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LA VIRTU’ DI DON CALOGERO SEDARA

Written by laura. Posted in Articoli, homepage

letteredi Adriano Voltolin

Un banale scambio di battute con un albergatore nella Sicilia sud-orientale che desiderava nascondere in modo puerile che non accettava una carta di credito perché la banca emettitrice gli chiedeva commissioni troppo alte, mi ha riportato alla mente la figura di don Calogero Sedara, il padre di Angelica nel Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Il principe di Salina, dopo aver declinato l’invito a diventare senatore del nuovo Regno d’Italia, dice a Chevalley, l’inviato di Vittorio Emanuele, che gli suggerirebbe un nome più adatto del suo per i tempi che si avvicinano, quello appunto di Calogero Sedara che così descrive [1]: Egli ha più meriti di me per sedervi [al Senato]: il casato, mi è stato detto, è antico o finirà per esserlo; più che quel che lei chiama il prestigio egli ha il potere; in mancanza di meriti scientifici egli ne ha di pratici, eccezionali; la sua attitudine durante la crisi di maggio più che ineccepibile è stata utilissima: illusioni non credo abbia più di me, ma è abbastanza svelto per sapere crearsele quando occorra. E’ l’individuo che fa per voi. Ma dovete far presto, perché ho inteso che vuol porre la propria candidatura alla Camera dei deputati. In Calogero Sedara possiamo vedere non tanto l’antesignano di una struttura di potere mafiosa – i voti contrari all’adesione al nuovo Regno erano stati abilmente trasformati, nelle pratiche elettorali, in favorevoli – quanto la raffigurazione del politico nei tempi nuovi: un uomo che non ha illusioni, ma che se le crea da sé perché nel fervore generale di cambiamento tutto resti come prima: fedele borbonico fino allo sbarco di Garibaldi, dal giorno dopo diviene savoiardo militante. Un fenomeno che si ripeterà ottanta anni più tardi, quando, dal 25 luglio del 1943 al 26, fermissimi funzionari fascisti divennero convinti antifascisti. Come dice il principe di Salina nel film di Visconti, Sedara ha vaghi ideali di sfondo ad un solidissimo senso dei propri affari. Il nucleo più profondo della cultura mafiosa è il familismo, il far venire prima gli interessi della propria parte: famiglia, partito, fede religiosa, genere, e solo dopo, se vi è una qualche convenienza, quelli della comunità. In questo senso, in Calogero Sedara vengono rappresentati in un’unica figura il mafioso, il politico e il benpensante che non rappresentano tre aspetti diversi di un unico, ma quell’unico che è capace di assumere il volto più conveniente al proprio interesse. E’ ovvio che chi scrive pensa che di Calogero Sedara abbiamo anche oggi sulla scena nazionale dei pronipoti perfettamente rispondenti all’immagine del loro trisavolo. Ciò che li muove, al di la del potere e del denaro che ne viene, sembra essere quella pulsione primaria della fame il cui oggetto è, come dice un altro grande scrittore siciliano, Giovanni Verga, la robba. La robba rappresenta esemplarmente quella saldatura tra quanto vi è di positivo nella pulsione, la spinta a vivere, con quanto appare dominato invece dalla distruttività e dalla morte, l’oralità insaziabile. Accumulare è la reale passione di Calogero Sedara, il suo godimento, direbbe Lacan: poteva mangiare solo mezzo uovo fritto per accumulare ricchezza e spendere ogni tari in modo da averne un cospicuo ritorno. Prestiti a usura, terreni molto fertili, oggetti di valore, tutto serve per aumentare la propria ricchezza; Sedara non è un capitalista, non sa che gli oggetti possono essere merce, ma solamente li vede come parti di un tutto infinito di cui lui cerca di appropriarsi nello stesso modo illogico con il quale Achille non riusciva a raggiungere la tartaruga. La pulsione è acefala, non sa di un resto che non consente mai di divorare il seno per intero, di un oggetto che sfugge indefinitamente, come dice Jacques-Alain Miller [2] . La fame, come si dice, aguzza l’ingegno; e Sedara di questo ne ha molto: Freud ci dice che la fame rappresenta tutte quelle pulsione che das Einzelwesen erhalten wollen [3] (che vogliono conservare il singolo individuo). Il non nutrire illusioni non produce, come invece nel principe di Salina, un senso di inutilità e di impotenza, ma moltiplica la sua voracità. Prima del referendum correva come un pipistrello per ogni campagna per sostenere e promuovere l’adesione al Regno d’Italia, dopo per servire il nuovo potere e per diventarne parte. Calogero Sedara non è però solo l’immagine del politico che ha solo interesse al proprio particulare come ci ha detto Guicciardini, ma è anche il prodotto della mancanza di senso della comunità. E’ nella Napoli del dopoguerra che i bambini che non hanno da mangiare e ai quali nessuno provvede si inventano sciuscià come ci ha mostrato Vittorio De Sica. Edoardo Bianchi ed Angelo Rizzoli, industriali capacissimi e fondatori di veri imperi, erano bambini poveri cresciuti dai Martinitt, la fondazione assistenziale milanese creata nel XVI secolo per assistere i bimbi orfani e abbandonati. La spinta a farsi largo con le proprie capacità per sopravvivere è un effetto positivo della pulsione orale, ma produce anche individui fondamentalmente asociali che non manifestano però tale tratto di carattere sul piano clinico, ma su quello dell’incomprensione radicale dei diritti degli altri: Calogero Sedara affamava i contadini delle sue tenute, Rizzoli non era certo troppo propenso ad accettare il sindacato nelle sue fabbriche. Ettore Scola nel film C’eravamo tanto amati ci ha dato, con il personaggio di Romolo Catenacci, un ritratto magistrale di un capomastro sveglio e abile che si era fatto da sé divenendo un palazzinaro romano, e che, licenziando un manovale, dice all’amministratore, fatti bene i conti su ciò che gli spettava, di dargli la metà. Melanie Klein ha sostenuto che la radice della psicosi e della criminalità è la stessa: una violenta aggressione nei confronti degli oggetti persecutori sia interni che esterni. L’aggressione criminale verso chi rivendica un proprio diritto è evidentemente una proiezione delle proprie angosce persecutorie infantili [4]. L’asocialità come questione solo clinica è una sciocchezza senza fondamento perché, come afferma in modo perentorio Winnicott, la tendenza antisociale non è una diagnosi [5]. L’asocialità, come argomenta ancora Winnicott, la si può riscontrare nelle psicosi, come nelle nevrosi ed anche in individui normali [6]. La pulsione appropriativa si mostrerebbe in effetti come un tratto patologico solamente in una società nella quale i Calogero Sedara non fossero ritenuti adatti ad essere esponenti di una classe politica, ma, al contrario, elementi pericolosi per la conduzione della polis. Il fatto che Winnicott possa riscontrare una tendenza antisociale in individui normali è spiegato dalla considerazione che un tratto patologico non appare come tale in una società che, in quanto società, ne è parimenti affetta: è una screziatura tra le screziature [7]. La normalità appare sempre essere legata profondamente al contesto che la indica come tale. La fame che è molla e radice di molte capacità, mostra il suo aspetto pericoloso quando viene assunta come valore da una comunità, quando cioè essa diviene una virtù politica. Il principe di Salina ha chiaro che Calogero Sedara è l’uomo perfetto per rivestire cariche politiche, diverrà senatore, in una società che ammira la furbizia che porta al vantaggio del particolare. E’ evidente che una società nella quale l’ingordigia diviene un valore, è ingovernabile: se ciascuno è proteso a prendere per sé e per la sua parte tutto ciò che gli è possibile, la comunità è solamente intesa come un’arena nella quale il più forte sarà padrone solo sopprimendo tutti gli altri: don Batassano, il protagonista di un breve racconto di Tomasi di Lampedusa, con i suoi occhi di contadino sfrontato guardava alla carta geografica della sua provincia nella quale aveva colorato di giallo i suoi possedimenti e la sua ambizione era di far diventare gialla tutta la carta [8]. Se un uomo così è stato capace di far fiorire la sua azienda in modo straordinario, non sarà in grado di fare l’eguale con l’azienda Italia? E’ un ragionamento che è stato fatto ripetutamente quando un Calogero Sedara dei nostri tempi si è affacciato, sceso in campo, alla vita politica. Il governo in verità, aveva sintetizzato molto bene Locke riprendendo un concetto di filosofia politica che viene dal pensiero platonico per arrivare a Freud, è il proper remedy for the inconveniences of the state of nature [9]. La questione infine della asocialità di cui è impastata l’abilità, l’intraprendenza, la lungimiranza e l’ambizione dei Calogero Sedara è materia della psicoanalisi? Winnicott risolutamente risponde di no in quanto pensa che il rimedio è l’offerta di cure che il bambino può riscoprire e mettere alla prova [10]. Winnicott si riferisce al bambino come tale ed il suo suggerimento è prezioso proprio per evitare una deriva medicalistica nell’affrontare il problema [11], ma come si pone la questione invece quando la si guarda sotto il profilo della specificità della pulsione primaria? La posizione della psicoanalisi di impostazione kleiniana è quella di una necessità di integrazione dell’aggressività e della violenza con gli aspetti buoni del seno perché i primi vengano contenuti: si tratta del difficile passaggio alla posizione depressiva, passaggio che solo forzatamente si può considerare compiuto in modo definitivo: Bion sostiene che il pendolamento tra posizione schizo-paranoide e posizione depressiva è la normalità e del resto anche Klein chiama le due strutturazioni posizioni e non stadi. Riguardo alla sublimazione la Klein ne individua la sostanza nell’attività riparativa dell’oggetto danneggiato [12], ma anche la riparazione non giunge mai a compimento; rappresenta il motore che spinge verso un oggetto irraggiungibile. Anche per Bion non vi è risoluzione per via clinica della spinta pulsionale, ma tale spinta permane impedendo una stabilizzazione definitiva nella posizione depressiva. In verità non potrebbe essere altrimenti perché se le spinte pulsionali venissero guarite non esisterebbero più fame e desiderio sessuale. Esse debbono necessariamente rimanere: la questione vera è quella della loro regolazione affinché la vita della comunità non ne venga irrimediabilmente danneggiata. E questa è una questione politica, cioè che può essere affrontata solamente nel governo della polis. Nel microcosmo familiare del resto la psicoanalisi ha individuato nell’atteggiamento dei genitori verso i bambini la chiave per interpretare l’insorgenza dei disturbi infantili: tollerare che la pulsione orale diventi ingordigia (Winnicott) prepara una difficoltà enorme nel rapportarsi agli altri, una tendenza asociale. Lo aveva spiegato molto bene Susan Isaacs in un lavoro dedicato allo sviluppo della socialità nei bambini [13]. Se all’interno della famiglia vi è una politica, un governo, cioè se i genitori svolgono quella funzione di legislazione che fornisce ai bambini le prime regole di comportamento [14], certamente questi sarebbero aiutati nell’aver a che fare con le proprie pulsioni. Lacan, con il saggio Kant con Sade del 1963, aveva fatto un passo fondamentale per il ripensamento del concetto di pulsione: l’imperativo categorico si presenta come qualche cosa a cui non ci si può sottrarre esattamente, come, in Sade, non è dato di sottrarsi all’imperativo di godere. Sade smaschera la scissione, solitamente elusa, del soggetto [15]. La pulsione è, in quanto tale, inaggirabile; essa non solo è parte costitutiva del soggetto, ma rappresenta un unico entro al quale solo la scissione può eludere il problema del reale e della sua irruzione nella mente. L’ultimo Lacan, quello del seminario sul Sinthomo (1975-76)[16], punto d’arrivo della clinica di Lacan [17], non risolve più il sintomo in un significante, ma trova nel sinthomo, in quello cioè che permane oltre i tre registri, ciò impone di non leggere più il reale a partire dal significante, ma il significante a partire dal reale [18]. La pulsione, afferma Lacan, è una eco del corpo, del fatto che ci sia un dire [19]. Il dire, il dare un senso, costituisce una verità che è ingannevole non in quanto falsa, ma proprio perché è vera. Il suo donare senso fornisce l’idea di una risoluzione del sintomo, di una guarigione: l’analisi non ortodossa priva di senso i suoi pazienti [20]. E’ un’esperienza abbastanza comune nel lavoro analitico il non riuscire da parte dell’analista ad affrontare il problema delle n interpretazioni: è vero, come argomentava già Cesare Musatti, che le interpretazioni possibili di un fatto sono appunto n, in quanto ogni interpretazione può essere vista come il testo palese che ne nasconde un altro, ma è anche vero che le interpretazioni infinite mostrano quanto l’interpretazione rappresenti un oggetto di per sé irrappresentabile. E’ il soggetto stesso, nella sua articolazione dei tre registri a rappresentare una supposizione [21], un costrutto nel quale parti diverse, ciascuna indispensabile, come nel nodo borromeo, danno una immagine di in-dividuo. E’ evidente che alla luce della lettura che da l’ultimo Lacan della struttura del soggetto, la questione della risoluzione della pulsione orale e delle sue spaventose conseguenze non possa essere risolta attraverso una clinica psicoanalitica che Lacan definiva ortodossa. Non si può affrontare il problema dei mille Calogero Sedara, che affollano la scena pubblica ben più oggi di quanto lo facessero a metà del secolo XIX, curandoli tutti uno a uno, ammesso che questa, ridicola ed insensata, possa essere considerata un’ipotesi. Jacques-Alain Miller oppone alla psicoanalisi ortodossa una psicoanalisi eretica che abbia come obiettivo una ripulitura dal senso [22]. La psicoanalisi eretica è quindi una psicoanalisi che non è interminabile nel senso che Freud aveva dato alla questione [23], ma che tratta l’interminabilità come un tema che inganna e che pone invece di fronte a un che fare? per il quale la psicoanalisi stessa potrebbe diventare una protezione contro l’angoscia della mancanza di senso. La persistenza della pulsione, individuata come il male, diviene un dato rispetto al quale ci si può attrezzare, per esempio in un isolamento claustrale alla maniera di Santa Radegonda [24], del sinologo Peter Kien [25] e dell’anziano professore che ci ha descritto Luchino Visconti nel film del 1974 Gruppo di famiglia in un interno: il peccato, il mondo, la borghesia rappresentano rispettivamente per questi personaggi il godimento; la prima ed il secondo hanno l’illusione che, rifugiandosi nella propria angusta cella (Santa Radegonda) o nella propria casa foderata di libri (Kien) si possa separarsi dalla pulsione che è affare di altri, il professore di cui parla Visconti sa invece che lui stesso è parte di quel male (e della sua persistenza) dal quale l’isolarsi è solo un’illusione. Un’altra via per dare un senso è quella dei Calogero Sedara danno un significato alla loro fame dicendo(si) che non fanno nulla per se stessi: non nobis domine, il motto dei cavalieri templari, è inciso sulla facciata di tanti palazzi, come Ca’ Vendramin Calergi sul Canal Grande a Venezia, ma è anche l’excusatio non petita che si può ascoltare tutti i giorni nei discorsi dei politici. Quello che Lacan ci ha mirabilmente mostrato è che le pulsione di vita e di morte non sono tanto degli opposti, quanto elementi coesistenti nella pulsione in quanto tale. Non si tratta allora di trovare un sopportabile grado di integrazione tra le due, il godimento lacaniano fa esattamente questo. E’ la pulsione come tale, la Hunger rivolta all’autoconservazione, che deve essere limitata per le ragioni lucidamente esposte da John Locke. La psicoanalisi, quella che Miller chiama eretica, è la psicoanalisi che deve avere quello spirito critico che serve per poter vedere chiaramente la patologia della quale la società è pervasa: Gemeischaftneurose l’aveva chiamata Freud [26]. La psicoanalisi ortodossa è quella che resta prigioniera del mondo amministrato, così si esprimeva in una conversazione radiofonica del 1950 Theodor Adorno che guardava sconsolato alla psicoanalisi americana [27]. Non vi è cura nel senso medicalistico per le Gemeinschaftneurosen: si può cercare di tenerle a freno, ma soprattutto di prevenirle con le regole, le leggi, la cui funzione, come aveva detto Franco Fornari, è quella di proteggere la comunità dalle angosce schizoparanoidi

[1] Tomasi di Lampedusa Giuseppe Il gattopardo Feltrinelli, Milano 1958, pag.214
[2] Miller Jacques-Alain Divini dettagli Astrolabio, Roma 2021
[3] Freud Sigmund Das Unbehagen in der Kultur in Freud Studienausgabe Band IX Fischerverlag, Frankfurt am Mein 1974, pag.245
[4] Klein Melanie Criminalità in “Scritti 1921-1958” Boringhieri, Torino 1978, pag.294
[5] Winnicott Donald Dalla pediatria alla psicoanalisi Martinelli, Firenze 1975, pag.366
[6] idem
[7] Si rinvia, per questo tema, a Voltolin Adriano Il rilievo e lo sfondo. Clinica della pulsione gregaria Franco Angeli, Milano 2006
[8]Tomasi di Lampedusa G. I racconti Feltrinelli, Milano 1961, pag.130
[9]Locke John Il secondo trattato sul governo Rizzoli, Milano 1998, pag,77
[10] Winnicott D., op. cit., pag.374
[11] Come purtroppo invece suggerisce esplicitamente il Manuale diagnostico psicodinamico PDM-2 curato da due psicoanalisti junghiani ,Vittorio Lingiardi e Nancy Williams, Cortina , Milano 2017, pag.609
[12] Klein M. Situazioni d’angoscia infantile espresse in un’opera musicale e nel racconto di un impeto creativo in “Scritti 1921-1958” cit.
[13] Isaacs S. Social Development in Young Children Routledge, London 1933
[14] L’espressione è di Antonio Gramsci. Si veda Schinello Salvatore Tutta la nostra intelligenza. Il concetto di egemonia in Gramsci GOG, Roma 2017, pag.45
[15] Lacan Jacques Scritti vol.II Einaudi, Torino 1974, pag.770
[16]Lacan J. Il seminario. Libro XXIII. Il sinthomo 1975-1976 Astrolabio, Roma 2006
[17] Miller J.-A. L’uno-tutto-solo Astrolabio, Roma 2018, pag.252
[18] Idem, pag.257
[19] Lacan J. Il sinthomo op. cit, pag.16
[20]Miller J.-A. L’uno-tutto-solo op. cit., pag.259
[21] Lacan J. Il sinthomo op.cit., pag.28
[22] Miller J.-A. L’uno…op.cit., pag.260
[23] Freud S. Analisi terminabile e interminabile in OSF vol.XI, Boringhieri, Torino 1979
[24] Frugoni Chiara Donne medievali Il Mulino, Bologna 2021
[25] Canetti Elias Autodafè Adelphi, Milano 1981
[26]Freud S. Das Unbehagen in der Kultur “ in Freud Studienausgabe” Band IX op. cit., pag.269
[27] Adorno W. Theodor La crisi dell’individuo Diabasis, Reggio Emilia 2010, pag.109
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