CHIODO, Agostino in "Dizionario Biografico" - Treccani - Treccani

CHIODO, Agostino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 25 (1981)

CHIODO, Agostino

Piero Visani

Nato a Savona il 16 apr. 1791 da Vincenzo e Anna Maria Tagliafico, intraprese studi matematici e nel 1808 era aiutante del genio a La Spezia, addetto alla stesura dei piani e dei livelli per la preparazione dell'arsenale che Napoleone aveva progettato d'erigere in quel golfo.

Nel 1810 il C. entrò come allievo nella Ecole Polytechnique di Parigi e ne uscì nel settembre 1812 con il grado di sottotenente del genio dell'esercito francese. Promosso luogotenente degli zappatori, fece la campagna del 1813, partecipando alla battaglia di Kulin e al blocco di Dresda, dove venne fatto prigioniero. Rientrato in patria nel 1814, l'anno successivo entrò come luogotenente nel genio dell'esercito piemontese.

Promosso capitano nel 1819, il C. nel marzo del 1822 fu nominato insegnante di geometria descrittiva e fortificazioni all'Accademia militare di Torino, mantenendo l'incarico fino - al 1826. L'anno successivo fu promosso maggiore e nominato direttore delle- fortificazioni di Genova e della cinta; così, per circa un decennio, il C. diresse i lavori dei forti Begatto, Castelletto e Monteratti, e della grande caserma di S. Benigno. Promosso tenente colonnello nel 1832 e colonnello nel 1836, nel 1837 fu incaricato di dirigere i lavori per la riparazione e la messa a nuovo della cittadella di Alessandria. Nel 1839 venne promosso maggior generale e nominato quindi comandante del corpo del genio.

Nella campagna del 1848 continuò a ricoprire il comando superiore del genio e si distinse particolarmente all'assedio di Peschiera, tanto che il 4 giugno dello stesso amo ottenne la promozione a luogotenente generale e il successivo 25 agosto anche l'incarico di capo di Stato Maggiore dell'esercito.

Fu il re Carlo Alberto a porre provvisoriamente il C. a capo dello Stato Maggiore. La scelta non garbò molto a G. Dabormida, da poco nominato ministro della Guerra, ma il re aveva designato il C. perché riteneva che, in quel momento, non ci fossero soluzioni migliori: gli altri candidati erano o troppo vecchi o troppo giovani, ed era quindi necessario far ricorso ad una persona di esperienza. Questa nomina si inquadrava nel proposito di rinnovare le alte cariche dell'esercito, preso subito dopo l'insuccesso della campagna del 1848. Tuttavia, dei preventivato riordinamento l'unica attuazione fu l'esonero del Salasco, capo di Stato Maggiore, reclamato dall'opinione pubblica, e la sua sostituzione interinale col C., non del tutto idoneo all'alta e delicata carica, in attesa di sostituirlo con il Franzini o con qualche generale fatto. venire dall'estero. Dopo breve tempo infatti, nel settembre 1848, al C. subentrò il Franzini.

Nei Mesi successivi di febbrile preparazione per la ripresa della guerra, il C. continuò ad occuparsi dell'arma del genio. Improvvisamente il 9 febbr. 1849 venne nominato ministro della Guerra. Ascendeva al dicasterò in un momento di gravissima crisi del Comando supremo, dopo che il La Marmora s'era dimesso da ministro della Guerra e il Bava era stato esonerato da comandante supremoe sostituito con lo Chrzanowski.

Il C. non aveva particolari capacità a svolgere i nuovi e difficili compiti di organizzazione generale; quasi sconosciuto nell'esercito, poco pratico di tutta la amministrazione militare, rimasto sempre appartato nel settore dell'arma del genio, ebbe bisogno di parecchi, giorni per rendersi esattamente conto delle condizioni particolari e d'insieme, e per affiatarsi con i collaboratori. Numerose le difficoltà: troppe iniziative intraprese ma non portate a termine, mentalità burocratica, pregiudizi. Mentre il tempo stringeva sempre di più, il compito del C., già difficile, si fece ancora più arduo quando, il 21 febbraio seguente, in seguito alle dimissioni del Gioberti, divenne anche presidente del Consiglio.

In tanto vasto e svariato lavoro, s'affannò per rimediare ai problemi dell'esercito che stava per riprendere la campagna; ottenne buoni risultati soprattutto nel campo delle sussistenze, ma prese anche decisioni errate, come approvare la scelta dello Chrzanowski a comandante dell'esercito, sostituire collaboratori vecchi e provati con altri giovani e inesperti, e soprattutto modificare l'organico delle unità. Introdusse infatti nuovi criteri nell'organizzazione dei battaglioni, con il risultato d'accrescere la confusione già esistente e di creare, proprio alla vigilia della guerra, un grave dissenso sul migliore impiego delle reclute. Temendo che queste, immesse nei reggimenti di linea, sconvolgessero la proporzione tra giovani e anziani, diminuendone la solidità, diede ordine che fossero raggruppate in battaglioni autonomi. Con ciò rinunciò a servirsi delle reclute in prima linea e creò di fatto nuove unità di seconda linea, indebolendo così l'esercito combattente e riempiendo le retrovie dì sfaccendati.

Nei primi giorni del marzo 1849 fu il C. a confermare ai colleghi di gabinetto che alla metà del mese l'esercito avrebbe potuto riprendere le ostilità. Durante la breve campagna rimase relativamente in disparte, come d'altronde richiedevano i Suoi Compiti. Il 27 marzo però, dopo Novara, il ministero da lui presieduto rassegnò le dimissioni, per dimostrare biasi-, mo riguardo al modo con cui s'era giunti all'abdicazione di Carlo Alberto, all'armistizio ed all'ascesa al trono di Vittorio Emanuele II, cioè lasciando il gabinetto a Torino totalmente all'oscuro di quanto stava avvenendo.

Nei mesi del dopoguerra, quando più forte fu il tentativo d'individuare i responsabili dell'insuccesso, il C. non andò esente da critiche per come aveva preparato la campagna, e si difese nell'opuscolo Risposte dei cessati ministri Chiodo, Cadorna e Tecchio alla relazione10 apr. 1849 del general maggiore Alberto Chrzanowski prodotta alla commissione d'inchiesta (Torino 1849), confutando l'affermazione di questo che la guerra fosse stata deliberata contro il suo parere e dichiarata a sua insaputa, e sostenendo che in tutto e per tutto egli s'era dimostrato d'accordo.

Ritornato al comando generale del genio, il C., che nel 1844 aveva ricevuto titolo e nobiltà di barone e nel 1848 era stato fatto senatore, fu nominato presidente del Consiglio del genio militare il 4 giugo 1849, carica che ricoprì fino alla morte, avvenuta il 25 febbr. 1861 a Torino.

Bibl.: C. Arnò, Note sui ministeri Gioberti-Sineo e Chiodo- Rattazzi, Roma 1906; M. Degli Alberti, Alcuni episodi del Risorgimento italiano, Roma 1907, p. 393; V. Cian, Vincenzo Gioberti e l'on. ab. G. M. Monti..., in Rassegna storica del Risorgimento, XXIII(1936), pp. 815-818; P. Pieri, L'esercito piemontese e la campagna del 1849, Torino 1949; P. Pieri, Storia militare del Risorg., Torino 1962, ad Indicem;"L'Arsenale", A. C. generale dei Genio, in Riv. militare ital., CXIII(1968), pp. 1563-1569; P. E. Faggioni, Due progetti piemontesi contro Mantova (nel luglio 18481 in Rassegna storica del Risorgimento, LV (1968), pp. 272-285; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Terni 1890, p. 280; Enciclopedia militare, III, p. 15; Diz. del Risorg. naz., II, pp. 678 ss.; Enc. Ital., X, p. 132.

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