TELEFON - Spietati - Recensioni e Novità sui Film
Recensione, Spionaggio

TELEFON

Titolo OriginaleTelefon
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1977
Durata102'
Tratto dadal romanzo di Walter Wager
Scenografia

TRAMA

Alcune basi militari statunitensi di diverse latitudini vengono attaccate e sabotate da persone che ricevono ordini telefonici subliminali dettati da uno strano individuo fuggito dall’Unione Sovietica. Il KGB non estraneo alla vicenda invia il Maggiore Borzov al fine di eliminare l’uomo con la massima segretezza.

RECENSIONI

Considerata a torto una delle opere meno riuscite di Siegel, probabilmente per il suo essere circoscritta e trattenuta entro il perimetro della spy story, a differenza ad esempio de Il caso Drabble in cui il regista insisteva contorcendosi ludicamente su un impianto dichiaratamente referenziale e metacinematografico, Telefon in realtà, in virtù del suo stare tutto dentro i confini demarcati dalla scrittura di Walter Wager sceneggiata da Peter Hyams e Stirling Silliphant (co-autore della sceneggiatura di Killer Elite, tanto per ricordare un titolo) del genere deputato, del suo rigoroso appartenere a una partitura in qualche modo pre-codificata, si presenta come solido esercizio di rappresentazione votato alla forma dell’occlusione, per cui le varie figure retoriche soggiacenti (iperboli, metafore etc.) rimangono all’interno di uno spazio linguistico connotativamente chiuso, volutamente delimitato.

Interno che si configura come gioco filmico nel quale Siegel decide programmaticamente di permanere in quanto il suo funzionamento linguistico/narrativo è strettamente legato al restringersi delle maglie semantiche (il fantasma della guerra fredda o di una guerra ben più universalizzabile durante un apparente periodo di distensione, la paranoia negli atti e nei pensieri dei protagonisti, il doppiogiochismo costittutivo, etc.), in cui anche le figure della fabula vengono disposte secondo un piano pre-ordinato che pertiene all’idea di controllo che Siegel vuole efficacemente rendere ad ogni livello, giungendo a concepire la pluriplanarità del film sul modello di una partita a scacchi o, meglio ancora, di un cruciverba nel quale viene metonimizzato il discorso sul controllo, da una parte come orgasmo demiurgico di una volontà che intende imprimere la sua volontà di potenza mediante un funereo disegno che si dispiega come un oscuro ed enigmatico diagramma di morte servendosi delle lettere come logoi spermatokoi invertiti di segno (Dalchimsky e il suo terrificante acrostico), e dall’altra come ossessione socio-politica immancabilmente legata alle strutture (micro e macro), per la maggiorparte informatizzate (c’è un larghissimo uso scenografico di macchine adibite a questo preciso scopo, dai telefoni del titolo agli elaboratori elettronici), preposte al controllo della vita, del pensiero e dell’azione, passando pure per l’elemento pseudo-(fanta)scientifico dell’induzione tramite ipnosi (il contesto storico come apologia della manipolazione in cui la poesia di Frost diviene strumento linguistico da riprogrammare con funzionioni altre da quelle originarie). Esiste in sostanza una soggiacenza testuale, semiotica, che dispone (grazie a una sintassi filmica fatta di atmosfere congelate e ritmi segmentati)  strategicamente di meccanismi e topoi riconoscibili in quanto appartenenti alla struttura linguistica del genere, a partire dalla quale Siegel inizia a ragionare su un’etica tecnologica e tecnocratica del soggiacere strutturante e controllante, con esiti disperati (evidenziati da un finale sarcasticamente sospeso sull’ambiguità di eros e thanatos).