fu un’illuminazione. Subito dopo arrivò la grande musica, e cambiò davvero tutto. Quando per la prima volta ascoltai il disco dei Bee Gees, “Stayin’ Alive”, quelle voci sottili, rimasi sconvolto. Con armonie così nuove e penetranti, non potevi stare fermo. Giorgio Moroder, che ho conosciuto, Gloria Gaynor, poi Tina Turner avevano dentro le loro canzoni una ritmica a cui non si poteva resistere. La terza ragione fu legata al fatto che le discoteche furono riconosciute dai giovani come un luogo di incontro, e una possibilità sessuale”.

Questo è l’inizio, la gloria. Ma la fine di quel mondo? “Al volgere degli Anni ‘80 c’era già stanchezza per dischi e consolle, me ne accorsi quando iniziai a usare il piano così come facevo con gli amici. Molti dentro un locale cercavano un rapporto più diretto con la musica e certi ritmi, se vuoi facili, dei tempi precedenti, il twist italiano, Rocky Roberts, tutto Battisti, in fondo roba vecchia come i datteri, venivano meglio dal vivo che su disco. Iniziai nel mio primo locale, lo Smaila’s di Lazise, nel Veronese. Cantando ad ogni puntata di “Colpo grosso”, in tv, mi ero creato un vasto repertorio e avevo un’orchestra. Iniziai: “Tintarella di luna”, e mi accorsi della reazione dei presenti. Tutti intorno al piano, a cantare. Poi, Porto Cervo, in Sardegna, al locale Sottovento. Il pianista mi cedette strumento e microfono: “Let it be”, “Hey Jude”. Pochi secondi e avevo cinquanta persone intorno, pochi minuti e stappavano champagne. Ho capito che avrei dovuto riposizionarmi e che il mondo dei bellissimi Anni ‘80 era finito. Come canta George Harrison, ‘All things must pass’. Tutto passa’. Ci sono momenti storici in cui qualcosa va di più e la discoteca, che ho amato, è stata tanto una moda. Oggi i ragazzi degli smartphone non la riconoscono come un modello di incontro”.

Fratel Righeira: “Musica senza aiuto”

Johnson Righeira, ideatore con Michael, che non è suo fratello, di brani così aderenti agli Anni ’80 – “Vamos a la Playa”, “L’estate sta finendo”-, ora dice: “La discoteca è finita perché non poteva essere infinita e perché in questo Paese per la musica di intrattenimento non c’è mai stata attenzione pubblica, neppure quando esportavamo canzoni e produttori in tutto nel mondo”. Dice: “Io sono figlio degli Anni ’80, ma ho amato l’house dei Novanta, che peraltro è nata nell’86. E’ stata quest’ultima, una vera democratizzazione della musica, dove ognuno creava la sua, a regalare il boom delle discoteche. Improvvisamente ha sostituito la musica degli Ottanta, che poi era un po’ di tutto, e ha spinto le disco a diventare iper. Io amavo i club: si facevano chilometri per andare in questi locali e lì esplose la figura del deejay, selezionatore di musica d’altri che lui personalizzava. E’ stato un periodo molto bello, ma tutto ha un inizio e una fine. Con l’esaurirsi di quella spinta, non c’è stato più nulla per riempire lo spazio. E i superlocali mostrarono i loro costi di gestione spaventosi: andavano sotto. Si sono salvate le disco-balere, ancora oggi. Io mi sono divertito tanto, ma non ricordo nulla, non ho memoria. E allora continuo a divertirmi”.

Il dj: "Vivevamo in un mondo parallelo”

"Sono sempre stato convinto di vivere in un mondo parallelo, che era semplicemente straordinario”, ha raccontato nel documentario “Disco Ruin” Albertino, fratello di Linus che dal 1984 conduce Deejay Time, la classifica dei brani più ballati in discoteca, su Radio Deejay e ora anche su M2o. Fu un programma quotidiano che nella prima fase coinvolse anche Jovanotti e dal 2008, a dimostrazione del lento scivolare a lato di quel mondo, fu trasformato in settimanale. Ha conosciuto anche tre anni di pausa.

"In crisi perché si balla altrove”

“Il mondo delle discoteche è in crisi perché si balla ovunque, perlopiù abusivamente. Nei casali, nelle masserie, nei ristoranti, in spiaggia, nei rave party, alle feste private dove non si paga la Siae né si rispetta alcuna sicurezza”. Questo è Maurizio Pasca, presidente del Sindacato italiano dei locali da ballo, 50 anni di attività, titolare della discoteca Quattro colonne a Gallipoli. Spiega: “Negli Anni ‘90 a Rimini esistevano novanta locali e Federico Fellini ringraziava il Bandiera gialla per tutto quello che aveva fatto per la sua città. Duecento erano le discoteche a Milano e nell’hinterland. Oggi crescono solo in provincia di Lecce, da sette sono diventate quaranta. Ma non è il ballo in crisi, il problema del settore è l’abusivismo. Il prezzo medio del biglietto negli anni d’oro era di 20.000 lire, oggi di 10-15 euro. Paragonabile, quindi. In queste stagioni è salito il costo della consumazione: era 5.000 lire, oggi è 10 euro. Il valore economico del ballo in Italia è di un miliardo di euro l’anno, quando le due maggiori discoteche di Ibiza. Pacha e Ushuaia, da sole valgono 800 milioni. Non è vero che la crisi della disco si è diffusa in tutta Europa, sono presidente dell’associazione internazionale Ena e posso testimoniare come a Berlino abbiano eletto le discoteche a monumenti culturali, da noi i comuni le lasciano coprire di rovi. Il governo tedesco intende dare 500 euro per aiutare i giovani ad andare a ballare, in Italia una proposta del genere sarebbe considerata scandalosa. I locali da ballo sono stati criminalizzati, a partire dalla campagna dell’ex ministro Carlo Giovanardi sulle stragi del sabato sera. Poi si è scoperto che servivano i controlli sulle strade, non in discoteca, per far diminuire gli incidenti. E così le risse: i due anni del Covid, che hanno praticamente fermato i locali, hanno anche dimostrato che la violenza giovanile è in piazza, davanti alle scuole, ovunque, non precisamente in discoteca. Abbiamo una società più cattiva, non sono le discoteche a formarla. Piuttosto la subiscono”.

Il gestore del Village Summer di Varese, a proposito, nel 2022 chiuse il locale proprio perché “stufo della maleducazione dei trapper che ti tampinano ore per entrare gratis e poi, dentro, non hanno rispetto di niente. Sono stufo dei loro ‘bro’, ‘zio’, ‘fra’ quando neppure li conosco”.

Ancora il presidente Pacca: “Negli Ottanta non entravi senza giacca, a volte se non avevi la cravatta. Non entravi con le scarpe da ginnastica. Ora si presentano in bermuda e felpa. L’età media era 22 anni, adesso è 14. E i social hanno cambiato l’umore dei ragazzi: sono meno intimi nel socializzare”.

E’ un punto della questione: questa generazione, rimbalzata tra like e pollici versi, è meno interessata a conoscere persone nuove, tende a organizzare feste con liste bloccate di nomi e cognomi. Nord, Sud, Ovest, Est, ma forse quel che cerca neanche c’è. “Fatico a vedere giovani leader che emergono nelle singole compagnie”, dice “Il barone” Giannini, “quarant’anni fa il fenomeno dei ‘pierre’ è nato proprio fuori dalle scuole, tra i ragazzi più incisivi che portavano biglietti agli amici e trascinavano in discoteca venti persone. Quegli adolescenti, che volevano solo divertirsi e conoscere una ragazza, poi hanno trasformato l’atteggiamento in un lavoro e sono diventati motivo del successo o dell’insuccesso di un locale. Eravamo antesignani degli influencer e quando lo racconto a mio figlio, mi guarda come se avessi fatto delle imprese per lui e i suoi coetanei impossibili”.

Il politico: "Noi, l’ultima generazione”

Andrea Rossi, 48 anni, deputato Pd della provincia emiliana, è stato un discotecaro nei Novanta e conosce i cambiamenti delle tribù che ballano. “Faccio parte dell’ultima generazione che ha goduto di quel tipo di divertimento e di approccio sociale. Oggi vanno, non è un caso, i ‘remember’, gli eventi dedicati alle singole discoteche. Fanno 5.000 persone, dai quaranta in su”. Non è solo la voglia di non sentirsi invecchiati, “voglio tornare agli Anni Novanta, le disco in bolla e la gente che salta”, dice Pap’s and Skar. “E’ proprio uno stato d’animo che ti è rimasto dentro. I diciottenni del 2024, va detto, hanno meno soldi in tasca: chi va a ballare, oggi, appartiene al ceto sociale medio alto. Poi sì, abbiamo ragazzi via via sempre più chiusi: giocano a play station a distanza, mangiamo un hamburger con gli occhi su Tik Tok. Difficile vederli ballare. Noi iniziavamo a farlo a 14 anni, vivevamo per il venerdì. E grazie a Dio è stato venerdì”.

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