La versione di capitan Sbaffo: "Non ho raccolto quanto potevo, ma oggi ho una testa diversa"

La versione di capitan Sbaffo: "Non ho raccolto quanto potevo, ma oggi ho una testa diversa"

Il leader della Recanatese: il calcio è il primo amore, mi ha aiutato a capire la mia interiorità "Ho passato momenti complessi: per questo voglio giocare ancora per tante stagioni".

La versione di capitan Sbaffo: "Non ho raccolto quanto potevo, ma oggi ho una testa diversa"

La versione di capitan Sbaffo: "Non ho raccolto quanto potevo, ma oggi ho una testa diversa"

Puoi condividere le sue opinioni oppure trovarti in disaccordo, ma i discorsi di Alessandro Sbaffo – capitano della Recanatese in serie C – solo raramente sono banali. Di certo sono spontanei, non "filtrati" ed appaiono lontani anni luce da quei ragionamenti stereotipati che troppe volte ascoltiamo da calciatori professionisti. Un personaggio quindi, nel bene o nel male, autentico, cresciuto a pane e pallone non solo nei campi sportivi ma anche nell’oratorio della "sua" Porto Recanati che ha sfornato giocatori di ottimo livello a getto continuo. Non da ultimo suo nonno, Gastone Ballarini che è stato il primo portiere di riserva nella storia del football del Bel Paese ad entrare in campo a partita in corso in Serie A (era il 5 Settembre 1965 e subentrò a Moschioni durante Juventus-Foggia). Un predestinato? Diciamo piuttosto un ragazzo che ha conosciuto le nobiltà ma anche le miserie del mondo del calcio, in una carriera partita col botto e l’esordio in Serie A ad appena 19 anni con il Chievo.

Quali sono allora gli ingredienti per emergere e gli antidoti per resistere in un ambiente così particolare e complesso?

"Il calcio era e resta la mia grande passione, anzi il mio primo amore e debbo dire che mi ha anche aiutato a guardarmi dentro, a comprendere la mia interiorità, il mio carattere e quindi a superare le difficoltà che ho incontrato. Quando riesci a venir fuori dai momenti critici la luce è ancora più splendente: ad un bambino o ad una bambina che approccia a questo sport consiglio solo di vivere il tutto con entusiasmo, non fermandosi alle superficialità perché tutto serve a crescere come uomini".

A proposito di situazioni complicate, ne ha vissute diverse: l’ultima a Gubbio dove non c’è stato un gran feeling con l’allenatore. In quel momento scende di categoria venendo a Recanati e trovando, a due passi da casa, dopo aver girato lo Stivale da Reggio Calabria a Bergamo, una dimensione ideale. Cosa in particolare?

"Di momenti particolari ne ho avuti molti e quello, complice anche il Covid, è stato come toccare il fondo del barile. Ho compreso però che quel fuoco dentro, per il calcio, era ancora vivo e abbiamo iniziato un percorso bellissimo. Certo adesso viviamo una grande criticità, ma sono tutte prove da superare: non succede nulla per caso ed anche questi frangenti negativi sono opportunità per crescere e per cambiare qualcosa nel nostro interno".

Spesso utilizza una parola forse desueta ossia divertimento. La si può coniugare con il professionismo in un contesto che spesso si caratterizza per l’esasperazione e la ricerca del risultato ad ogni costo?

"Ci sono delle responsabilità ed anche grosse: nel mio caso penso ai figli ed alla famiglia che vive di riflesso i miei momenti che possono essere tesi. Parliamo però di sport e dobbiamo essere grati nello svolgere un lavoro che rappresenta un piacere quotidiano, teniamoci quindi anche quella parte ludica".

Ad inizio di ogni partita interna il vostro ingresso in campo è scandito da un brano particolare "Un calcio alla città" di Domenico Modugno. Perché vi rappresenta così tanto?

"Perché forse, al di là della grandezza dell’artista, dà quel senso di leggerezza di cui si ha bisogno. Ci sono poi dei passaggi in cui c’è l’esortazione a essere sé stessi, a non timbrare il cartellino, a non mortificare la creatività. È quello che abbiamo sempre voluto qui a Recanati ossia che la gente si esprimesse per quello che davvero è, comprese le fragilità di ognuno. È il piccolo sogno che coltiviamo all’interno dello spogliatoio".

A quasi 34 anni vive il presente oppure mentalmente pensa già a quello che potrebbe essere il suo futuro, nel calcio o in altri ambiti?

"Avendo passato tante complessità e forse non avendo raccolto quanto era nelle mie possibilità, con la testa diversa di oggi dico che ho voglia di giocare ancora per tante stagioni, preservando il fisico nel miglior modo possibile. Sono un giocatore di calcio… e basta".