Beatrice Venezi: "Questa destra realizza i miei valori. Giorgia Meloni ci cambierà, ma sorrida di più" - La Stampa

Le opere, la politica, i viaggi e l’amore. Beatrice Venezi, 33 anni, lucchese, «direttore d’orchestra» come vuole esser chiamata da prima del «presidente del Consiglio» e sua amica Giorgia Meloni, si racconta alla vigilia della presentazione di Taormina Arte e del Taormina Film Fest da lei curati: «Io stessa condurrò il Trittico di Puccini con un lavoro da talent scout di giovani musicisti insieme alla Fondazione Pavarotti. A Taormina poi si ricomincia a produrre con una Turandot».

Rilancia il made in Italy?

«È il mio lavoro. Ora vado a Cagliari dove al Teatro Lirico dirigerò La traviata dal 26 maggio al 4 giugno. E al Salone del libro di Parigi, dove l’Italia era protagonista, ho presentato Le sorelle di Mozart (Utet) insieme a Marcello Veneziani che parlava di Scontenti (Marsilio). Essere scontenti non vuol dire essere infelici, ma ribelli. E nel mio libro tratto proprio di musiciste rivoluzionarie».

Veneziani, Buttafuoco, Sangiuliano… fa ormai parte dell’intellighenzia di destra?

«Con Veneziani e compagna siamo amici da anni. Buttafuoco era a Parigi per parlare con Stefania Auci di “sicilitudine” e ci accomuna la passione per il teatro e il mio ruolo di direttore artistico della Fondazione Taormina Arte».

Si sente la testimonial della nuova Italia?

«Sarebbe un complimento, ma mi piace pensare di esserlo a prescindere dall’area culturale di appartenenza. Parlo di musica senza preconcetti e il mio lavoro non ha connotati politici».

Ma direttore, ormai lei è la donna di destra per eccellenza…

«Provengo da una famiglia dai valori conservatori, ma credo nella libertà dell’arte. Anzi, proprio questo bisogna porsi come obiettivo: liberare la cultura dalla retorica e dall’oppressione che ha subito negli ultimi 70 anni».

È sempre consulente del ministro della Cultura Sangiuliano?

«Si tratta di una semplice consulenza da insider del settore per aiutare a risolverne i problemi. In particolare, offro dei suggerimenti per migliorare il funzionamento delle istituzioni musicali e la condizione dei lavoratori del mondo dello spettacolo».

È stato recepito qualcosa?

«Molto più che recepito, sono felice del rapporto con Sangiuliano, che è una persona di grande intelligenza e cultura. Io sono impulsiva e vorrei che tutto cambiasse subito, ma mi rendo conto che il ministero sia una macchina complessa e ci siano tempi e regole da rispettare».

Ha visto che Carlo Fuortes potrebbe finire al Teatro San Carlo di Napoli per liberare la poltrona di ad Rai?

«Penso sia una scelta legata agli equilibri politici interni alla parte che l’ha espresso. Al di là della singola persona, che non conosco, in generale sarebbe auspicabile un ricambio generazionale a tutti i livelli. Bisogna intercettare un pubblico nuovo che spesso fa fatica ad avvicinarsi al teatro lirico come forma di intrattenimento. Non lo dico in senso spregiativo: l’opera è un valore italiano che definisce la nostra identità, ma si tratta di qualcosa che nasce come intrattenimento pur veicolando la tradizione».

Cos’è per lei la tradizione?

«Oltre alla musica, la famiglia e il sentimento di appartenenza non sempre così diffuso alla nazione. In Francia per esempio ho provato invidia per il loro forte patriottismo, mentre noi ci denigriamo sempre. Potremmo essere tra le prime potenze mondiali per le unicità che esprimiamo in un contesto globalizzato. Ridefinire dunque le nostre priorità su arte, musica e cibo è fondamentale. E lo dico anche da direttore artistico di Taormina, la perla del Mediterraneo».

Se le chiedo della carne sintetica mette mano alla bacchetta?

«Purtroppo non ne escono gli incantesimi di Harry Potter, ma la “ciccia” per un toscana non si tocca».

Non le pare oscurantista la chiusura a ogni ricerca in tal senso?

«Non credo ci manchi la produzione di carne, anche di alta qualità. I dati dimostrano uno spreco alimentare incredibile. E non sono un’esperta, ma pure i processi di laboratorio pare inquinino».

È favorevole alla pillola contraccettiva gratuita?

«Certo, e mi pare una decisione all’opposto di quel che si temeva dalla destra. Francamente non penso che questo governo voglia limitare i diritti e in ogni caso ritengo che ognuno debba essere libero di fare ciò che vuole».

Come ha vissuto il 25 aprile?

«Perché lo avrei dovuto vivere diversamente dagli scorsi anni?».

È un tema irrisolto?

«Il nostro Paese deve fare pace con se stesso. Penso che il 25 aprile sia un tema storico e vada trattato come tale, non per fare polemica politica strumentale. Se ne dovrebbe parlare guardando ai fatti per andare avanti serenamente, senza contrapposizioni che per la mia generazione risultano superate».

Quale può essere la pacificazione?

«La conoscenza reale dei fatti. La dittatura, la Resistenza, i partigiani, la Seconda guerra mondiale e la guerra civile, ma ogni avvenimento va contestualizzato nella Storia e non dell’ideologia».

Siamo tutti antifascisti?

«Parlare di fascismo o di comunismo, al di fuori della Cina almeno, risulta superato. L’accettazione da parte di tutti della democrazia mi pare fuori discussione, così come l’indisponibilità al ritorno di ogni dittatura. In Europa non vedo questo rischio per fortuna. E la fermezza del governo sull’Ucraina mi pare un segnale eloquente in tal senso».

In Ungheria la democrazia è solida?

«Punti di vista. Non ho elementi sufficienti per rispondere. Posso solo dire che la loro Opera funziona benissimo».

Che differenza c’è tra questa destra e il vecchio centrodestra berlusconiano?

«Ora avverto un pensiero culturale più profondo rispetto ai governi berlusconiani e questo mi tranquillizza nell’idea di dare una mano al ministero di Sangiuliano. Nella destra attuale trovo una maggiore identità e un’attenzione più forte verso i temi a me cari».

Merito della sua amica Giorgia?

«Ci sono tante cose che ancora non è riuscita a fare e che spero affronti nel corso della legislatura. Non si può pretendere che trasformi il Paese in pochi mesi. Sottolineerei il successo nelle prove internazionali, in cui ha dimostrato di essere all’altezza. E si è messa in gioco con coraggio sul piano interno andando al convegno della Cgil. Insomma, vedo tutte le premesse per un mandato di successo e per la trasformazione del nostro pachidermico Paese».

Qual è la riforma in cui spera di più?

«Quella della giustizia per tempi snelli e un sistema equo. Nel mio settore vorrei che venisse rinnovato dopo oltre vent’anni il contratto dei lavoratori dello spettacolo e in modo che inglobi tutte le professionalità. Sarebbe una grande vittoria politica della destra, che sovvertirebbe gli schemi con la sinistra. Mi piacerebbe anche che venisse ridefinito lo status degli artisti con un inquadramento che non ci costringa a rispondere a domande del tipo “Ma fai solo questo? E riesci a viverne?”».

E un difetto di Meloni?

«Dovrebbe soltanto sorridere di più. Lavora troppo e ne risente, mentre potrebbe provare a infondere più fiducia e positività negli italiani. In questo senso le suggerisco l’esempio delle ballerine classiche, che pur stando sulle punte sorridono».

Ha appena bacchettato la premier?

«Ma no, solo un suggerimento simpatico. Ogni tanto ci sentiamo piacevolmente, anche se soprattutto per la circostanza dello spettacolo».

Che ne pensa del lookologo di Elly Schlein?

«Io non ne avrei il tempo, e neanche per l’armocromista. Ho collaborato con vari marchi di moda e ho il gusto del made in Italy. Portare sul palco un look femminile per me è stato sempre simbolico: significa non travestirsi da uomo per un ruolo storicamente maschile. Una ribellione, anche se non mi scopro mai troppo».

E perché si ostina a farsi chiamare «direttore»?

«In questo momento in cui una donna va chiamata “direttora” o “direttrice” per forza lo trovo realmente anticonformista».

Il tempo libero esiste?

«Viaggio con Juan, il mio fidanzato argentino che fa il consulente finanziario e può lavorare da remoto. Mi segue spesso in tournée e poi siamo stati in India, Perù e Namibia. Destinazioni lontane dove non mi chiedono cosa pensi della destra italiana».

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