L’Ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo e la Vigilanza Cristiana nell’Attesa. R.S.

15 Maggio 2024 Pubblicato da 16 Commenti

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, un amico fedele del nostro sito, R.S., offre alla vostra attenzione questi pensieri sulla festa che abbiamo appena celebrato, l’Ascensione di Gesù. Buona lettura e meditazione.

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L’Ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo e la vigilanza cristiana nell’attesa

Il cristianesimo moderno è assediato da qualche equivoco su Gesù che in certi casi può rasentare l’eresia. L’occasione dell’Ascensione è particolarmente preziosa per riflettere sul senso della missione della Chiesa e soprattutto su quali possano essere le peggiori cause di equivoco dopo due millenni di cristianesimo.

La cosiddetta filantropia, il pacifismo, l’ecumenismo, il sincretismo e un malcelato culto per l’umano, unitamente al doversi sentire in colpa per qualche errore storico, hanno fatto della Chiesa una Sposa meno innamorata dello Sposo e propensa ad atteggiarsi disinvoltamente nel mondo avendo perso di vista la sapienza e la conoscenza di un ruolo. Ad esempio, se in Cristo l’uomo è già stato fatto partecipe della divinità e tutto sommato in questa fede siamo tutti salvi, non sarebbe bastato il Natale? L’Incarnazione non implica che in Cristo l’uomo è abitato spiritualmente dalla divinità? Se lo Spirito Santo abita già ogni anima, perché dovrebbe essere necessario trasmettere la fede cristiana?  Che senso avrebbero la penitenza e l’ascesi? Perché considerare certi atti un peccato? Perché temere il giudizio di Dio?

L’umanità, anche dopo la redenzione, non è quella creata da Dio ma una versione decaduta a causa del peccato originale. Dall’Eden fu possibile uscire per scelta, ma poi non è che ci rientriamo come se nulla fosse. Cristo è la porta (stretta) che rende possibile il rientro a casa per il figlio perduto, pentito e convinto a ritornare sui suoi passi.

Attualmente l’umanità (visitata, redenta e salvata da Cristo) è ancora soggetta alle conseguenze del peccato. Solo un’irenica, illusa e ipocrita visione delle cose può ritenere normale la piega spirituale, morale e materiale di interi continenti in cui serpeggia l’apostasia. Non si tratta semplicemente della realtà carnale o psichica dell’essere umano, ma di quella spirituale che ne designa l’essere stato creato con un’anima immortale, ad immagine e somiglianza di Dio. Dopo l’inizio dei tempi, con la creazione, l’umanità ha ricevuto una visita alla pienezza dei tempi duemila anni fa. Il Verbo Incarnato ha accettato di vivere e di morire per amore, salendo al Cielo a completamento di un evento di Grazia che ha rivelato all’uomo il volto di Dio. Gesù come Dio è sempre stato in Cielo, ma vi è asceso come vero uomo.

Attenzione però: la sua è come dovrebbe essere la nostra, ma la nostra deve diventare come la sua!  Non basta dare il soldino in offerta per andare in Paradiso. L’inferno esiste e non è vuoto. Il diavolo c’è ed è più intelligente di noi, a chi non è cristiano il dono più grande quello di fargli conoscere la Verità di Gesù, altro che il rispetto per non offenderlo!

Andando in Cielo Gesù ha detto che tornerà: sorprendentemente il distacco non riempì di tristezza i discepoli che erano colmi di gioia. Infatti l’animo cristiano è gioioso, non quello di un annoiato intristito e pauroso. Perché? Il mondo non è cambiato e Gesù è salito in Cielo affidando un compito che va al di là delle forze umane. Come potevano pochi uomini senza potere terreno presentarsi davanti alla gente a Gerusalemme, in Israele e in tutto il mondo e dire: “Quel Gesù, apparentemente fallito, è invece il Salvatore di tutti noi”? Se ne deduce che i discepoli non si sentirono abbandonati. Erano abitati dalla certezza di una presenza nuova di Gesù risorto in mezzo a loro. La gioia dei discepoli dopo l’ascensione istruisce la nostra immaginazione sulla realtà di quell’evento: non fu un andarsene in una sperduta zona del cosmo, ma sancì la vicinanza permanente di Gesù che i discepoli (e la Mamma) sperimentano per trarne gioia. Una gioia per nulla irrealistica, perché pronta all’esperienza della croce, disposta al martirio, guardando oltre l’apparenza.

I cristiani gioiscono della missione e sono certi di un appuntamento al termine dell’attesa, ma vivono il presente nel mistero di una conoscenza che accompagna e dà significato al tempo tra le parusie di Cristo, senza presumere di poter saltare i passaggi che sono necessari e restano ineludibili, pena il cadere nell’eresia. Sono tre le parusie: la prima avvenuta all’epoca di Erode e di Tiberio e conclusa dall’Ascensione; la seconda, spirituale, è in corso; la terza avverrà quando Gesù tornerà. Nella seconda fase, il tempo della Chiesa, i discepoli testimoniano al mondo che Gesù è vivo. La missione è universale, estesa a ogni popolo e consiste nell’annunciare il Vivente e in questo modo far conoscere la Grazia della salvezza e la volontà di Dio. Di questa missione fa parte anche l’annuncio di un ritorno di Gesù, per giudicare i vivi e i morti e per stabilire definitivamente il regno di Dio nel mondo; un regno che non è di questo mondo, tanto che i discepoli si sanno dei pellegrini e degli esuli, estranei alle logiche del mondo.

Nel tempo dell’attesa il cristianesimo non è disinteressato alla vita. Nella fede in Cristo realmente presente la speranza sostiene la missione e il pellegrinaggio tra le traversie, vivificando la realtà terrena testimoniando Cristo vivo nell’arte, nella scienza, nella civiltà, nella cultura e nella cura…

L’uomo non è già salvo e l’incarnazione non risolve ogni problema dell’umanità. Salendo al Cielo Gesù fa una promessa ed affida un incarico. La promessa è che i credenti in Lui saranno colmati della forza dello Spirito Santo; l’incarico consiste nel fatto che dovranno essere i suoi testimoni fino ai confini del mondo. Gesù non fornisce indicazioni sui tempi. Gesù non svanisce nelle galassie, ma introduce noi nel mistero di Dio inaugurando un ordine diverso, in un’altra dimensione dell’essere. Il Nuovo Testamento lo descrive come il ”posto” che sta alla destra di Dio. Non allude ad uno spazio cosmico dove Dio avrebbe il suo trono. Dio non si trova in uno spazio accanto ad altri spazi. Dio è Dio. Egli è il presupposto e il fondamento di ogni spazialità esistente, ma non ne fa parte (e così va inteso lo stare nel tempo rispetto all’eternità divina). Il rapporto di Dio con tutti gli spazi è quello del Signore e del Creatore. La presenza di Dio non è spaziale ma divina. Sedere alla destra di Dio significa una partecipazione alla sovranità propria di Dio su ogni spazio. Il Gesù che si congeda non va da qualche parte ma nella comunione di vita e di potere con il Dio vivente, nella situazione di superiorità di Dio su ogni spazialità e temporalità. Siccome Gesù adesso è presso il Padre, Egli non è lontano, ma è vicino a noi. Ora non si trova più in un singolo posto del mondo come prima dell’ascensione; ora, nel suo potere che supera ogni spazialità. Ovviamente questo è vero per chi è spiritualmente vivo, cioè rinato dall’alto. Non è la vita umana a renderlo possibile, ma la Grazia che in Cristo giunge a chi Lo riconosce Dio.

La novità riguarda ogni discepolo: mediante il battesimo la Chiesa apre alla dimensione della Grazia sacramentale in cui la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio; nella nostra esistenza siamo già “lassù”, presso di Lui, alla destra del Padre e tocchiamo il Risorto nel luogo dell’elevazione di Cristo che è la sua croce. Nel segno della croce la nostra ascensione è sempre nuovamente necessaria. Il Cristo presso il Padre non è lontano da noi, ma a causa del peccato siamo noi ad essere lontani da Lui; eppure, per la misericordia di Dio, la via tra Lui e noi è aperta. Non è un percorso di carattere cosmico, ma il pellegrinaggio che conduce il cuore dalla dimensione della chiusura all’amore divino che abbraccia l’universo. Per Cristo, con Cristo e in Cristo: senza di Lui non si fa nulla! Gesù ce l’ha detto.

Dobbiamo aver paura del ritorno di Gesù e della fine dei tempi? Ci pensiamo? Lo aspettiamo volentieri?

L’Apocalisse si chiude con la promessa del ritorno del Signore e con la preghiera che essa si realizzi: Colui che attesta queste cose dice: “Sì, vengo presto!”. Amen. Vieni, Signore Gesù! (22,20). È la preghiera della Sposa innamorata, che nella città assediata è oppressa da tutte le minacce e dagli orrori della distruzione e non può che aspettare l’arrivo dell’Amato che ha il potere di rompere l’assedio e di portare la salvezza. È il grido pieno di speranza che anela la vicinanza di Gesù in una situazione di pericolo in cui solo Lui può aiutare.
I cristiani invocano la venuta definitiva di Gesù e vedono al contempo con gioia e rendimento di grazie che Egli già adesso anticipa la Sua venuta ed è davvero in mezzo a noi.Nella preghiera cristiana per il ritorno di Gesù è sempre contenuta anche l’esperienza della presenza. Gesù ha detto: Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28,20).

Egli è adesso presso di noi, in modo specialissimo nell’Eucaristia!

In pratica c’è una triplice venuta del Signore… la terza è in mezzo tra le altre: adventus medius… Nella prima venuta egli venne nella carne e nella debolezza; in questa intermedia viene nello spirito e nella potenza; nell’ultima verrà nella gloria e nella maestà. L’escatologia del presente non abbandona l’attesa della venuta definitiva che cambierà il mondo, ma intanto spiega che il tempo intermedio non è vuoto: in esso c’è l’adventus medius.

Così il tempo è abitabile dai cristiani in vista della venuta definitiva di Cristo. La venuta intermedia è molteplice: mediante la Sua Parola, nei sacramenti e specialmente nella santissima Eucaristia, purtroppo tanto trascurata e vilipesa; Gesù entra nella nostra vita mediante parole o avvenimenti, attraverso le storie di uomini e di santi.

Possiamo dire con sincerità: “Marana tha” “Vieni, Signore Gesù”?  Sì, lo possiamo. Anzi: lo dobbiamo!  Egli stesso ci ha insegnato: Venga il tuo regno! Vieni, Signore Gesù! Vieni presto!  Ma lo sappiamo che sei qui, anche se vediamo tanti cristiani che non lo dicono nemmeno più!
R.S.

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16 commenti

  • Giovanni ha detto:

    Le sue Omelie si leggono con piacere, scaldano il cuore ridando slancio all’attesa della Sua venuta. Sono grondanti di fede e, visti i tempi, un vero balsamo per l’anima.

  • R.S. ha detto:

    Ovviamente il rispetto per la persona è dovuto per la semplice ragione che non siamo dei decerebrati. Invece il tacere l’annuncio di Cristo come forma di rispetto per le altrui convinzioni e’ una comoda scusa per derubricare la missione e non volere il bene del prossimo. In tanto affettato rispetto di perbenisti prima del timore che un altro sia troppo esplicito dovrebbe preoccupare la propria propensione a rimuovere la croce dal panorama.

    • luciano ha detto:

      Gentile R.S.,
      Pur apprezando i sui scritti evidentemente frutto di fede profonda e sincera, non mi trovo molto d’accordo quando lei mette sullo stesso piano “la cosiddetta filantropia, il pacifismo, l’ecumenismo, il sincretismo”.
      Sono cose bem diverse tra di loro. L’ecumenismo non puó essere paragonato al sincretismo ou al pacifismo a buon mercato.
      Chiaramente esistono delle differenze che non possono essere ignorate o ridotte a un indiferentismo religioso. Allo stesso modo, non possiamo pensare che la realtá italiana possa esprimere la complessita delle situazioni presenti in questo mondo. In altri contesti é quotidiana, (anche all’interno dela stessa famiglia a volte) la convivenza com altri battezzati, sinceri credenti in Gesú Cristo e nei sui comandamenti, a volte in maneira esemplare e eroica.
      E quindi? Sono massa dannata?
      Benedetto XVI ci recordava che “Invece le comunità ecclesiali che non hanno conservato l’Episcopato valido e la genuina e integra sostanza del mistero eucaristico [61], non sono Chiese in senso proprio; tuttavia i battezzati in queste comunità sono dal Battesimo incorporati a Cristo e, perciò, sono in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa”.
      «Perciò le stesse Chiese e comunità separate, quantunque crediamo che abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non sono affatto spoglie di significato e di peso. Poiché lo Spirito di Cristo non recusa di servirsi di esse come strumenti di salvezza, il cui valore deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità che è stata affidata alla Chiesa Cattolica» [66].
      A noi cattolici quindi il compito di testimoniare la pienezza di Grazia che riceviamo com l’Eucarisitia a chi non riceve quasto dono.

    • Balqis ha detto:

      No, un momento; rispetto non vuol dire affatto “tacere l’annuncio di Cristo”, né “rimuovere la Croce dal panorama”, ma ascolto dell’altro, conoscenza e comprensione del suo universo culturale e spirituale, anche al fine di riuscire ad introdurvi il messaggio cristiano, con pazienza e con l’esempio prima che con le parole. Io ascolto R.S., ma non dimentico di essere Balqis per il semplice fatto che SO di essere Balqis e non me ne vergogno. Forse, se ne sono capace, in questo rapporto, potrò far sì che R.S. apprezzi ciò che cerco, con tutti i miei limiti, di trasmettergli. “Anche al fine” vuol dire che io cerco di farlo, ma non è detto che ci riesca, anche se spero di sì. Però, nel caso che ciò che spero e per cui mi impegno non si verifichi, non vuol dire che io diventi altro da Balqis.

  • il Matto ha detto:

    “nell’attesa dell’incontro con lo Sposo che tornerà, sperimentandone nel mentre una reale di presenza”.

    Caro R.S., con fraterno rispetto:

    forse è bene lasciar da parte lo “sperimentare la reale presenza”. Specialmente di questi tempi in cui cristi e madonne sembrano proliferare per ogni dove: chi vede o ascolta quelli veri? Domanda da un miliardo di dollari.

    E poi ci cono quelli del Rinnovamento dello Spirito che si intrattengono con esso con una certa … regolarità.

    Mi sembra, inoltre, che sperimentare una “reale presenza” di qualcuno di cui si è “in attesa” sia abbastanza improbabile.

    Cordialità.

    • R.S. ha detto:

      Lei non è matto… è solo troppo inquadrato nei suoi schemi. .

      • il Matto ha detto:

        Inquadrato nei miei schemi?

        Ma allora i miei articoli li ha letti a scappar via!

        Sono, come ho sempre scritto, un assertore dell’apofasi che è la disciplina anti-schemi per eccellenza e lei mi attribuisce degli “schemi”?

        Son uno che parla con un tono non propriamente favorevole di “pachiderma dogmatico” e lei dice che sono inquadrato nei mie schemi?

        Vuol spiegarsi, per cortesia? (Sempre che lo voglia, s’intende).

        • R.S. ha detto:

          Lei è dentro se stesso. Pieno zeppo.
          Provi ad immaginarsi una creatura bisognosa di salvezza e consideri che Dio creatore e redentore ha disposto Lui il necessario della rivelazione.
          Provi anche a considerare la semplicità dei mezzi di Dio rispetto alla superbia con cui il diavolo mescola le carte. Provi a considerare l’umiltà dell’Immacolata Concezione madre di Dio… o la povertà di un’ostia consacrata in cui misteriosamente Dio c’è e qualche volta lascia che un accertamento lo verifichi.
          Per lei questi sono dogmi è perciò schemi. Lei c’è dentro tutto, fino al collo🙃

          • il Matto ha detto:

            Prendo atto del suo parere. di cui, vorrà concedere, anche lei è pieno. Del resto, ognuno è pieno del proprio pensiero.

            “Per caso”, dopo aver letto la sua sentenza, mi imbatto in quest’osservazione di Borges:

            “Le parole presuppongono esperienze condivise. E’ come un sapore o un colore; se l’altro non ha visto quel colore o non ha percepito quel sapore le definizioni son inutili. Si può comunicare solo ciò che è condiviso dall’altro”.

            Lei ed io percepiamo colori e sapori diversi: siamo pieni di diversità incomunicabili.

        • Balqis ha detto:

          Gentile R.S., mi intrometto per dirle, innanzitutto, l’articolo è tra i suoi migliori (anche se il mio preferito è un altro) e che non intendevo sminuire questa qualità con il mio commento precedente (in basso) sul rispetto necessario per instaurare un dialogo con i non cristiani, finalizzato ad un eventuale percorso di conversione. Il commento derivava dalla mia riflessione sul pessimismo che sembra gravare come una pesantissima cappa sui cattolici, che mi appaiono come disillusi sulle proprie capacità di attrarre l’altro da sé e sempre più tendenti alla lamentela sui torti subiti (da cui, spesso, un atteggiamento “rivendicativo” che, a mio avviso, stona un po’). Mi capita in continuazione di leggere commenti su una futura conversione dell’Europa cattolica all’Islam, prospettiva che ritengo francamente inverosimile, più razionalmente pensando che non è affatto da escludere il verificarsi del contrario, se solo si diradasse questa nuvola nera di sfiducia per la quale molti si rappresentano come già sconfitti (mi torna in mente quando, a scuola, mi esortavano a non temere la prova delle interrogazioni altrimenti “ti bocci da sola”). ***** Chiarito questo aspetto, passo all’essere “troppo dentro se stesso”, rivolto al Matto (col quale, però, ricordo momenti di consonanza sul piano della mistica). Che ciascuno di noi lo sia è ovvio, essendo l’esperienza del trascendersi – per noi umani inevitabilmente racchiusi nella gabbia del nostro corpo e della nostra mente – una questione di momenti di particolare grazia. A meno che non si sia santi. Io certamente non lo sono; anche il Matto non credo lo sia (e spero non si offenda per questo, ma non penso).
          Tuttavia, converrà con me sul fatto che tra lo scrivere e l’agire quotidiano (cioè il luogo dove possono dispiegarsi semplicità, umiltà e povertà, quest’ultima intesa come valorizzazione dell’essere e non dell’avere) c’è una distanza che può essere colmata solo in minima parte dall’osservazione del tipo e dalla qualità di interazioni tra commentatori. La scrittura è, per eccellenza, luogo della mente, mezzo del quale ci serviamo per comunicare sia ciò che è, inevitabilmente, “troppo dentro” noi stessi, sia i momenti – quasi degli squarci – in cui siamo in grado di trascenderci (ma la cui consapevolezza rimane pur sempre dentro di noi fino a che non la comunichiamo all’esterno).
          Leggendo ciò che lei scrive, mi sembra di ravvisare una sincera aspirazione alla perfezione della santità, che però è cosa rara e difficilmente raggiungibile, essendo, come lei mi insegna, la porta molto stretta. Una simile aspirazione può celare durezze inaspettate, ma dal complesso dei suoi scritti si evince che, al di là dei momenti di amarezza, lei sa bene che semplicità, umiltà e povertà implicano uno sguardo che è al tempo stesso giustamente severo e umanamente fiducioso.

          • il Matto ha detto:

            La santità? Cos’è?
            Chi SA cos’è?
            Dico chi SA perché È,
            Non chi lo sa a parole.
            Soltanto che chi lo SA perché È
            … non lo dice.
            😇

            Un salutone!

          • Balqis ha detto:

            Anche a lei! Che mondo sarebbe se non ci fossero i Matti? 🤣

  • E.A. ha detto:

    Bellissima riflessione, pregna di verità! In quel Marana tha è racchiusa tutta la forza e la Fede di un credente (che si nutre e vive di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio) e che in quell’Attesa vede e può concretizzare ogni sua speranza! In questa speranza, sperimenta ogni giorno il proprio bisogno, la propria sete, la propria incompletezza, l’incapacità e l’impotenza del proprio agire, se privo di una Visione, di un Aiuto, di una Meta, di una certezza che vada ben oltre il proprio angusto spazio di mondo, per lo più compresso ed offuscato dai propri ed altrui peccati. Marana tha diventa quindi anche il grido dei poveri, il sollievo dei sofferenti, la luce che brilla in fondo al tunnel… e questo grido si trasforma in desiderio, la cui brama, come per ogni altro desiderio a cui si anela, ti porta a fare delle scelte, ti suggerisce dei ripensamenti, ti indica delle svolte o delle rinunce… affinché il suo agognato compimento non ti sorprenda impreparato, non ti colga alla sprovvista, ma in qualsiasi momento possa rivelarsi come la tanto desiderata salvezza!

  • R.S. ha detto:

    In estrema sintesi: il cristiano riceve lo Spirito Santo e chi è spiritualmente vivo (in Grazia) ha il compito di testimoniare Gesù Cristo vivente restando vigilante nell’attesa dell’incontro con lo Sposo che tornerà, sperimentandone nel mentre una reale di presenza, che rende gioiosi e capaci di amare Dio e il prossimo anche portando la croce (la cui eventuale comparsa non è una punizione, ma un’ulteriore segno di comunione con Gesù).

    • Balqis ha detto:

      “a chi non è cristiano il dono più grande quello di fargli conoscere la Verità di Gesù, altro che il rispetto per non offenderlo!”, Come si potrà “fargli conoscere la Verità di Gesù” senza un atteggiamento di rispetto, tale da favorire l’ascolto?

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