Dead Space Remake - Recensione

15 anni di necromorfi e lame al plasma… e non sentirli.

Dead Space Remake - La recensione

LA RECENSIONE IN BREVE

  • EA Motive ha ripreso il Dead Space di 15 anni fa e ne ha fatto un survival horror assolutamente al passo con i tempi sia sul versante grafico, sia su quello della struttura e dei contenuti.
  • I cambiamenti rispetto al gioco originale sono molto più di quanto ci si potesse aspettare e anche chi ha già giocato il Dead Space del 2008 troverà parecchia nuova carne al fuoco.
  • Alcuni elementi come il backtracking un po’ invadente, la natura poco emozionante delle missioni e la poca empatia con il protagonista non sono stati rivisti e pesano un po’ sul risultato finale.

Ammetto di aver adorato Dead Space (e la sua lore crossmediatica tra fumetti, film di animazione e romanzi) come pochi altri survival horror. L’ho letteralmente divorato su PC all’epoca della sua uscita, ritenendolo il miglior esponente del genere non tanto per il gioco in sé (comunque strepitoso), quanto più per la sua capacità di spaventarmi e per quel senso di oppressione, solitudine, disperazione, “schifo” e ribrezzo (riferito ovviamente ai necromorfi) che non ho mai più ritrovato in simili dosi in nessun’altro survival horror successivo.

Ho quindi lanciato su PlayStation 5 questo remake con aspettative altissime, anche perché, dopo un’operazione simile di enorme successo come quella di Resident Evil 2 (Voto: 9 - Recensione), l’idea di un remake non solo estetico ma ben più profondo e a 360 gradi mi ha fatto scattare l’asticella dell’hype a livelli inverosimili. EA Motive ha ripreso il gioco del 2008 apportando moltissimi cambiamenti tra aggiunte, modifiche e abbellimenti proprio come dovrebbe fare qualsiasi remake degno di questo nome.


Se infatti il nucleo della trama rimane quello originale (e lo stesso dicasi per le missioni, i nemici, i PNG e la struttura della nave spaziale Ishimura), giocare a Dead Space nel 2023 equivale quasi a prendere in mano un gioco nuovo di pacca, senza avvertire tra l’altro chissà quali segni di invecchiamento. Dopotutto (ovviamente chiudendo un occhio sulla grafica), anche l’originale di 15 anni fa è ancora oggi un’esperienza horror esaltante, tanto che aspettarsi una delusione da un remake di questo calibro era quantomeno improbabile.

Rivisitare un classico

E infatti EA Motive non ha deluso. Il Dead Space del 2023 rimane infatti un survival horror con i fiocchi che non risente per nulla dei tre lustri trascorsi, anche perché (diciamolo francamente) il genere non è andato incontro a chissà quali rivoluzioni o sconvolgimenti dal 2008 a oggi, escludendo forse tutto il filone dei giochi in soggettiva. Esplorare l’Ishimura in ogni suo anfratto, combattere i necromorfi, provare un sollievo indescrivibile quando finalmente si entra in una stanza “sicura” piena di rifornimenti, aspettarsi continuamente con il cuore gola un blackout o l’inizio di una quarantena a tempo (che significa ovviamente un’ondata di nemici). Il tutto in un’ambientazione da perfetto e inconfondibile fanta-horror che il pur valido The Callisto Protocol (giusto per citare un blockbuster recentissimo) non è riuscito a eguagliare.

I cambiamenti apportati da EA Motive in questo remake sono davvero tanti. Quasi tutti gli enigmi ambientali sono stati rivisti (in meglio) e lo stesso vale per i boss (il Leviatano ad esempio), per non parlare di nuovi documenti da leggere e di registrazioni audio da ascoltare. La “nuova” trama è più approfondita e si entra molto prima nel giusto mood narrativo rispetto al gioco originale, grazie soprattutto a nozioni sul Marchio, sulla Chiesa di Unitology e sullo stesso protagonista (un Isaac Clarke finalmente doppiato). Si ha insomma la sensazione di una trama più compiuta anche grazie al maggior spazio dato ai personaggi di contorno e, anche se non parliamo di chissà quale sceneggiatura, l’emulo The Callisto Protocol sembra davvero poca roba rispetto all’intrigante lore di Dead Space fatta di culti messianici, spunti lovecraftiani e allucinanti esperimenti scientifici.

A convincere ancora di più è tutto l’aspetto legato all’ambientazione e alla gestione degli elementi horror. L’Ishimura, tra gli ambienti spaziali più famosi nella storia dei videogiochi, continua a essere una location ispiratissima. Certo, si parla sempre di interni di una nave spaziale dove non può esserci la varietà di scenari di un Mass Effect (le uscite nello spazio aperto continuano a essere pochissime), ma il dettaglio dato ai “nuovi” ambienti e i tantissimi particolari di contorno ne fanno un’ambientazione mai così viva e realistica. Il nuovo sistema di EA Motive chiamato Intensity Director fa poi schizzare a mille la tensione, creando in modo casuale eventi inattesi e improvvisi come blackout, luci tremolanti, esplosioni, voci ed effetti sonori disturbanti.

Il tetro labirinto dell’Ishimura

Il risultato? Jump scare triplicati rispetto al gioco originale (anche senza che si palesino per forza i necromorfi) e una continua tensione soprattutto nelle prime 4-5 ore di gioco (si sa, più si progredisce in un survival horror e più ci si abitua alla paura). E già che parliamo di orrore, i necromorfi continuano a intimorire anche a 15 anni di distanza con i loro attacchi alle spalle, il loro andamento inarrestabile, le loro deformazioni mostruose, le loro carni e ossa che reagiscono in modo molto più realistico alle nostre armi e i loro versi inumani che costellano incessantemente l’esplorazione per i corridoi e le stanze della Nishimura.

Il Dead Space targato 2023 può inoltre contare su nuovi potenziamenti alle armi da attivare trovando o acquistando i tanto agognati Nodi di upgrade; e se l’arsenale è rimasto quello del 2008, ci sono cambiamenti nelle modalità di fuoco secondario di alcune armi e nuovi moduli di potenziamento da trovare esplorando il più possibile. Ecco, proprio l’esplorazione è stata resa più avvincente in questo remake. Mi sono ritrovato a passare molto più tempo a cercare risorse deviando spesso dal percorso principale, anche grazie a nuove aree inizialmente chiuse che però diventano accessibili nel corso del gioco sbloccando alcuni permessi di sicurezza.

Questo significa (sempre che lo si voglia fare) sorbirsi un bel po’ di backtracking per tornare magari in un corridoio del secondo capitolo dove tre ore prima c’era una stanza chiusa che ora possiamo aprire. Contando quanto siano fondamentali in un survival horror classico elementi come crediti, munizioni e risorse (medikit, moduli per la stasi ecc...), questo tipo di backtracking opzionale per rifornirsi è caldamente consigliato, anche perché già a livello di difficoltà normale alcuni passaggi con le ondate di necromorfi sono parecchio tosti da affrontare. La voglia di esplorare più a fondo, di trovare i nuovi potenziamenti alle armi e di scoprire tutte le novità inserite a livello di trama e ambientazione mi ha portato a terminare il gioco in circa 13 ore contro le 9-10 del Dead Space originale senza tra l’altro avvertire segni di “stanchezza”, cosa tutt’altro che scontata considerando il tipo di mood e di ambientazione che caratterizza la Ishimura.

L’inferno dei necromorfi

Inoltre, rispetto alla run di quindici anni fa, mi sono sbizzarrito maggiormente nell’affrontare i necromorfi. Ho usato ad esempio molto di più la stasi per congelare i nemici e scagliargli contro oggetti pesanti o cariche esplosive; mi sono disinteressato completamente di alcune armi (il lanciafiamme su tutte) per concentrare tutti i potenziamenti su altre (Lama al plasma, Pistola multiraggio e Tagliatore). Non ho quasi mai speso crediti per i medikit preferendo trovarli in armadietti e contenitori e ho sempre rivenduto le bombole di ossigeno e le munizioni per le armi che non usavo. Questo per dire che anche la gestione dell’inventario e delle risorse ha un’estrema importanza nell'approccio ai combattimenti.

Dopotutto, tra la pesantezza dei movimenti di Isaac, la limitata velocità della corsa e gli spazi spesso angusti dove ci assalgono i necromorfi, il combat-system è tutta una questione di potenza di fuoco, di prontezza di riflessi e di tanto sangue freddo, anche perché non esiste un sistema di coperture, non ci sono elementi stealth o l’approccio molto fisico di The Callisto Protocol ed è quasi impossibile aggirare i nemici o prenderli alle spalle se non quando si è a gravità zero. Anche questi frangenti più “liberi”, che nel Dead Space originale potevano risultare noiosi e mal concepiti, sono stati profondamente rivisti e ora sono godibilissimi, offrono controlli più precisi e naturali e permettono di sentirsi un po’ meno pachidermici nei movimenti e di variare un po’ l’andamento dell’esplorazione.

Venendo poi al restyling grafico, il Frostbite ha svecchiato alla grande l’originale comparto visivo. Tutto, dall'emblematica corazza di Isaac al sistema di illuminazione, passando per gli elementi volumetrici e per i dettagli dei necromorfi, è andato incontro a un upgrade visivo di indubbio valore. Non possiamo dire di avere di fronte un gioiello current-gen (The Callisto Protocol fa meglio su diversi versanti) e lo “stupore” del salto generazionale era stato più forte per Resident Evil 2 (che però aveva dieci anni in più di Dead Space), ma nel complesso EA Motive ha fatto un grande lavoro nello svecchiare il gioco originale.

A un passo dalla perfezione

Peccato solo che con la modalità in 4K con ray-tracing si scenda a tratti sotto i 30 fps, ma a differenza di un’altra operazione simile come quella di The Witcher 3 (e ovviamente se avete un TV-monitor 4K) consiglio questa modalità rispetto a quella 2K a 60 fps e senza ray tracing. L’abbassamento della risoluzione e la minor complessità dell’illuminazione rendono infatti la modalità Prestazioni molto meno appariscente e, a dirla tutta, i 60 fps in Dead Space non sono poi così essenziali come in altri giochi.

Veniamo infine ai difetti. Il nuovo Dead Space, pur meritando una valutazione altissima, non è infatti un’esperienza perfetta (o da 10 in pagella). Il backtracking “obbligato” (non quello opzionale di cui parlavo prima) per proseguire nel gioco può infatti stancare alla lunga, gli scopi delle missioni sono poco interessanti (riattiva sistema danneggiato, recupera tesserino, sblocca un passaggio con un’autorizzazione), la mappa non è il massimo della chiarezza e, nonostante ora Isaac sia doppiato, si ha sempre a che fare con un personaggio poco carismatico.

Sarà appunto per il doppiaggio italiano un po’ scolastico e piatto (comune anche agli altri personaggi) o per le sue reazioni fin troppo robotiche e ben poco umane, ma non si ha quasi mai la sensazione di controllare un personaggio terrorizzato da quello che gli sta accadendo attorno e questo atteggiamento limita un po’ il coinvolgimento del giocatore. Ovvio che in un survival horror non si possa avere a che fare con un alter ego in balia del panico dall’inizio alla fine, ma almeno nelle battute iniziali del gioco mi sarei aspettato dal remake reazioni più realistiche da parte di un ingegnere minerario che si trova di punto in bianco di fronte a creature che sembrano sbucate dall’inferno. Anche perché (credetemi), giocato con un paio di Pulse 3D in testa, anche nel 2023 Dead Space fa una paura fottuta.

Verdetto

Come operazione remake, EA Motive ha svolto un lavoro davvero certosino nel riproporre oggi un gioco di 15 anni fa nel migliore dei modi. Non che manchino difetti e stonature (backtracking molto frequente, fluidità non impeccabile in 4K, scopi delle missioni poco appassionanti), ma come esperienza survival horror il Dead Space targato 2023 è un gioco attualissimo, terrorizzante, meno lineare e guidato di quanto mi ricordassi, forte di un’ambientazione perfetta per il genere e con una quantità tale di aggiunte, modifiche e abbellimenti che vorremmo vedere sempre in qualsiasi remake videoludico.

In questo articolo

Dead Space Remake

EA Motive | 27 Gennaio 2023
  • Piattaforma
  • PS5
  • PC
  • XboxSeries

Dead Space Remake - La recensione

9
Ottimo
Dead Space resta uno dei migliori survival horror di sempre e, in questa reincarnazione targata EA Motive, i 15 anni trascorsi non si avvertono quasi per nulla. Fossero tutti così i remake!
Dead Space Remake
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