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2013
I saggi qui raccolti trattano in prevalenza del maggior poeta italiano, che fu anche uno dei maggiori europei, di fine Settecento: Vittorio Alfieri. Ma non a lui essi sono esclusivamente dedicati. L’esperienza militare dell’illuminista milanese Pietro Verri, l’importanza delle traduzioni per il rinnovamento del gusto nella cultura letteraria di lingua italiana tra Sette e Ottocento, sono anch’essi temi di queste pagine. Ma Alfieri certo domina o almeno autorevolmente affiora in tutte. Con la sua innovativa concezione del poeta; la sua arte bicefala, sublime e anti-sublime; la sua autobiografia (probabilmente la più bella della letteratura italiana); i suoi rapporti con le arti figurative; il suo amore per i viaggi; il suo contributo alla fissazione del canone dei «quattro poeti»; il suo assorbimento nella cultura risorgimentale, forse fonte del declino della sua fama fuori d’Italia. Lo sfondo del discorso di Arnaldo Di Benedetto non è unicamente “nazionale” – in tempi nei quali la stessa nozione di «letteratura nazionale» è palesemente in crisi e si fa sempre più evanescente.
2014 •
I contributi qui raccolti, stimolati dalle ricerche condotte parallelamente alla stesura di un commento al corpus lirico di Vittorio Alfieri, affrontano la biografia e l’opera del poeta per problemi specifici e secondo un taglio di volta in volta interpretativo, storico o filologico. L’indagine dei debiti che lo scrittore contrasse con gli autori del passato e del proprio tempo trova spazio nei primi due saggi, dedicati rispettivamente a esaminare, da un lato, la ricezione di Dante quale modello riconosciuto di eccellenza poetica e sommo esempio di ‘letterato sprotetto’ nonostante il giudizio generalmente negativo espresso nel Settecento e, dall’altro, l’influenza, sistematicamente circoscritta e rimossa, dell’esperienza poetica di Carlo Innocenzo Frugoni sulla lirica alfieriana. Mentre il terzo contributo punta a cogliere, tra idealità politiche deluse e inesausta tensione antitirannica, un’istantanea dell’Alfieri antifrancese così come viene trasmessa dai sonetti e dagli epigrammi del Misogallo e delle Rime, il saggio seguente si sofferma sulle vie con cui, secondo lo scrittore, l’uomo interiormente libero possa vivere in un’epoca in cui l’azione eroica è impossibile e sulla conseguente necessità per il poeta-vate di eternare la virtù esistita in potenza e rimasta sconosciuta per la corruzione dei tempi. Dopo aver esplorato un passaggio sinora ignoto nella complessa storia editoriale delle Rime stampate a Kehl attraverso la descrizione delle bozze conservate presso la Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, il volume si chiude con l’analisi del rapporto di amicizia e rivalità instauratosi tra Alfieri e il suo «maestro» Agostino Amedeo Tana negli anni dell’apprendistato letterario e poi della comune discesa nell’arengo tragico.
in "Studi Piemontesi", dicembre 2017, vol. XLVI, fasc. 2, pp. 481-489.
Croce e la critica letteraria piemonteseLo studio prende innanzitutto in considerazione la prima metà del Novecento, caratterizzata dalla lontananza del mondo universitario torinese dal metodo di Croce. Si sofferma poi sul rapporto con Croce, nel secondo Novecento, degli italianisti della facoltà di Lettere, Giovanni Getto e i suoi allievi Giorgio Bàrberi Squarotti e Marziano Guglielminetti, critico di Croce il primo e violentemente anticrociani i secondi, e di quelli raccolti intorno a Mario Fubini e al “Giornale storico della letteratura italiana”, in particolare Ettore Bonora e Arnaldo di Benedetto, molto più attenti alla sua lezione di metodo e alle sue concrete acquisizioni critiche This study begins by examining the first half of the Twentieth century, when the academic environment of Turin is quite distant from Croce’s methodology. It then analyses the second half of the century, focussing on Croce’s reception by two different groups of scholars of Italian Literature at the University of Turin. Firstly, it considers the school of the “Facoltà di Lettere”: Giovanni Getto and his students (afterward professors) Giorgio Bàrberi Squarotti and Marziano Guglielminetti. If Getto criticised Croce, the others violently polemicized against him. Secondly, it examines the group that gravitated around Mario Fubini and the ‘Giornale storico della letteratura italiana’, particularly, Ettore Bonora and Arnaldo di Benedetto, who were much more interested in his methodological and critical acquisitions
Ugo Foscolo - Classici Italiani Treccani (I grandi autori della Letteratura italiana)
Introduzione a «Ugo Foscolo» (Classici Italiani Treccani) [2012]2012 •
«Alfieri è ancora qui con noi…»: così afferma Salvatore Quasimodo nei suoi Scritti sul teatro (1961), esprimendo una sua intuizione felice, ovvero che il potere evocativo del Tragico rimane immutato nei secoli grazie alla contemplazione della sacralità del momento creativo. Sacralità assolutamente laica, tutta proiettata al di fuori, vigorosa, maschia; eppure esternata da un’intimità fragile, impreziosita dall’amor di Gloria (come dall’amor di Libertà) e, paradossalmente, presuntuosa per l’incompatibilità tra il reale e il «bollore di cuore e di mente» (Del Principe e delle lettere). La peculiare grandezza di Alfieri si deve a questa tenace indole lunatica, sempre insoddisfatta, commossa dai trionfi poetici; a volte ironica nel fallimento; a volte eccessiva nella condotta e nel rifiuto. Eppure esiste un Alfieri che scende a compromessi con il reale; e ne paga il prezzo perdendosi in un groviglio di commissioni, richieste, conti, scartoffie, formalismi imbellettati, maniere precise e impoetiche; è l’Alfieri delle epistole. In quasi tutte le lettere, infatti, si possono trovare riferimenti alla routine del Poeta: vi sono anche molti incisi di prosa sublime; ma compiono voli pindarici, precipitando nel tedio delle faccende quotidiane. Proprio per tale motivo, all’interno della corrispondenza alfieriana, spiccano le ultime lettere del Poeta: la meccanicità tediosa ripiega nel conforto degli affetti, con una sincera sensibilità tremendamente generosa, finalmente, di concedersi. Nelle lettere prossime alla sua morte, Alfieri non si abbandona a patetismi impietosenti; bensì, con lucida dignità di nobile piemontese, coinvolge il lettore, riconducendo la narrazione dell’epistolario a quella della Vita; si rende persona e personaggio allo stesso tempo, sdoppiandosi senza equilibrio – pur mantenendo una brillante eleganza. Il lavoro filologico svolto mira a estorcere, nell’analisi di un campione di lettere del 1803, le impressioni sopra descritte. Metamorfosi speculare si palesa nella lettera dell’Abate di Caluso alla Contessa d’Albany; i sonetti in dedica al Poeta e la descrizione dei suoi ultimi giorni non solo fondono in un unico racconto persona e personaggio di Alfieri (collegando realtà e immagine ideale); ma inseriscono una nuova voce narrante che si amalgama alla precedente, rendendo Caluso stesso un personaggio dell’autobiografia del Tragico. La solennità dell’epistola rende l’Abate ultimo testimone della somma magnificenza dell’Amico; questa consapevolezza deve essere rimasta ben presente a Caluso quando la scrisse (soprattutto nel momento in cui compose i sonetti); ciò lo si evince dalle molte correzioni, elisioni, aggiunte e modifiche avvenute nel corso della stesura, tanto da generarne più versioni, ovvero la minuta e la redazione ufficiale (pubblicata in fondo alla Vita come finale dell’opera). Il confronto dei due esemplari della medesima epistola – uno del 1804, è conservato all’Archivio della Fondazione Centro di Studi Alfieriani di Asti; l’altro del 1807, è custodito presso la Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze – costituisce il fulcro di questa ricerca. L’analisi di questi manoscritti è aggiornata rispetto alle passate, poiché le trascrizioni precedentemente svolte sono incomplete a causa della mancanza di tecnologie adeguate per decifrare molte parole, rese poco riconoscibili dalla consunzione (inchiostro evanito, macchie di umidità, ecc.) nonché comprensibili solamente con un ingrandimento dell’immagine, poiché le numerose correzioni, accumulandosi, hanno reso oscure la maggior parte delle varianti. La trascrizione più accurata (e, nonostante la precisione, limitata per quanto spiegato poc’anzi) fu realizzata da Marco Sterpos ed è contenuta tra le Aggiunte alla Vita nelle Opere di Vittorio Alfieri da Asti (Asti, Casa d’Alfieri, 1983, vol. XXXIX, pp. 157-176). La ricerca qui proposta, inoltre, tenta un approccio più dettagliato dei contenuti della lettera, con l’aggiunta di un commento specificamente letterario, note di critica intertestuale, precisazioni storico-biografiche e considerazioni esegetiche. Lo studio è suddiviso in tre grandi sezioni: Gli affetti, La morte e Le lettere. La prima parte è dedicata al rapporto di Alfieri con le persone a lui care (la sorella Giulia, la Contessa e l’Abate); la seconda tenta di interpretare la visione della morte secondo il Poeta; la terza consiste nell’analisi filologica delle lettere selezionate. Le epistole appaiono così introdotte dall’approfondimento sull’animo di Alfieri (per quanto si riesca a raggiungerne l’essenza) e sulla sua concezione di amore e morte. Sono state aggiunte, in appendice, le fotografie dei manoscritti presi in analisi. Il lavoro filologico permette di entrare nel testo da ospite privilegiato o, considerato da un altro punto di vista, da curiosissimo intruso: qualunque sia l’ottica al riguardo, l’amore per l’Autore ha percorso interamente questo studio, non separandosi mai dall’entusiasmo per i contenuti (si aggiunga una incredibile quanto intensa affinità con il Poeta). Si è cercato sempre di trattare gli argomenti con la massima delicatezza possibile; ogni considerazione è stata riportata alla luce di riflessioni derivate dai testi osservati – lettere, poesie e Vita.
I "Sepolcri" di Foscolo. La poesia e la fortuna, a cura di A. Bruni e B. Rivalta, Bologna, Clueb, 2010, pp. 97-127
Dall' "epistola" al "carme". Sul genere metrico-letterario dei "Sepolcri"Tesi di Dottorato
Nell’arco cronologico teso tra la creazione e la crisi dello stato liberale borghese, tra la Rivoluzione francese e la Prima Guerra Mondiale, in Italia si afferma la figura del poeta-vate, che accompagna con i suoi carmi il processo di unificazione nazionale e si incarica dell’elaborazione di un’identità condivisa. A tal fine l’ «invenzione della tradizione» e l’allestimento di un canone patriottico, depositario delle memorie, si coniugano con i progetti politici, proiezione delle speranze, che i poeti contribuiscono a modellare, rivendicando un ruolo di guida spirituale laica. Tale missione delle lettere, coinvolte nel divenire storico, entra però in conflitto con l’aspirazione all’universalismo acronico della poesia «pura» che sottende le poetiche classiciste ancora operanti nei maggiori autori italiani dell’epoca e che, al tempo stesso, ne esprime la reazione di fronte alla marginalità cui li relega l’incipiente società capitalistica.
2010 •
2011 •
Storia dell'italiano scritto. I Poesia, diretta da G. Antonelli, M. Motolese, L. Tomasin
La crisi della lingua poetica tradizionale2014 •
Critica letteraria
L'interpretazione di Vittorio Imbriani del sesto centenario della nascita di Dante2012 •
Leopardi e il ’500, ed. by Paola Italia, preface by Stefano Carrai, Pisa, Pacini, 2010, pp. 145-155
'E chi non sa l’inferno… di quell’impiccio petrarchesco'? Leopardi e Caro poeta2010 •
Franco Angeli
La tirannide degli affetti. «Affetti naturali» e «affetti di libertà» nelle tragedie alfieriane2017 •
2019 •
2012 •
Giornale storico della letteratura italiana
Per una definizione storica di 'Dilettante' (1650-1800)2016 •