Una raccolta delle più belle poesie sulla natura

Le migliori poesie sulla natura

di Elisabetta Rossi

State cercando poesie sulla natura per celebrare l'ambiente e i suoi paesaggi? Nell'articolo trovate raccolte le migliori.

Indice

La natura è l’insieme delle piante, degli animali, dei mari, dei fiumi, del cielo e della terra, è il mondo da cui siamo circondati, quello non intaccato da cemento e fili elettrici. Ogni fenomeno fisico e ogni forma di vita dipende da essa, da quelle che sono le sue regole e i suoi principi. Non per nulla la parola deriva dal latino Natura e il suo significato è ciò che sta per nascere.

La natura può avere una forza così dirompente da non poterla fermare in alcun modo. Basti pensare ai terremoti più violenti, alle inondazioni o alle giornate estive caratterizzate da temperature estremamente elevate. Di fronte a questi eventi, si può solo tentare di difendersi nel modo migliore possibile perché porvi un freno non rientra nelle possibilità umane, sebbene la scienza si sia evoluta moltissimo negli ultimi anni.

La natura è dunque ricca di paesaggi mozzafiato in grado di stimolare riflessioni interiori su se stessi e opere poetiche di grande pregio nelle quali vengono messe in evidenza le sue caratteristiche principali, tutto ciò che colpisce l’occhio umano come un tramonto, una tempesta, un bosco accarezzato dalle prime luci del mattino.

Nell’articolo abbiamo raccolto le poesie sulla natura più interessanti e coinvolgenti scritte da autori italiani e stranieri che siamo sicuri vi lasceranno senza parole.

Le più famose poesie sulla natura

La natura è stata per diversi poeti una vera e propria musa, la fonte d’ispirazione di alcuni dei componimenti più belli mai scritti. Liriche che sono entrate a far parte dell’immaginario collettivo e che ancora oggi catturano l’attenzione di adulti e bambini. Soprattutto per i piccoli sono un modo per spiegare loro alcuni aspetti del mondo e dei fenomeni atmosferici.

Ad esempio Emily Dickinson nella lirica Natura è ciò che vediamo, parla della collina, del cielo, del mare, degli uccellini, sottolineando come la natura sia qualcosa di semplice ma impossibile da esprimere.

Natura è ciò che vediamo –
La collina – il meriggio –
Lo scoiattolo – l’eclissi – il calabrone –
Ma no – la natura è il cielo –

Natura è ciò che sentiamo –
L’uccellino – il mare –
Il tuono – il grillo –

Ma no – la natura è l’armonia –
Natura è ciò che conosciamo –
Ma non possiamo esprimere –

La nostra saggezza è impotente
Di fronte alla sua semplicità.

William Blake, a sua volta, in pochi versi riesce a raccontare l’infinita bellezza della natura che può essere colta anche osservando un granello di sabbia.

Vedere un mondo in un granello di sabbia,
E un cielo in un fiore selvatico,
Tenere l’infinito nel cavo della mano
E l’eternità in un’ora.

George Gordon Byron nella lirica Vi è un piacere nei boschi inesplorati sostiene che il suo amore verso la natura è superiore a quello per l’uomo e che visitare foreste e spiagge deserte gli comunica un senso di estasi e di piacere.

Vi è un piacere nei boschi inesplorati
e un’estasi nelle spiagge deserte,
vi è una compagnia che nessuno può turbare
presso il mare profondo,
e una musica nel suo ruggito;

non amo meno l’uomo ma di più la natura
dopo questi colloqui dove fuggo
da quel che sono o prima sono stato
per confondermi con l’universo e lì sentire
ciò che mai posso esprimere
né del tutto celare.

Gianni Rodari ci ha lasciato la bella filastrocca Il cielo è di tutti, in cui parla, come suggerisce lo stesso titolo, del cielo ammirato da chiunque, dai piccoli come dai grandi.

Qualcuno che la sa lunga
mi spieghi questo mistero:
il cielo è di tutti gli occhi
di ogni occhio è il cielo intero.

È mio, quando lo guardo.
È del vecchio, del bambino,
del re, dell’ortolano,
del poeta, dello spazzino.

Non c’è povero tanto povero
che non ne sia il padrone.
Il coniglio spaurito
ne ha quanto il leone.

Il cielo è di tutti gli occhi,
ed ogni occhio, se vuole,
si prende la luna intera,
le stelle comete, il sole.

Ogni occhio si prende ogni cosa
e non manca mai niente:
chi guarda il cielo per ultimo
non lo trova meno splendente.

Spiegatemi voi dunque,
in prosa od in versetti,
perché il cielo è uno solo
e la terra è tutta a pezzetti.

La quiete dopo la tempesta è una famosissima poesia di Giacomo Leopardi in cui nella prima parte viene descritta la ripresa della vita dopo un violento temporale e nella seconda è evidenziata l’infelicità del genere umano. L’unica fonte di gioia per le persone è la temporanea cessazione del dolore.

Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;

Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato.

L’artigiano a mirar l’umido cielo,
Con l’opra in man, cantando,
Fassi in su l’uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell’acqua

Della novella piova;
E l’erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.

Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano

Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passegger che il suo cammin ripiglia.
Si rallegra ogni core.

Sì dolce, sì gradita
Quand’è, com’or, la vita?
Quando con tanto amore

L’uomo a’ suoi studi intende?
O torna all’opre? o cosa nova imprende?
Quando de’ mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d’affanno;
Gioia vana, ch’è frutto

Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte
Chi la vita abborria;

Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo

Mossi alle nostre offese
Folgori, nembi e vento.
O natura cortese,
Son questi i doni tuoi,

Questi i diletti sono
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
È diletto fra noi.

Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana
Prole cara agli eterni! assai felice

Se respirar ti lice
D’alcun dolor: beata
Se te d’ogni dolor morte risana.

La mia sera di Giovanni Pascoli è una poesia appartenente alla raccolta Canti di Castelvecchio ed è costruita tutta su un’analogia, una corrispondenza diretta tra il paesaggio che volge al tramonto e lo stato d’animo del poeta.

Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c’è un breve gre gre di ranelle.

Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una gioia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera!

Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
Là, presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo.

Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell’aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell’umida sera.

È, quella infinita tempesta,
finita in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d’oro.

O stanco dolore, riposa!
La nube nel giorno più nera
fu quella che vedo più rosa
nell’ultima sera.

Che voli di rondini intorno!
che gridi nell’aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.

La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l’ebbero intera.
Né io… e che voli, che gridi,
mia limpida sera!

Don… Don… E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra azzurra…
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch’io torni com’era…
sentivo mia madre… poi nulla…
sul far della sera.

Altra lirica di grande impatto emotivo è quella di Gabriele D’Annunzio, La pioggia nel pineto, nella quale sono descritte le sensazioni prodotte dalla pioggia quando cade in una pineta.

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.

Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.

Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell’aria secondo le fronde
più rade, men rade.

Ascolta. Risponde
al pianto il canto

delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.

E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.

E immensi
noi siam nello spirito
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.

Ascolta, Ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.

Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.

Non s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.

Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta: ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!

E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.

E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.

E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i melleoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!

E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.

Il testamento di un albero di Trilussa è una poesia profonda, nella quale il poeta immagina un albero che fa testamento ricordando quando un uomo si suicidò usando uno dei suoi rami.

Un Albero di un bosco
chiamò gli uccelli e fece testamento:
– Lascio i fiori al mare,
lascio le foglie al vento,
i frutti al sole e poi
tutti i semi a voi.

A voi, poveri uccelli,
perché mi cantavate le canzoni
nella bella stagione.

E voglio che gli sterpi,
quando saranno secchi,
facciano il fuoco per i poverelli.

Però vi avviso che sul mio tronco
c’è un ramo che dev’essere ricordato
alla bontà degli uomini e di Dio.

Perché quel ramo, semplice e modesto,
fu forte e generoso: e lo provò
il giorno che sostenne un uomo onesto
quando ci si impiccò.

Rabindranath Tagore, in Cogli questo piccolo fiore, chiede di prendere un fiore e di apprezzarlo, nonostante sia di un colore pallido. Un invito indiretto a vivere pienamente ogni attimo di vita.

Cogli questo piccolo fiore
e prendilo. Non indugiare!
Temo che esso appassisca
e cada nella polvere.

Non so se potrà trovare
posto nella tua ghirlanda
ma onoralo con la carezza pietosa
della tua mano – e coglilo.

Temo che il giorno finisca
prima del mio risveglio
e passi l’ora dell’offerta.

Anche se il colore è pallido
e tenue è il suo profumo
serviti di questo fiore
finché c’è tempo – e coglilo.

Versicoli quasi ecologici di Giorgio Caproni è una lirica che invita a non inquinare il mondo, a rispettare ogni creatura vivente per non farla morire.

Non uccidete il mare,
la libellula, il vento.
Non soffocate il lamento
(il canto!) del lamantino.

Il galagone, il pino:
anche di questo è fatto
l’uomo. E chi per profitto vile
fulmina un pesce, un fiume,
non fatelo cavaliere
del lavoro. L’amore
finisce dove finisce l’erba
e l’acqua muore.

Dove
sparendo la foresta
e l’aria verde, chi resta
sospira nel sempre più vasto
paese guasto: “Come
potrebbe tornare a essere bella,
scomparso l’uomo, la terra”.

Poesia sulla natura brevi

Ci sono poeti che hanno cantato la natura nei suoi molteplici aspetti attraverso versi brevi ma intensi, capaci di colpire l’anima del lettore. Paesaggi avvolti dai colori del tramonto, il susseguirsi inesorabile delle stagioni, i fiori variopinti e profumati. Immagini che parlano di una bellezza incontaminata e che possono anche essere considerate portatrici di un pensiero ecologista, volto a chiedere agli uomini di non deturpare ciò che la natura ha di bello da offrire.

Un esempio è la lirica di Bertolt Brecht, La primavera non c’è più, dove il poeta racconta di luoghi torturati da petrolio e ammoniaca dai quali è stata cancellata la primavera, ormai diventata solo un flebile ricordo.

Molto tempo prima.
Che ci gettassimo su petrolio, ferro e ammoniaca
C’era ogni anno
Il tempo degli alberi che verdeggiavano irresistibili e violenti.

Noi tutti ricordiamo
I giorni più lunghi
Il cielo più chiaro
L’aria mutata
Della primavera destinata a venire.

Ora leggiamo nei libri
Di questa celebrata stagione
E pure da molto tempo

Non sono stati scorti sulle nostre città
I famosi stormi di uccelli.
La gente ancora seduta sui treni è la prima
A sorprendere la primavera.

Le pianure la mostrano
Nell’antica chiarezza.
Certo negli alti spazi sembrano passare tempeste:
Esse toccano solo le nostre antenne.

Jacques Prévert, a sua volta, in Tante foreste, pone l’attenzione sul disboscamento selvaggio di aree naturalistiche sacrificate solo per gli interessi degli uomini.

Tante foreste strappate alla Terra
e massacrate
distrutte
rotativizzate.

Tante foreste sacrificate per la pasta da carta
ai miliardi di giornali che attirano annualmente
l’attenzione dei lettori
sui pericoli del disboscamento
delle selve e delle foreste.

Ho Chi Minh con Pur con le gambe e i polsi parla di come riesca a sentire sempre il profumo dei fiori e il canto degli uccelli.

Pur con le gambe e i polsi
strettamente legati
ovunque sento uccelli
e il profumo dei fiori.

Ascoltate, aspirare
chi può togliermi quanto
fa la via meno triste
l’uomo meno isolato?

In Mezzogiorno alpino, Giosuè Carducci descrive la maestosità e la grandezza della natura attraverso un paesaggio montano illuminato dal sole di mezzogiorno durante l’estate.

Nel gran cerchio de l’alpi, su ‘I granito
Squallido e scialbo, su’ ghiacciai candenti,
Regna sereno intenso ed infinito

Nel suo grande silenzio il mezzodí.
Pini ed abeti senza aura di venti
Si drizzano nel sol che gli penètra,
Sola garrisce in picciol suon di cetra
L’acqua che tenue tra i sassi fluí.

Leonardo Roselli con Temporale descrive, in pochi ed efficaci versi, lo scatenarsi di una tempesta.

Precipitando fiumi
quelle nuvole prima leggere,
tuonano nell’ aria opaca,
un concerto di terrore.

Poesia sulla natura in rima

Le poesie sulla natura in rima sono perfette da far leggere ai bambini per insegnare loro a rispettare l’ambiente e ad amare la madre Terra. Inoltre, essendo facili da imparare e ricordare, possono essere usate per stimolare la loro memoria.

Il primo componimento che vi proponiamo non può che essere di Gianni Rodari, un vero maestro nel creare filastrocche orecchiabili e simpatiche.

Le gridarono:
“Vattene, Natura!”.
Lei si prese paura.
Fece il suo fagottello:
ci mise dentro
l’ultimo alberello,
l’ultima viola
dell’ultima aiuola
e uscì dalla città.

E va, e va… pensava:
“Mi fermerò nei boschi!”.
Ma i boschi erano stati
disboscati.

“Mi fermerò nei prati!”.
Ma erano tanto piccoli:
non c’era posto per tutti
gli insetti, i mammiferi,
gli uccelli, i tramonti…

“Vattene, Natura!”
E lei se ne andò:
in quattro ripiegò
gli ultimi prati
come fazzoletti.

Lasciò il pianeta
AccaZeta…
Adesso lassù
è tutta una città:
di verde – ve lo posso
giurare – c’è rimasto
solo il semaforo,
quando non è rosso…

Tognolini, nella poesia L’arcobaleno, parla di questa striscia multicolore che compare nel cielo dopo un temporale.

Dopo la pioggia nel cielo sereno
sette cascate fa l’arcobaleno:
rosso di guance di rossi folletti,
arancio di sole negli occhi stretti,
giallo di luce del mezzogiorno,
verde tappeto che brulica intorno,
azzurro del cielo con cielo sopra,
indaco il buio che tutto ricopra,
violetto odore di vento vecchio.
Che colore rimane nel secchio?

Fontana, invece, con Sole fonte di energia, parla di questa stella calda e luminosa indispensabile per la vita sulla Terra.

Sole fai luce senza lampadina
o interruttore quasi ogni mattina.
Sei una fonte di energia pulita,
ti rendiamo però dura la vita.

Sole che sciogli la neve ed il gelo,
sei una stufa appesa nel cielo.
Sole tu sei caldaia naturale:
scaldi l’acqua col pannello solare.

Sole stai male e sudi là in alto,
guardi una terra troppo piena di asfalto
che crea vapori qui nell’atmosfera
ed è fra noi una dannosa barriera.

In Le cose del mare, Grossi racconta di tutte le cose belle che riguardano il mare come l’acqua dove nuotare, gli ombrelloni, le onde e le conchiglie.

Di cose belle il mare ne ha a vagoni:
la festa di milioni di ombrelloni,
l’acqua per nuotare,
il remo per remare,
il suo chiaro turchino,

il secchiello col pesciolino,
l’onda dietro l’onda.

La conchiglia sulla sponda,
il corpo abbronzato,
il baretto col gelato.

I giochi dei bambini,
i loro costumini.

Di cose belle il mare ne ha milioni,
l’aeroplano e gli aquiloni
un certo profumo antico
e il ricordo di un amico.

L’ultima poesia selezionata per voi è Il ritmo della natura di Fontana, nella quale sono descritti i vari momenti del giorno e della notte.

La mattina con il sole e con la brina
si risveglia la natura,
un grilletto verde balla,
vola in aria una farfalla.

Ogni fiore del prato e del melo
apre i petali verso il cielo,
come un bimbo si sveglia e sbadiglia,
si schiude nel mare una conchiglia.

Con la falce della luna bianca
viene notte, la natura è stanca.
Si accendono a turno le stelline,
già sonnecchiano le margheritine.

Ogni fiore riposa sul cuscino,
dorme sereno ogni bambino.
Dopo notte viene il dì,
all’incirca è così.

Segue il ritmo la natura
che da sempre uguale dura!
Segue il ritmo la natura
che da sempre uguale dura!