Baby Gang, chi è il rapper da milioni si streaming che ha iniziato lo sciopero della fame in carcere - La Stampa

Da piccolo non ha mai avuto una stanza, non è mai stato il «cocco di mamma». Da quando aveva undici anni ogni estate l'ha praticamente passata in galera o in comunità. Oggi Baby Gang, all’anagrafe Zaccaria Mouhib, di anni ne ha 22. Metà se li è fatti dentro. Ed è proprio in un cella che scopre il rap per far sentire la sua voce. Nelle canzoni racconta povertà e degrado, situazioni difficili che le istituzioni preferiscono ignorare. Così come hanno ignorato lui, un reietto, un invisibile, un «maranza» col borsello Gucci. Questa settimana il suo album, L’Angelo del Male, è al primo posto in classifica, con oltre 32 milioni di streaming, e lui è finito di nuovo in carcere per aver violato i domiciliari postando una foto con la pistola sui social, con tanto di braccialetto elettronico in vista. In cella ha iniziato lo sciopero della fame «contro la censura che lo sta colpendo».

Le perquisizioni dopo la guerriglia a Milano: il rapper Baby Gang posta il video su Instagram

Dai furti alle hit
Cresciuto in una famiglia marocchina, ha vissuto in piccoli bilocali a Calolziocorte, nel Lecchese, dove le liti erano all’ordine del giorno e per andare in bagno, tra nonni e zii, c’era da fare la fila. Nemmeno adolescente, quindi, decide di andarsene di casa, «dorme sopra il tetto di un aler», vagabonda sui treni. Da quel momento in poi trascorre gran parte del tempo «in gattabuia», il resto nelle strade. «Non ho imparato nulla nella strada, se non rubare e spacciare sotto casa», canta in una canzone.

Sparatoria in corso Como a Milano, arrestati Baby Gang e Simba

A dodici anni imbratta un muro, a tredici viene indagato per il furto di un cellulare. Poi comincia a vendere droga. Più cresce, più la sua fedina penale si sporca. Questa scia criminale culmina nel suo arresto, a quindici anni. Finisce in carcere per aver picchiato un poliziotto. Si fa due mesi al minorile di Bologna e poi viene trasferito al Beccaria di Milano. Qua fa uscire il suo primo pezzo Street e poi Cella 1, che in pochissimo tempo gli permette di farsi conoscere da un pubblico più vasto. Qui conosce anche don Claudio Burgio dell’associazione Kayros, che lo aiuta a dare una svolta alla sua vita. Ma cambiare non è facile, anche se Baby Gang ai giudici ha detto di «essere la vittima, e di non essere più quello di una volta». A suo carico finora le condanne sono due: quella in primo grado a quattro anni e dieci mesi per una rapina e una a cinque anni e due mesi per una sparatoria avvenuta nell'estate del 2022 in una zona della movida milanese.

Il "cattivo esempio”
Ogni volta che si parla di rap e violenza, il nome di Baby Gang è il primo a spuntare fuori. Ma quando si parla del rapper ci si focalizza praticamente sempre sui crimini, sugli errori, tralasciando il talento: il suo modo di incastrare le rime, le sue strofe crude, il suo sguardo senza filtri sul quartiere. In ogni brano c’è la dura realtà di tanti ragazzi di seconda generazione che cercano di sopravvivere alla periferia. Chuck D dei Public Enemy definì il rap «la Cnn del ghetto» ed è proprio attraverso questo genere che Zaccaria Mouhib diventa reporter della società ai margini. Quella società che lo vede come un cattivo esempio per i milioni di ragazzi che lo ascoltano ed è pronta a puntargli subito il dito contro, a dargli la colpa di tutto. «Giudicato colpevole da un branco di pecore. Hanno provato a rendermi debole, solo perché non sto alle loro regole», rappa in Liberi. E ancora: «Non siamo noi i cattivi, wallah».

Il rapper Baby Gang gira un video nella cella di San Vittore e lo posta su Instagram: indagato

Nell’album, nato tra molte difficoltà, i soldi, la strada, la polizia, la famiglia sono temi ricorrenti. I pezzi sono stati registrati in uno studio di Rogoredo o al Moysa, sempre entro le otto di sera, per l'obbligo di dimora. Alcune collaborazioni, per cause di forza maggiore, sono stata ultimate a distanza. Ma tutte aggiungono un qualcosa in più al racconto di Baby Gang: da Geolier a Marracash, da Fabri Fibra a Sfera Ebbasta, passando per Blanco, Lazza, Tedua, Ernia, Rkomi, Guè, Rocco Hunt, Emis Killa, Jake La Furia, Gemitaiz, Madman, Paky, Simba La Rue, Niko Pandetta.

Per la signora del rap Paola Zukar, manager di Fibra e Marracash, il disco «è un capolavoro neorealista di rap italiano che nasce in mezzo a milioni di difficoltà». Ascoltatelo, senza pregiudizi.

Milano, il trapper Baby Gang in tribunale: interrogato dal gip Guido Salvini

I commenti dei lettori